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Trichosafe®. Nuova tecnologia per attuare biocontrollo su piralide del mais

Il 18 luglio 2013, nelle provincie di Novara, Milano e Lodi, è stata presentata sul campo in anteprima europea la nuova tecnologia Tricosafe® per la distribuzione meccanica di Trichogramma brassicae.

Trichosafe® è una tecnologia altamente innovativa che consente di accelerare i tempi di distribuzione.

Lanciatore di contenitori Tricosafe@

Il lanciatore di Trichosafe®

Allo stato attuale, il prodotto distribuito da DE SANGOSSE ITALIA e fabbricato da BIOCARE, consiste in una tavoletta da applicare a mano sulle foglie del mais. Con la tecnologia Trichosafe®la distribuzione è affidata ad un apposito lanciatore pneumatico montato frontalmente o posteriormente a un "trampolo" agganciato a sua volta al trattore.

 

Il lanciatore montato frontalmente al trattore

Dal lanciatore vengono eiettati degli ovuli che non sono altro che dei contenitori di alcuni centimetri di diametro che ospitano al loro interno uova di trichogramma a diversi stadi di maturazione (7 nella formulazione adottata). L'ovulo garantisce la protezione delle uova dalla luce ed è adeguato a sopportare la cinetica di lancio.
Trichosafe®è in grado di diffondere 100 ovuli ad ettaro contenenti uova fertili di Trichogramma.

Il trichogramma brassicae è un insetto imenottero parassitoide le cui femmine depongono l’uovo all’interno dell’uovo di lepidotteri come l’Ostrinia nubilalis (piralide del mais) per poi nutrirsi della larva del lepidottero ospitante. I trichogrammi sono della stessa famiglia delle vespe, sono completamente inoffensivi e misurano circa 0.5 mm, infatti si parla di micro vespe.

Da ogni ovulo si schiuderanno e prenderanno il volo, in 7 ondate successive e programmate (circa 1 ogni 4 giorni, in 28 giorni) tanti individui di trichogramma brassicae che parassitizzeranno le uova di Ostrinia nubilalis e di altri lepidotteri parassiti, deponendo il proprio uovo all'interno delle uova del lepidottero, presenti in quell'arco di tempo sulle pagine inferiori delle foglie di mais.

Il numero di femmine di trichogramma introdotte con questo prodotto risulta essere ottimale e addirittura superiore rispetto alla norme stabilite dall’Organizzazione Internazionale per la Lotta Biologica(OILB); BIOCARE infatti garantisce un’immissione di 220.000 femmine di trichogramma brassicae a ettaro.
Sono previsti 2 trattamenti con caratteristiche differenti: il primo, detto G1, per la piralide di prima generazione, il secondo, G2, per la piralide di seconda generazione.

Il trasporto e lo stoccaggio degli ovuli ha gli stessi limiti delle tavolette già in uso. Il trichogramma infatti è sensibile alla temperatura, all’umidità e al fumo. Si consiglia infatti di applicarlo entro 3-4 giorni dall’acquisto e nel frattempo cercare di mantenerlo tra i 10-15°C con umidità pari al 70% e di limitare al massimo i trasporti in auto.

Il lanciatore, sicuro e di uso semplice, rappresenta un'evoluzione importante per aumentare la possibilità di biocontrollo dei danni da piralide, spesso ingenti sia riguardo alla quantità che alla qualità e alla salubrità degli alimenti, anche zootecnici, prodotti da mais.
La tecnologia Trichosafe®infatti consente di intervenire in anticipo, rispetto alla soglia normalmente individuata per il trattamento "chimico" e di "coprire" un periodo di sviluppo della piralide molto superiore e difficilmente confrontabile con altre tecnologie.
Trichosafe®inoltre non ha tempi di carenza, non presenta residui sulle colture, è utilizzabile in agricoltura biologica ed è uno strumento che ben si inserisce nei programmi di difesa integrata.

Fonti:
Organizzazione Internazionale per la Lotta Biologica (OILB)
Ufficio Federale dell’Agricoltura – UFAG
De Sangosse Italia

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Siero di latte: biotecnologie per valorizzare un sottoprodotto dell’industria alimentare italiana

Il comparto lattiero caseario figura al primo posto del “Made in Italy” alimentare con un fatturato sempre in crescita nell’ultimo decennio. Circa il 94% in volume del latte impiegato per la caseificazione è costituito da siero; si tratta di un prodotto ad alto valore aggiunto che in Italia viene destinato prevalentemente all'uso zootecnico, mentre in altri paesi viene utilizzato per produrre bevande e integratori alimentari.

Nel nostro paese il siero non trova collocazione nei settori alimentare e nutraceutico perché viene considerato un rifiuto speciale dall’attuale normativa ambientale, a causa del suo alto carico inquinante. Il problema dello smaltimento è pertanto molto sentito presso i caseifici, i quali, soprattutto al nord, cedono ingenti quantitativi di siero a grandi gruppi industriali esteri che ne ricavano prodotti raffinati ad alto valore aggiunto, ampiamente ricollocati anche sul mercato italiano.

Sono in corso, ormai da anni in Italia, studi e sperimentazioni su come controllare la carica batterica e stabilizzare il prodotto; azioni necessarie per poter procedere alla lavorazione in loco del siero e ricavarne un prodotto commerciabile ad uso umano e zootecnico.

Facciamo qui riferimento a:

– una recente sperimentazione condotta presso l’Università di Padova, Dipartimento di Medicina animale, Produzione e Salute, che mette in rilevo il ruolo dei Microorganismi EM in grado di abbattere la carica batterica che danneggia in breve tempo la qualità del siero di latte.

– un processo messo a punto dall’ENEA e brevettato nel 2003 (brevetto n.RM2003A000114), per depurazione/recupero del siero di latte.

La sperimentazione dell’Università di Padova, guidata dal Prof. Valerio Giaccone, conclusasi a febbraio 2013, è stata condotta per valutare l’efficacia stabilizzante di uno specifico preparato a base di fermenti probiotici naturali sul siero di caseificazione non acido. Lo scopo del proponente, la ditta Punto EM s.r.l., è di usare il suddetto preparato EM per aumentare la conservabilità del siero dolce di caseificazione, in modo da sfruttare al meglio il valore nutritivo quando viene somministrato agli animali in allevamento.

La microflora nel siero di caseificazione è mediamente alta. I batteri lattici, di regola, costituiscono una frazione significativa di questa carica microbica, che annovera anche parte dei coliformi totali e fecali che erano presenti nel latte; inoltre, se il formaggio è prodotto con latte crudo, nel corso del processo produttivo nel siero possono raccogliersi anche cariche consistenti di micrococchi, lieviti e muffe che, col loro metabolismo degradativo, possono rapidamente degradare il siero, impedendone un suo razionale utilizzo in zootecnia. Per valutare l’efficacia antimicrobica stabilizzante del prodotto EM sono state condotte analisi microbiologiche su due tipologie di campioni: uno trattato con EM e uno non trattato.

L’esame microbiologico ha riguardato la determinazione quantitativa di: pH, Carica Microbica Totale (CMT), Batteri lattici (Lactobacillus e cocchi lattici), Coliformi Totali, Pseudomonas spp., Micrococcus spp., Staphylococcus spp., muffe e lieviti.

I risultati delle determinazioni analitiche condotte evidenziano l’abbattimento della flora negativa. Questa biotecnologia può permettere quindi la “sterilizzazione” del siero attraverso l’uso di microorganismi efficaci senza alterare le caratteristiche e le proprietà originali del prodotto.

L’invenzione ENEA consiste, invece, in un procedimento per il trattamento del siero basato su tecnologie di membrana che consentono di separare e valorizzare efficacemente tutte le sue componenti chimiche: in tal modo esse possono essere destinate alla produzione di prodotti ad alto valore aggiunto, come integratori alimentari a base di sieroproteine, zuccheri più o meno idrolizzati, che insieme ad un’acqua ultrapura possono dare origine a una bevanda speciale interamente ottenuta dalla matrice siero.
In questo schema di processo l’iniziale carico inquinante del siero scompare definitivamente. La bevanda contiene zuccheri, fra cui derivati ad attività prebiotica (Galattooligosaccaridi – GOS), vitamine, sali minerali in equilibrio osmotico con il sangue e altri prodotti speciali come i peptidi bioattivi, vale a dire frazioni di molecole proteiche, molto importanti perché regolano la pressione arteriosa, modulano la difesa immunitaria e la condizione di benessere (sostanze ad attività oppioide).

La tecnologia oggetto del brevetto[1] ENEA, per la sua facilità di impiego ha già trovato inserimento in caseifici di piccole dimensioni nel Sud Italia che ne usufruiscono, ad esempio, per un recupero notevole di energia sotto forma di acqua calda.

Fonti:

ENEA: 
In funzione ad Eboli il primo impianto industriale per il trattamento dei reflui caseari basato su brevetto ENEA
Pagina ENEA sul brevetto RM2003A000114

Punto EM 
Benvenuti in Punto EM S.r.l
Studio effettuato dall'Università di Padova 
Prof. Valerio Giaccone

 



[1] L'invenzione riguarda un procedimento di depurazione/recupero del siero di latte e, più in generale, degli effluenti liquidi provenienti dalle industrie lattiero-casearie, per ottenere prodotti utilizzabili in agricoltura, zootecnia e per vari usi industriali, oltre ad acqua riutilizzabile all’interno della stessa azienda o da altri utenti del circondario, o direttamente scaricabile nella rete fognaria in conformità alle vigenti leggi di tutela ambientale. Il procedimento consiste nella concentrazione termica del siero e, più in generale degli effluenti liquidi di caseificio ed è destinato essenzialmente alle piccole e medie aziende casearie che intendono trattare il siero al termine delle lavorazioni quotidiane e/o all’inizio del ciclo di lavorazione successivo. E' inoltre tecnicamente individuato un schema di impianto, per l'attuazione del detto procedimento, costituito sostanzialmente da un concentratore a volume costante con scambiatore a circolazione forzata alimentato con vapore d’acqua a bassa pressione, che consente di produrre un concentrato di siero e riscaldare acqua di consumo per gli usi del caseificio.

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Pascoli e cambiamenti climatici

Sono molti gli studi sui cambiamenti indotti dall’innalzamento delle temperature nelle zone alpine, citiamo per tutti, a livello internazionale, GLORIA (Global Observation Research Initiative in Alpine Environments) e a livello locale gli osservatori meteo del Centro Meteorologico Lombardo e A.R.P.A.

Tutti gli studi e i monitoraggi mettono in rilievo come gli effetti del riscaldamento globale si riflettano proprio sulle specie botaniche, in particolare sui versanti esposti a sud delle Prealpi, nei quali si assiste ad un rapido innalzamento della quota media di presenza di alcune essenze, fino a documentare alcune estinzioni locali, laddove l'altitudine limitata non consente ulteriori spostamenti. Infatti un aumento della temperatura in aree montuose si traduce in una "forza trainante", che innesca flussi migratori di specie verso quote più elevate.

Nel 2007 l'Università di Pavia ha pubblicato uno studio che ha dimostrato come le piante del gruppo del Bernina, sulle Alpi valtellinesi, negli ultimi 50 anni siano risalite in quota in modo consistente a causa del cambiamento climatico. Lo studio ha confrontato i dati raccolti nel 1959 dal botanico Augusto Pirola con quelli raccolti dai ricercatori dell'Università tra il 2003 e il 2005. Cinquantasei sono le specie migrate a quote più alte da 10 a 430 metri, tra cui la farfara e la genziana della Baviera, 25 sono le specie "nuove" trovate dai ricercatori, 15 quelle di cui si sospetta la scomparsa, a fronte di un aumento medio della temperatura nella zona di 1,2°C.

Le implicazioni a livello di sistema agrosilvopastorale sono ancora più gravi di quanto non siano quelle a livello di biodiversità; basti pensare che le specie foraggere rappresentano, secondo la FAO, la risorsa principale per la sopravvivenza di circa un miliardo di persone. Nelle regioni alpine italiane la superficie occupata da praterie e pascoli permanenti ammonta a circa 1.5 milioni di ettari, di cui gran parte localizzati in aree marginali dove svolgono, oltre a quella produttiva, numerose altre funzioni chiave per la vita dell’uomo (tutela e protezione del suolo, paesaggistica, turistica, ecc.).

Relativamente all’impatto dei cambiamenti climatici futuri, i risultati evidenziano effetti non rilevanti sulle aree a pascolo (riduzione massima della superficie -17%); maggiori preoccupazioni riguardano la loro composizione. Infatti, ad eccezione dei pascoli dominati da specie xeriche e dai Nardeti, che mostrano rispettivamente evidenti espansioni o lievi riduzioni, le condizioni climatiche future determineranno rilevanti contrazioni dell’areale di tutte le altre formazioni analizzate. Nello specifico, i macro tipi caratteristici delle zone più elevate (Firmeti, Seslerieti, Curvuleti) e quelli più rari (Pascoli ricchi) saranno quelli che presenteranno le riduzioni maggiori. Già a metà del secolo si prevede infatti la loro totale scomparsa.

A livello locale, gli studi condotti da GLORIA mettono in evidenza che il 60% di specie della flora delle Orobie rischia l'estinzione nel corso dei prossimi 80 anni.

Sulla base dei risultati ottenuti, il progressivo abbandono della gestione dei pascoli  e le contemporanee variazioni climatiche in atto comporteranno il reale rischio di perdere la peculiare biodiversità degli ecosistemi pastorali alpini.

La preoccupazione per questo fenomeno spinge anche associazioni locali a discuterne e a divulgare i risultati degli studi e dei monitoraggi attuati. A Oltre il Colle in Val Serina, sabato 13 luglio si è tenuto il terzo convegno meteo delle Orobie, promosso dall'Associazione Ultracollem e dal Centro Meteo Lombardo, durante il quale il metereologo Mazzoleni e altri esperti hanno cercato di dare risposte alle domande che anche il cittadino comune si pone.

La Regione Lombardia e in particolare la conca di Oltre il Colle, sono la parte più monitorata d'Italia per ciò che concerne la registrazione dei dati meteo soprattutto in quote elevate (osservatori meteo del Centro Meteorologico Lombardo e A.R.P.A.). Nel Convegno è stato presentato anche il nuovo Atlante di Meterologia Lombardo con ampi spazi dedicati alla zona bergamasca.

Con questa e altre iniziative simili, oltre agli studiosi e agli addetti ai lavori anche il cittadino comune, il turista e l’escursionista, possono prendere conoscenza dei problemi legati ai cambiamenti climatici nell’area alpina.

Fonte: Accademia dei Georgofili