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Ricerca francese: una transizione agro-ecologica è possibile

.L’INRA (Istituto Nazionale francese per la Ricerca in Agricoltura) ha pubblicato il 22 ottobre 2013 i risultati di uno studio ventennale sulle modalità per una transizione agro-ecologica di successo. Tale transizione risulta essere applicabile ad ogni tipo di agricoltura praticata. Si può effettuare una transizione di successo sia che si pratichi un’agricoltura tradizionale, intensiva estrema o anche biologica, basta tenere presente i tre pilastri individuati come fondamentali:

a) impiego della biodiversità;

b) gestione del paesaggio e del territorio;

c) comprensione dei grandi cicli degli elementi.
I risultati di questo studio assumono ancor maggior valore alla luce della nuova PAC che chiede a tutti i settori agricoli di muoversi verso una modalità più Green.

 

Miglior utilizzo della biodiversità
L’impiego di diverse varietà di grano si è rivelata una formula vincente in quanto non solo è stato rilevato un minor impatto della Puccinia graminis(ruggine del grano) ma anche si è stabilizzato il rendimento e migliorata la tenuta delle proteine, parametro importante ai fini dell’impiego nella panificazione.
La biodiversità varietale migliora la micorrizazione delle radici nelle coltivazioni perenni e, nei pomodori, si è anche vista una migliore resistenza delle piante allo stress.
Gli allevamenti misti hanno dato ottimi risultati, in particolare si è dimostrato che i pascoli misti di caprini e bovini hanno portato all’aumento delle prestazioni nei caprini con un maggiore consumo di foraggio e una maggiore resistenza ai parassiti.
Gli studi sono ancora aperti sulle soluzioni alternative agli antibiotici per diminuire il rischio di antibiotico-resistenza. La diversità genetica dell’ospite come quella del patogeno è una delle piste prese maggiormente in considerazione.

 

Gestione del territorio
Le attività agricole che si inseriscono nel paesaggio, tenendo conto degli elementi fissi (zone umide, fasce tampone inerbite)dimostrano un miglior impatto non solo paesaggistico, ma anche sul trasferimento di acqua e elementi nutritivi. Le zone umide artificiali hanno dimostrato di poter trattenere efficacemente i pesticidi irrorati sulle colture. Inoltre, modificare i sistemi di coltivazione e la loro dislocazione nello spazio e nel tempo in funzione della disponibilità d’acqua, permette di limitare e ottimizzare l’uso delle risorse idriche.
La presenza tra le varie colture di miscele di piante capaci di produrre nettare e polline, può favorire la presenza di impollinatori (es. api domestiche).
La regolazione dei bio-aggressori può essere ottenuta attraverso il mantenimento di una fauna ausiliare ottenibile con la messa in opera di spazi appositi (zone fiorite di facile manutenzione, alberi morti, …) idonei per la nidificazione di rapaci notturni o di pipistrelli.

 

Gestione sostenibile dei grandi cicli (C, N, P)
Per ridurre la dipendenza dei sistemi agricoli dai concimi minerali di sintesi, si può utilizzare la regolazione biologica del suolo.
Tra le azioni possibili, la migliore, cioè quella che meglio chiude i grandi cicli biochimici (cicli di carbonio, azoto, fosforo), è rappresentata dall’integrazione tra agricoltura e allevamento con l’impiego del materiale organico di scarto in agricoltura e la valorizzazione dei reflui per la produzione di energia (biometano).
Altrimenti è possibile aumentare la quantità di azoto nel terreno coltivando più leguminose. In questo caso, si limitano anche le emissioni ad effetto serra.
Infine, sulla base di un’approfondita conoscenza della biodiversità e fertilità del proprio suolo, si può creare un piano di fertilizzazione ad hoc.

Per saperne di più:

INRA
Nuova PAC

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“Greenwoolf”: come trasformare le lane di scarto in fertilizzanti azotati

Il progetto “GreenWoolf” è nato dalla collaborazione dei ricercatori del CNR di Biella, specializzati nella ricerca sulle fibre tessili, dei ricercatori del Politecnico di Torino, esperti in materia di progettazione, e l'azienda meccano tessile di Biella, Obem spa, specializzata nella produzione di macchinari per l'industria, soprattutto tessile, fin dal 1946. Il progetto punta a recuperare le lane di scarto trasformandole in fertilizzanti azotati attraverso la realizzazione di un'apposita apparecchiatura. Si tratta di un importante dialogo fra le conoscenze più teoriche e il “saper fare” più pratico, è la considerazione di Paolo Barchietto, contitolare di Obem Spa, che permette soluzioni applicabili da subito all’attività quotidiana.

Tre gli anni di sviluppo del progetto, come illustrato da Sicardi, docente di “Principi di Ingegneria Chimica” del Politecnico di Torino: vanno dall'idrolisi delle lane sudicie con acqua surriscaldata, allo studio dei parametri di reazione, la progettazione e costruzione dell'impianto prototipale, la sperimentazione sull'impianto, la valutazione in campo del fertilizzante otenuto e la diffusione dei risultati. Il progetto richiede un investimento di circa tre milioni di euro, finanziati al 50% dall'Unione europea nell’ambito del programma Life+.Prevede la realizzazione e sperimentazione di un innovativo impianto di idrolisi verde che trasforma in fertilizzante organico sia la lana di vecchi indumenti che quella degli scarti di tosatura. Si sfrutta acqua surriscaldata, attraverso un processo pulito di lavorazione, e si ottiene lana idrolizzata, un fertilizzante organico che aumenta il contenuto di carbonio e la capacità di trattenere l’acqua del terreno evitando l’uso di concimi di sintesi. Se l’efficacia del processo per riciclare lane di scarto, cascami, lana rigenerata o altri capi di abbigliamento a fine vita verrà dimostrata, la produzione di concime organico può divenire una realtà importante.

Il progetto, che si configura di elevata sostenibilità ambientale, può avere anche interessanti ricadute dal punto di vista economico se si pensa che secondo la normativa europea la cosiddetta lana sudicia, cioè grezza non lavata, ottenuta dopo la tosatura, è un rifiuto speciale e richiede quindi costi di smaltimento notevoli. Poiché abbandonare la lana sudicia nei campi è illegale, la tecnologia messa a punto da ISMAC-CNR rappresenta un modo efficace per riciclare questo tipo di biomassa, migliorando anche la qualità di pascoli e terreni. L'obiettivo, a lungo termine, è avviare un impianto pilota che possa dare vita a una vera e propria filiera, con prospettive occupazionali e di sviluppo in paesi caratterizzati da numerosi allevamenti di ovini.

Il progetto ha ottenuto l'appoggio della Confederazione Italiana Agricoltori, di “Po.in.tex”, Polo di innovazione tessile della Provincia di Biella e della Regione Piemonte.

Tra le ricadute positive del progetto non si può trascurare la formazione di giovani ricercatori in questo ambito specifico e la valorizzazione di personale che possa gestire il nuovo processo industriale.

Per saperne di più:

Almanacco della Scienza del CNR

Guida CRPA sui concimi azotati

Progetto Greenwoolf
 

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Biometano: una risorsa da sfruttare al meglio

Per raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di gas effetto serra e aumentare la quota di carburanti alternativi e rinnovabili come richiesto dalla Dir. 2009/28/CE entro il 2020, i veicoli urbani ed extraurbani per il trasporto su strada dovranno essere molto più efficienti.

L’uso di un carburante più pulito diventa basilare. Il metano e ancora di più il biometano destano molto interesse in quanto risultano in grado di ridurre i livelli di inquinamento urbano (il gas naturale produce i più bassi livelli di emissioni nocive), minimizzare le emissioni che hanno maggiore impatto sulla qualità dell’aria, produrre il 23% in meno di emissioni di CO2rispetto al diesel e, nota molto importante, il biometano è una fonte rinnovabile.

Si tratta quindi di un’alternativa al petrolio immediatamente disponibile, che può contribuire a una mobilità più sostenibile.

In questo quadro si inserisce il progetto BIOMASTER cofinanziato dal programma IEE che include 17 partner distribuiti tra Austria, Italia, Polonia, Svezia e Regno Unito.

In Austria, Germania, Svezia, Svizzera e Paesi Bassi il biometano rappresenta già un terzo del gas utilizzato per i trasporti. Con il progetto si cerca di estendere l’impiego del biometano attraverso la promozione di quattro Reti Regionali di Sito, una in ognuna delle quattro regioni target ossia: Malopolska(Polonia), Norfolk (Regno Unito), Scania(Svezia), Trentino(Italia). Attualmente in queste regioni la filiera è alquanto spezzettata, il progetto cerca quindi di dare omogeneità, di rimuovere barriere tecnologiche, legali, organizzative e finanziarie e, al tempo stesso, di creare alleanze tra produttori e utilizzatori.

Uno dei problemi affrontati è lo sviluppo e la proprietà delle stazioni di rifornimento. La costruzione di quest’ultime è molto costosa e contraddice l’idea di creare tante piccole pompe nel territorio, di proprietà del produttore stesso. Nello studio è stata quindi valutata l’idea di impiegare per la distribuzione la normale rete del metano.
Dall’analisi del territorio sul tipo di biogas prodotto e sulle diverse modalità di distribuzione, è emerso che la rete di distribuzione del gas nei paesi esaminati è in grado di gestire volumi anche maggiori di gas e per i diversi usi. Tuttavia nel territorio la presenza di distributori è alquanto disomogenea, basti pensare all’Italia dove il 55,2% dei distributori si trova al nord, 28,4% al centro e 16,4% al sud. Inoltre, la costruzione di nuove stazioni di rifornimento procede a rilento. Nel progetto si studiano pertanto i motivi e si effettuano studi tecnici e finanziari per trovare delle soluzioni convenienti. Per consultare lo studio completo, si veda l’allegato in inglese.

Il secondo studio pubblicato nei giorni scorsi riguarda la possibilità tecnica e normativa di usare il biometano nei trasporti. Tutti i tipi di trasporti su ruota vengono presi in considerazione, dalle autovetture alle macchine agricole. Le caratteristiche tecniche che un veicolo deve possedere per funzionare a biometano dipendono dalle normative specifiche per ciascun stato. Quindi il primo passo è cercare di uniformare i requisiti e poi incentivare l’utenza a impiegare veicoli a biometano. L’Italia si presenta un passo avanti rispetto agli altri tre paesi in esame in quanto sono presenti incentivi statali per l’acquisto di veicoli a metano, ma l’utenza non è sensibilizzata ai veicoli a biometano. Proprio per sensibilizzare i possibili utenti all’uso del biometano, si è organizzato un seminario a Legnaro (PD). La scelta del luogo non è casuale, in quanto il Veneto risulta essere all’avanguardia negli impianti agricoli e industriali di biogas. Per maggiori dettagli si veda l’allegato in inglese.

Per saperne di più:
Progetto Biomaster
Intelligent Energy Europe
Seminario a San Michele all’Adige del 18/9/13