Scientificamente confermate le virtù terapeutiche dell’olio d’oliva

Una ricerca dell’Istituto di Biologia Cellulare e Neurologica del CNR(IBCN-CNR), di Roma, ha trovato la conferma scientifica a quanto sostenuto da secoli, a partire da Ippocrate e Omero, sulle virtù terapeutiche dell’olio di oliva. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nutrition, nell'aprile 2013, ha dimostrato che la somministrazione di polifenoli estratti dall’olivo (Olea europaea L.) determina effetti sui livelli di Nerve growth factor (Ngf) e Brain-derived neurotrophic factor (Bdnf), due categorie di polipeptidi appartenenti alla famiglia dei fattori di crescita che sono in grado di stimolare l'incremento dei neuroni, la proliferazione e la differenziazione del cervello dei mammiferi.

“In passato diversi studi hanno mostrato come la presenza di polifenoli nella dieta possa proteggere contro il cancro e le malattie cardiometaboliche e neurovegetative” ha spiegato il ricercatore Marco Fiore tra gli autori della ricerca, questo studio lo ha dimostrato.

I polifenoli sono antiossidanti naturali presenti in una varietà estremamente ampia di piante, vegetali e nei prodotti da essi derivati, quali vino, tè, mirtilli, cacao e cioccolata.Sono molecole polifenoliche tipo bioflavonidi noti, come procianidine, proantocianidine, leucoantocianidine, piconogenoli, ecc.) e possono risultare utili nella prevenzione dell'ossidazione delle lipoproteine e nell'interazione con i radicali liberi, che eliminano; sono accertati inoltre effetti biomedici positivi, a livello cardiovascolare, su malattie legate alla senescenza e sulla crescita tumorale, che contribuiscono ad arrestare.

L'azione benefica dei polifenoli dell’olio, in particolare, è già da tempo riconosciuta dalla European Food Safety Authority e dall'americanaFood and Drugs Administration, che raccomandano un consumo quotidiano di due cucchiai di olio crudo al giorno per contribuire a prevenire l’insorgere di malattie cardiovascolari, infiammazioni e per contrastare lo stress ossidativo indotto dai radicali liberi.

Dalla ricerca emerge un aumento di Ngf e Bdnf in aree cerebrali cruciali del sistema limbico e dei bulbi olfattori, che svolgono un ruolo fondamentale nell’apprendimento, nei processi di memorizzazione e nella migrazione e proliferazione delle cellule endogene progenitrici presenti nel cervello.

Per questo motivo è stato ipotizzato un possibile ruolo protettivo dei polifenoli contro alcune patologie notoriamente caratterizzate da una produzione eccessiva di radicali liberi quali tumori e malattie neurodegenerative. Dai risultati ottenuti, si può ipotizzare, inoltre, che i polifenoli dell’olio extra vergine d’oliva possano potenziare la neurogenesi del cervello, proteggendolo contro la neurodegenerazione correlata all’età e svolgendo un’azione anti-invecchiamento.

Il team di ricerca del CNR ha anche voluto approfondire le caratteristiche dell'olio d'oliva associate all'area di produzione, fino a delineare una 'Una carta d'identità per l'olio extravergine'presentata in un video.

La Carta di Identità è presentata come strumento utile per la caratterizzazione di ogni produzione di olio extra vergine, alla sua promozione e valorizzazione con proprietà e finalità analoghe al documento di identità per le persone fisiche: contiene la descrizione e la “fotografia” del prodotto, associata a natura e provenienza. Il termine “Carta d’Identità” è già stato utilizzato per indicare uno strumento per la sicurezza alimentare; ora, per la prima volta, la carta viene studiata e progettata come strumento in grado di riassumere le principali informazioni previste dalle normative vigenti che "fotografa” il prodotto, ottenendo così uno strumento di tracciabilità in grado di accompagnare ogni confezione di OEVO dall’origine (produttore o oleificio confezionatore) fino allo scaffale del negozio, lungo l’intera filiera olivicola e la catena commerciale. La CDI OEVO può essere falsificata, ma un rapido controllo direttamente sull’olio, farebbe scoprire l’inganno.

Il test utilizzato dal team di ricercatori, e sviluppato con il progetto, si basa sulla caratterizzazione calorimetrica delle transizioni di fase (liquido ↔ solido) caratteristiche dell’olio extra vergine di oliva.

Per saperne di più: 
‘Effects of olive polyphenols administration on nerve growth factor and brain-derived neurotrophic factor in the mouse brain’ (Nutrition. 2013 Apr;29(4):681-7)

Almanacco della Scienza
Fonte: Cnr di Roma

Irrigazione e cambiamento climatico: problema da affrontare con soluzioni concrete

La crescente richiesta di acqua da parte dell’agricoltura e dell’industria si scontra con le previsioni  di una futura diminuzione della portata dei corsi d’acqua dovuta ai cambiamenti climatici. La soluzione non è di certo aumentare il numero di pozzi o recuperare acqua da fonti lontane, in quanto soluzioni non sostenibili né durature.

Quindi, non potendo aumentare l’offerta, bisogna guardare verso una diminuzione della domanda.
Il Centro per la Ricerca Scientifica Svizzero ha completato di recente lo studio e ha pubblicato le linee guida per la gestione sostenibile delle acque in Svizzera (Progetto PNR 61).
L’Europa, dal canto suo, ha finanziato diversi progetti tra cui segnaliamo i risultati appena pubblicati dall’Università di Navarra (Spagna) per il progetto RegaDIOX.

Dopo accurate analisi su territori aridi e umidi, il Centro per la Ricerca Scientifica Svizzero passa la parola alla politica. Dai risultati ottenuti emerge la possibilità di poter mantenere la produttività minimizzando il bisogno d’acqua e l’impatto ambientale da parte dell’agricoltura. L’approccio è di tipo interdisciplinare e richiede l’intervento politico in quando tende a cambiare una parte del paesaggio agricolo.
Innanzitutto bisogna migliorare l’efficienza dell’irrigazione, e questo è possibile anche cambiando il tipo di coltura. Visto che il clima cambia, gli agricoltori devono adeguare le proprie coltivazioni, soprattutto quelle invernali. Inoltre, nella scelta della nuova coltivazione bisogna tenere maggiormente presente il tipo di terreno e il paesaggio agricolo nel loro insieme. Infine, le pratiche agricole stesse devono adeguarsi a detti cambiamenti.
Secondo i ricercatori, in questo modo si può ottenere un’agricoltura che gestisca le risorse più che consumarle.
Gli agricoltori svizzeri sono quindi in attesa di maggiori dettagli per sapere come, cosa e quando apportare le dovute modifiche.

L’Europa si è mossa seguendo altre strade, ma anche dai risultati di ricerca pubblicati dall’Università Pubblica di Navarra, la soluzione è nella interdisciplinarità.
L’Università di Navarra partecipa al progetto RegaDIOX, finanziato dal programma europeo LIFE, con INTIA (The Navarrese Institute of Agrifood Technologies and Infrastructure) e Fundagro (Foundation for Rural Development in Navarre).
Anche in questo caso irrigazione, gestione del suolo, tipo di coltivazione e di fertilizzazioni sono risultati essere gli aspetti chiave per rispondere ai bisogni. In particolare molta attenzione è stata rivolta al suolo e alle sue caratteristiche. Infatti è possibile agire sulle caratteristiche del suolo per rendere quest’ultimo più idoneo alla ritenzione idrica. La capacità del suolo di trattenere l’acqua è legata alla sua porosità che può essere fornita dalla presenza di materiale organico. La cattura di materiale organico da parte del suolo avrebbe anche come conseguenza un miglioramento della fertilizzazione e una diminuzione dell’erosione. Se la materia organica viene fornita dalla normale decomposizione di foglie e parti di piante si può raggiungere un duplice scopo: si aumenta la parte organica nel suolo e si limitano le emissioni di gas serra. Difatti, durante la normale decomposizione di materiale organico si sviluppa dell’anidride carbonica che poi viene liberata nell’atmosfera. Trovare il modo di catturare la CO2 intrappolandola nel suolo, potrebbe portare alla soluzione del problema ottenendo un doppio beneficio.
La capacità di cattura è ridotta nei suoli agricoli, ma lo studio dimostra come una diversa gestione del suolo possa comportare una maggior capacità di ritenere CO2. Sono stati analizzati diversi suoli in aree tradizionalmente umide, aree coltivate ad erbacee (mais, foraggio, alfalfa, orticole…) e aree con colture permanenti (vigne e olivi).
I risultati ottenuti devono essere rielaborati in modo da poter essere impiegati direttamente dagli agricoltori.

Per saperne di più:
Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica
Università Pubblica di Navarra

La fertilizzazione causa e cura dell’effetto serra

Ricercatori dell’Università di East Anglia, Norfolk – UK, hanno trovato il modo di diminuire le emissioni di protossido di azoto (N2O) nel settore agricolo. Il protossido di azoto (anche conosciuto come ossido nitroso o ossido di diazoto) è un gas con una capacità specifica per il riscaldamento globale pari a 300 volte quella della CO2 e la cui concentrazione nell’atmosfera, negli ultimi 100 anni, è aumentata del 20%. Questo aumento è dovuto a un fattore antropico, riconducibile principalmente a un largo uso di fertilizzanti di sintesi a base azotata, a cui si aggiunge una naturale persistenza a livello atmosferico.

Il contributo all’effetto serra causato dall’agricoltura, secondo alcuni ricercatori, non viene tenuto in dovuta considerazione.
Secondo i calcoli svolti dal Prof. Crutzen dell’istituto Max Planck di Mainz (Germania), infatti, i benefici dovuti alla riduzione in emissioni di CO2 vengono annullati dall’aumento delle emissioni azotate da parte dei fertilizzanti.
Il Prof. Li dell’Università di New Hampshire (USA) sottolinea come il sequestro del carbonio da parte dei suoli arati influisca sull’aumento delle emissioni di N2O, che di fatto controbilancia la riduzione nell’emissione di anidride carbonica.
Nonostante questi studi non siano pienamente condivisi, mettono comunque in evidenza un problema.

La nuova ricerca pubblicata dai ricercatori dell'Università di East Anglia (Norfolk – UK) si concentra sull’analisi dei processi a cui sottostanno i nutrienti e quindi di come l’agricoltore stesso possa intervenire per mitigare questo effetto.
L’azoto antropogenico rientra nel ciclo atmosferico sotto forma di azoto e ossidi di azoto (N2, N2O e NO) che sono prodotti di trasformazioni di ossido-riduzione di tipo microbico dell’azoto minerale. La ricerca si è concentrata proprio sul processo chiamato di denitrificazione, ovvero una serie di reazioni chimiche che avvengono nei batteri in condizioni di scarsità di ossigeno e abbondanza di azoto. I batteri denitrificanti convertono i nitrati presenti nel suolo in azoto molecolare (N2) passando per l’intermedio N2O. Il processo nel suo complesso è stato già ampiamente studiato, ma la novità di questa ricerca consiste proprio nello studio del gene responsabile della decodifica all’interno dell'N2O reduttasi (nosZ), ovvero dell’enzima catalizzante la reazione per la conversione di N2O a N2.
I ricercatori inglesi hanno dimostrato che l’emissione elevata di protossido di azoto è una conseguenza di una diminuzione dell’attività cellulare del nosZ. Questo è dovuto al fatto che il batterio passa da un percorso di reazione di biosintesi dipendente dalla presenza di vitamina B12 ad un altro percorso indipendente dalla presenza di vitamina B12 stessa. Questo secondo percorso non porta alla denitrificazione completa, bensì si arresta all’intermedio N2O. Per spingere il nosZ a preferire il primo percorso si può agire aggiungendo vitamina B12 o, più semplicemente, del rame. Lo studio ha infatti dimostrato che, essendo il gene responsabile della biosintesi sensibile alla concentrazione extracellulare di rame, un aumento della concentrazione di rame fa preferire il primo meccanismo di reazione.

Di conseguenza, le emissioni di protossido di azoto possono essere diminuite impiegando fertilizzanti contenenti del rame. Fertilizzanti di questo tipo sono già disponibili in commercio in quanto in uso nei suoli deficitari di rame.

La ricerca continua con i confronti delle emissioni in N2O di suoli ricchi di rame e quelli poveri. Inoltre devono essere definite le modalità operative di intervento, compreso quando e quanto rame aggiungere al terreno.
La ricerca continuerà all’interno di un progetto di 5 milioni di euro per gli studi sulla produzione e consumo nei batteri di ossido nitroso effettuati dal gruppo transazionale “Alleanza per la Ricerca sull’Ossido Nitroso” (Nitrous Oxide Research Alliance – NORA). NORA è un progetto di ricerca creato all’interno del settimo programma quadro; iniziato a gennaio 2013 ha una durata di 4 anni, e vede la partecipazione di diversi enti esponenti del mondo industriale, accademico e istituzionale.

Per saperne di più:
University of East Anglia
NORA Project
Articolo Prof. Crutzen “N2O release from agro-biofuel production negates global warming reduction by replacing fossil fuels
Articolo del prof. Li “Carbon Sequestration in Arable Soils is Likely to Increase Nitrous Oxide Emissions, Offsetting Reductions in Climate Radiative Forcing