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Un nuovo studio per determinare se e quanto i residui dei pesticidi siano biodegradabili

Il Centro Helmoltz di Ricerche per l’Ambiente (UFZ) di Leipzig è specializzato in ricerche sulle complesse interazioni tra gli uomini e l’ambiente in contesti come le risorse idriche, la biodiversità, il cambiamento climatico, e poi  biotecnologie, bioenergia, destino dei prodotti chimici nell’ambiente e loro effetto sulla salute umana.
Da diversi anni il Centro si occupa dell’impatto dei pesticidi sull’ambiente e partecipa a progetti finanziati dall’Unione Europea proprio su questo settore.
Di particolare importanza sono risultati i progetti RAISEBIO, da poco concluso, e MAGICPAH, progetto tuttora in corso.
Proprio all’interno di questi due progetti svolti in collaborazione con l’Università Tecnica Rhine-Westphalian di Aachen (RWTH) e l’Università Tecnica di Danimarca, si è svolta una ricerca su nuovi metodi di classificazione per i pesticidi.
I risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista “Critical Reviews in Environmental Science and Technology”, con il titolo “Classification and modelling of non-extractable residue (NER) formation of xenobiotics in soil – a synthesis”.

Nell’articolo si illustra un nuovo metodo di identificazione ed un modello che permette di classificare i pesticidi in base alla biodegradabilità del pesticida e dei suoi derivati.
E’ importante infatti specificare che non tutti i pesticidi sono causa di inquinamento ambientale, contaminano il suolo o hanno un impatto negativo sulla la biodiversità. E’ bene infatti ricordare che proprio i pesticidi hanno un ruolo importante nell’agricoltura moderna.
Attualmente nel mondo sono circa 5.000 i tipi di pesticidi impiegati, ognuno caratterizzato da una particolare efficacia e impatto ambientale. Alcuni pesticidi sono facilmente biodegradabili, mentre altri impiegano più tempo e quindi persistono nell'ambiente più a lungo, e alcuni altri ancora creano legami chimici con le varie componenti del suolo dando origine ai così detti residui legati (bound residues). Finora si era assunto che tutti questi legami fossero di per sé tossici, pertanto tutti i pesticidi che formano oltre il 70% di residui legati sono considerati automaticamente fuori norma.
Il gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Kästner, ha voluto approfondire il destino dei pesticidi una volta immessi nell’ambiente. Per questo scopo ha impiegato il metodo del 13C, ovvero ha marcato con il 13C i pesticidi e quindi li ha utilizzati in diversi tipi di suolo ciascuno con caratteristiche differenti. I campioni prelevati, trattati ed analizzati con uno spettrometro di massa, hanno permesso agli scienziati di individuare tutti i residui e i prodotti di degradazione generati.
A questo punto è iniziata la parte più innovativa e più importante della ricerca: partendo dai dati analitici raccolti, si è creata una classificazione dei prodotti di degradazione e dei residui legati nonché un modello applicabile a tutti i pesticidi.
I pesticidi vengono così suddivisi in tre tipologie:

·         Tipo 1:  il pesticida stesso o i suoi prodotti di degradazione di componente organica si depositano o vengono aggregati nel suolo (humus), e, in linea di principio, possono essere rilasciati in qualsiasi momento;

·         Tipo 2:  il pesticida o i suoi prodotti di degradazione si legano chimicamente all’humus e quindi possono essere rilasciati solo con difficoltà;

·         Tipo 3:  il pesticida viene completamente decomposto dai batteri e il carbonio contenuto viene trasportato dai batteri alla biomassa.

Pertanto, i pesticidi appartenenti alle categoria 1 e 2 devono essere catalogati e considerati potenzialmente tossici, mentre tutti quelli appartenenti al tipo 3 possono avere il completo via libera, senza il timore dell’insorgenza di problemi futuri.

Le autorità tedesche stanno attualmente considerando l’ipotesi di inserire questa nuova classificazione nelle loro norme. Questo avrebbe come conseguenza il completo via libera di due pesticidi risultati di tipo 3: l’acido 2,4 diclorofenossiacetico (2,4-D) e l’acido 2 metil 4 clorofenossiacetico (MCPA).

Per saperne di più:
UFZ(Helmotz Center for Environmental Research)
Progetto RAISEBIO: Risk Assessment and Environmental Safety Affected by Compound Bioavailability in Multiphase Environments (RAISEBIO)
Progetto MAGICPAH: Molecular Approaches and MetaGenomic Investigations for optimizing Clean-up of PAH contaminated sites (MAGICPAH)
Articolo completo “Classification and modelling of non-extractable residue (NER) formation of xenobiotics in soil – a synthesis” sul Journal of Critical Reviews in Environmental Science and Technology

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La nuova patata “che dà la vita” viene dal Perù

Il Perù ha presentato a dicembre una nuova varietà di patata ottenuta tramite incroci con altre varietà locali. In Perù evistono migliaia di varietà di patate autoctone e la ricerca per nuove varietà è molto attiva. Questa ricerca ha coinvolto principalmente l’Istituto Nazionale per l’Innovazione in Agricoltura (INIA), il Centro Internazionale della Patata (CIP), l’Università per lo Sviluppo Andino di Huancavelica (UDEA), CARE Perù, PRISMA, CAPAC Perù, ADERS Perù e piccoli agricoltori della zona di Huancavelica. La ricerca, durata quattro anni, ha portato alla selezione di una nuova varietà denominata INIA 321 – Kawsay.
Kawsay in quechua significa “alimento che da la vita”. Tale denominazione la patata se l’è guadagnata in quanto il governo peruviano stima di poter lottare contro la malnutrizione infantile proprio con questo tubero. Infatti, a differenza delle altre patate normalmente coltivate, la Kawsay presenta una concentrazione maggiore di ferro, zinco e vitamina C. In particolare la Kawsay presenta un contenuto in ferro pari a 18.50mg/kg contro i 8-12mg/kg delle altre patate normalmente coltivate in Perù. Questa caratteristica potrebbe quindi essere determinante nel combattere l’anemia, problematica presente nei popoli andini e, al tempo stesso, rende questa patata un alimento potenzialmente essenziale per la nutrizione di bambini a partire dai 6 mesi.
Questa patata si adatta molto facilmente all’ambiente peruviano. Le prove su campo finora condotte hanno dimostrato ottime rese nelle zone andine comprese tra i 2500 e i 4100 m s.l.m., dove il clima si presenta temperato durante l’estate e freddo d’inverno. Inoltre, la crescita della Kawsay è favorita da un clima piovoso. Lo sviluppo di malattie fungine, come quelle supportate da Phytophthora infestans, favorite da clima umido e piovoso come quello dell'ara andina in oggetto, non costituisce un problema per la Kawsay. Questa varietà infatti dimostra una resistenza genetica alla peronospora (malattia che colpisce patate, pomodori, melanzane e solanacee in generale, oltre ad altre coltivazioni, causata proprio dalla presenza del fungo Phytophthora infestans).
La resistenza della Kawsay alla peronospora è un fattore importantissimo. Questa malattia, infatti, esige un intervento immediato da parte dell’agricoltore onde evitare la completa distruzione del raccolto. È stata proprio la peronospora la causa della grande carestia che ha colpito l’Irlanda nel 1800.
Un altro fattore positivo di questa varietà è la resa. Su suolo andino, le patate producono intorno alle 10 tonnellate per ettaro, mentre con la Kawsay si può ottenere una resa tra le 20 e le 25 ton/ha.
La resistenza alla peronospora e l’alta resa, dovrebbero avere un’ulteriore conseguenza positiva, ovvero maggiori entrate per il coltivatore, soprattutto per il piccolo agricoltore andino.
La Kawsay si presenta come una patata bianca, in quanto ha un colore chiaro, ma in aggiunta è farinosa, come la patata rossa. Risulta essere una patata saporita che si presta molto bene a quasi tutti i tipi di cottura: al forno, per zuppe, per gnocchi e purea; i risultati sono buoni anche nella frittura.
L’immissione di questa nuova patata nel mercato peruviano è da prevedere per giugno 2014. Da qui, se le aspettative verranno confermate, si potrà poi espandere ad altri mercati.

Per saperne di più:
INIA – Istituto Nazionale per l’Innovazione in Agricoltura
Andina
International Potato Center

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Prodotti ortofrutticoli di IV gamma sicuri: le ricerche recenti su fragola e lattuga

Quelli di IV gamma, detti anche “minimally processed foods” o “fresh-cut”, sono prodotti ortofrutticoli freschi venduti già pronti per il consumo. La commissione agroalimentare dell’Ente Nazionale Italiano di Unificazione (UNI) ha elaborato, per rispondere alle necessità del consumatore, una norma ad hoc, la norma UNI 11350, che dà indicazioni chiare su definizione, requisiti, principi generali e, quindi, sulla sicurezza del cibo stesso.
La ricerca internazionale è impegnata nella sperimentazione di nuovi metodi per rispondere alle norme più restrittivengenti e ottenere, al tempo stesso, che tali prodotti mantengano il più a lungo possibile le loro caratteristiche organolettiche principali.

Un gruppo di ricercatori ha sperimentato l’impiego dell’acido peracetico nell'acqua di lavaggio durante il processo di lavorazione della fragola per la produzione di IV gamma. Lo scopo è quello di ridurre la carica microbica e di conservare al tempo stesso il contenuto totale di antocianine e acido ascorbico. È di fondamentale importanza, infatti, che i frutti mantengano inalterato sia il profumo e il gusto, sia il contenuto di vitamine e sostanze antiossidanti.
Per la ricerca sono state saggiate diverse concentrazioni di acido peracetico (0, 50, 100 mg/l), diverse temperature (4, 22, 40°C) e diversa durata del trattamento (10, 65, 120 sec). Per lo studio si è considerata la fragola Camarosa. Durante il processo di lavorazione, le fragole sono state lavate con acqua potabile, di rubinetto, poi tagliate in 4 spicchi e infine lavate con la soluzione contenente l'acido peracetico secondo i trattamenti sperimentali previsti.
I dati sono stati analizzati ipotizzando due situazioni:

  • massimizzare la riduzione della carica microbica preservando però il 90% di antocianine e acido ascorbico;
  • massimizzare il contenuto in antocianine e acido ascorbico con una riduzione della carica microbica di 2 unità logaritmiche di Unità Formanti Colonia per grammo (log UFC/g).

Dai risultati è emerso che nel primo caso è necessario utilizzare 100 mg/l di acido peracetico a 24°C per 50 sec, mentre nel secondo è necessario utilizzare 20 mg/l di acido peracetico a 18°C per 52 sec. Quest’ultimo caso è quello consigliato in quanto rappresenta il miglior compromesso: la carica microbica sulle fragole è stata ridotta di 1.4 log CFU/g, mantenendo però l’88.4% delle antocianine e il 95.2% di acido ascorbico, le caratteristiche organolettiche rimangono inalterate e il consumo di acido peracetico è minimizzato.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Gent (Belgio) ha valutato invece il rischio di contaminazione crociata durante il lavaggio della lattuga di IV gamma. In particolare hanno studiato il trasferimento di Escherichia coli, E.coli Enteroemorragico (o E.coli O157), batteriofago MS2 (virus in grado di infettare delle cellule batteriche quale l’E.Coli) e norovirus murino dall’acqua di lavaggio alla lattuga e dalla lattuga all’acqua di lavaggio.
Per lo studio, i ricercatori hanno creato delle situazioni limite: sono state impiegate due sole vasche di lavaggio (WB1 e WB2) con acqua potabile ma priva di disinfettanti. Questa tipologia di acqua è ancora molto diffusa in diversi Paesi Europei, ed è stata scelta proprio per capire pienamente la contaminazione crociata potenziale e ottenere quindi dati di riferimento utili per un'ulteriore valutazione del rischio.
I ricercatori hanno inoculato prima la lattuga per quantificare il trasferimento di patogeni dal vegetale all'acqua; successivamente hanno inoculato l'acqua per quantificare il passaggio di microorganismi dall'acqua al vegetale. La riduzione della carica batterica della lattuga inizialmente contaminata dopo il lavaggio è risultata molto contenuta mettendo quindi in evidenza la vulnerabilità dei prodotti ortofrutticoli di IV gamma alla contaminazione durante la fase del lavaggio. Ne consegue la necessità di utilizzare trattamenti disinfettanti nell’acqua di lavaggio per evitare la contaminazione crociata con il passaggio di microrganismi sul prodotto finale pronto al consumo.

Per saperne di più:
Norma UNI 11350
Wiley Online Library, abstract di: “Optimisation of the peracetic acid washing disinfection of fresh-cut strawberries based on microbial load reduction and bioactive compounds retention”, (International Journal of Food Science & Technology)
Abstract di “Quantitative study of cross-contamination with Escherichia coli, E. coli O157, MS2 phage and murine norovirus in a simulated fresh-cut lettuce wash process”