condizionatori

Natural Based Solutions: soluzioni naturali per città più verdi e sostenibili

Il patrimonio edilizio globale raddoppierà entro il 2060 e tale crescita richiederà una maggiore domanda di aria condizionata. Le NBS (Natural Based Solutions) rappresentano una soluzione naturale per contrastare l’aumento della domanda di elettricità e le emissioni di gas serra derivanti dalla climatizzazione degli edifici


Il settore dell’edilizia è responsabile del 36 per cento del consumo finale di energia e del 39 per cento delle emissioni di biossido di carbonio a livello globale, di cui l’11 per cento deriva dalla produzione di materiali da costruzione come acciaio, cemento e vetro. Secondo il “Rapporto sullo stato globale del 2019 per edifici e costruzioni”, realizzato dalla Global alliance for buildings and construction (GlobalAbc), la principale fonte di consumo di energia negli edifici è costituita dagli impianti di aria condizionata (AC), utilizzati per il raffreddamento degli ambienti interni e che utilizzano energia elettrica generata prevalentemente da fonti fossili. A tal proposito, un recente rapporto pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) dal titolo “Il futuro del raffreddamentoevidenzia come nel 2016 erano in uso nel mondo 1,6 miliardi di AC, di cui 570 milioni di unità in Cina, 375 milioni negli Stati Uniti e poco più di 100 milioni nell’Unione europea (secondo le previsioni dell’Agenzia la quota di impianti di aria condizionata presente in Ue è destinato a salire a 167 milioni di unità entro il 2030). Secondo il rapporto dell’AIE, lo stock globale di condizionatori  negli edifici crescerà fino a 5,6 miliardi entro il 2050 (rispetto agli attuali 1,6 miliardi), mentre la domanda globale di energia dai condizionatori, che rappresenta quasi il 20 per cento dell’elettricità complessivamente utilizzata dagli edifici potrebbe triplicare entro la metà del secolo. I sistemi di aria condizionata generici, alimentati con energia elettrica per il loro funzionamento, assorbono calore (raffreddando l'aria interna) dall'interno dell’edificio e lo rilasciano come calore di scarto nell'ambiente esterno, producendo un aumento della temperatura dell’aria. Il processo di funzionamento è basato sull’uso di sostanze chimiche, come i clorofluorocarburi e gli idro-clorofluorocarburi, che agiscono da “polmone chimico” per il raffreddamento dell’aria interna degli edifici. Questi, tuttavia, producono significative quantità di emissioni di gas serra, che costituiscono una delle principali cause del fenomeno “isola di calore”, sempre più diffuso nelle aree urbane, particolarmente in quelle densamente costruite e più popolose (Figura 1).

 

Figura 1. Isola di calore (www.iuav.it/climatechange)

 

A questo proposito, le NBS (Nature Based Solutions) rappresentano una soluzione naturale che potrebbe essere integrata nella progettazione degli edifici, sotto forma di tetti e pareti verdi o muri verdi (green roofs and walls), per diminuire l'effetto “isola di calore urbana” (UHI), che in ambienti urbani densamente costruiti e popolati può aumentare la temperatura media dell'aria di 1-3 °C rispetto agli ambienti meno antropizzati. Per contrastare tale fenomeno, i sistemi vegetali (tetti e pareti verdi) sugli edifici risultano particolarmente efficaci, considerato che mediante il fenomeno della traspirazione vegetale consumano energia (calore latente) per il cambiamento di fase (l’acqua si trasforma in vapore acqueo), contribuendo a ridurre la temperatura, e attraverso la fotosintesi clorofilliana consumano anidride carbonica (CO2), favorendo ladecarbonizzazione degli edifici. Le coltri vegetali, collocate come “pergole di copertura” dei condizionatori d’aria sui lastrici solari degli edifici abbassano la temperatura dell’aria che circonda le macchine del condizionamento e in questo modo migliorano l’efficienza energetica, riducendo i consumi elettrici delle macchine di raffreddamento e le emissioni di gas serra generate dai gas refrigerati dei condizionatori d’aria che, a livello globale, raggiungono ogni anno 1.135 Mt di CO2. A questo proposito, occorre sottolineare che l’Unione europea sostiene soluzioni naturali (NBS) come tetti e pareti verdi in grado di aumentare l’isolamento termico degli edifici al fine di ridurre la domanda di energia per il riscaldamento e il raffreddamento (COM/2016/051). Se poi consideriamo che la crescita delle aree urbane porterà alla costruzione di nuovi edifici (secondo le stime il patrimonio edilizio mondiale raddoppierà entro il 2060), le Istituzioni e gli amministratori cittadini dovrebbero porre sempre maggiore attenzione all’impiego di soluzioni naturali in grado di contrastare il riscaldamento globale, ridurre le emissioni di gas serra e migliorare il clima nelle città.


Per approfondire:

  • The Future of Cooling: Opportunities for energy-efficient air conditioning. IEA, 2018.
  • Una strategia dell'UE in materia di riscaldamento e raffreddamento. COM/2016/051.

 

Foto d'intestazione: Carlo Alberto Campiotti

zucchina

“Mi.Qual.Zuc.”: l’Agro Pontino punta sull’innovazione delle pratiche colturali

Nasce il Gruppo Operativo “Mi.Qual.Zuc.”, costituito da Cooperativa Mediana, Organismo di Ricerca CRF – Cooperativa Ricerca Finalizzata, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale e da una decina di imprese agricole dell’Agro Pontino. Il Gruppo punta ad introdurre una nuova tipologia di zucchina ad elevato valore nutrizionale attraverso pratiche colturali innovative, in accordo con i principi di tutela e salvaguardia della salute dei consumatori


Nel Lazio il settore ortofrutticolo rappresenta un asset importante dell’economia regionale, in particolar modo nell’area dell’Agro Pontino (provincia di Latina), dove oltre 3.500 imprese agricole sono attive nella produzione orticola. La Cooperativa Mediana, con sede a Terracina (Latina), con il supporto scientifico dell’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale e dell'Organismo di Ricerca CRF (Cooperativa Ricerca Finalizzata), insieme ad altre dieci imprese attive nel territorio, ha promosso la costituzione del Gruppo Operativo (GO) “Mi.Qual.Zuc.” (definito dalla Misura 16.1 del PSR Lazio 2014 – 2020), volto alla realizzazione di un percorso di ricerca finalizzato al miglioramento, sul piano qualitativo, della produzione dello zucchino nell’Agro Pontino. Il progetto nasce con l’obiettivo di introdurre una nuova tipologia di zucchina ad elevato valore aggiunto attraverso l’introduzione di pratiche colturali innovative in grado di incrementare il contenuto di sali minerali e di vitamine e di migliorare le proprietà antiossidanti del prodotto finale. In particolare, saranno messe a punto pratiche innovative di fertirrigazione e verrà integrata la sostanza organica del terreno con l’aggiunta di compost, al fine di migliorare le condizioni nutrizionali della coltura e di indurre al contempo un adeguato stress idrico e salino che possa favorire la produzione e l’accumulo nella zucchina di molecole antiossidanti. Il progetto punta inoltre a incrementare il valore aggiunto delle produzioni e a rafforzare il reddito delle imprese operanti nel settore attraverso la diversificazione produttiva. La razionalizzazione dell’impiego di fertilizzanti di sintesi, associato al recupero delle acque saline, porterà poi ad una gestione più sostenibile delle colture.

 

Figura 1. Locandina del progetto “Mi.Qual.Zuc”

 

“Abbiamo valutato la possibilità di intervenire sullo zucchino, che rappresenta da sempre una delle colture maggiormente presenti nel territorio dell’Agro Pontino, con il duplice scopo di intervenire sul processo produttivo e sulle tecniche colturali” – ci spiega la prof.ssa Patrizia Papetti (Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell’Università di Cassino). “Lo scopo del progetto – sottolinea Papetti – è di migliorare le proprietà nutraceutiche del prodotto e ottenere uno zucchino migliore dal punto di vista qualitativo. Quanto ai benefici ambientali ci proponiamo di ridurre la concimazione con fertilizzanti di sintesi e utilizzare delle soluzioni in grado di permettere alla zucchina di assorbire una quantità maggiore di sali minerali, con un impatto positivo sulla qualità del suolo coltivato”. “Questo progetto – ci dice Fabio Martino (Presidente CRF) – offre non solo la possibilità migliorare sul piano qualitativo lo zucchino ma anche quella di sviluppare tecnologie che potrebbero essere sperimentate per altre colture”. “Il nostro compito nel gruppo operativo – sottolinea Martino – è quello di affiancare gli altri partners del progetto, curando soprattutto gli aspetti economici e commerciali, e di favorire il dialogo tra il mondo della ricerca pubblica e quello delle imprese private”. “Come CRF abbiamo approfondito il quadro normativo di riferimento per la commercializzazione dello zucchino e affrontato approfonditamente il tema degli alimenti funzionali e nutraceutici” – ci spiega poi Tamara Pellegrini (ricercatrice CRF). “Tale approfondimento – sottolinea Pellegrini – ci ha permesso di delineare dei claims nutrizionali e salutistici che potrebbero essere conferiti allo zucchino al fine di inserirlo in un determinato bacino di mercato. Abbiamo effettuato alcune analisi statistiche sulle abitudini dei consumatori italiani relative all’anno 2020 e ai primi mesi del 2021, dalle quali è emerso che la pandemia ha influito sulle scelte dei consumatori. È cresciuta l’attenzione e la disponibilità a spendere qualcosa in più da parte dei consumatori per prodotti ad elevato valore nutrizionale. Sulla base dei dati in nostro possesso possiamo affermare che lo zucchino, oggetto del progetto, potrebbe avere successo nel mercato degli alimenti funzionali”.

 

Figura 2. Sede della Cooperativa Mediana a Terracina (Latina)

 

“La pandemia non ci ha fermato – sottolinea Matteo Baldanzini (Responsabile Amministrativo del progetto “Mi.Qual.Zuc”) – e nonostante ciò siamo riusciti a portare a termine tutte le riunioni progettuali. Dopo aver firmato l’atto costitutivo del Gruppo Operativo con i vari partners coinvolti nel progetto e nell’attesa che la Regione Lazio sblocchi i fondi del PSR (Programma di Sviluppo Rurale), auspichiamo di poter presto passare alla fase della sperimentazione, che sarà il fulcro della Misura 16.2”.  


Foto: Cooperativa Mediana

Ornithogalum visianicum Tomm

Biodiversità: recuperate 17 specie di piante europee credute estinte

Un team internazionale di ricercatori, guidato dall’Università degli Studi Roma Tre, ha svolto un minuzioso lavoro di indagine su 36 specie di piante endemiche europee classificate come estinte, scoprendo che 17 non lo erano affatto. 


La ricerca ha riabilitato 17 specie di piante considerate estinte in Europa da molti decenni attraverso una revisione tassonomica e una verifica della loro riscoperta in natura o della presenza di esemplari negli orti botanici mondiali. Delle 17 specie esaminate, tre sono state effettivamente riscoperte a seguito di ricerche di campo (Astragalus nitidiflorus Jiménez Mun. & Pau, Ligusticum albanicum Jávorska. E Ornithogalum visianicum Tomm. ex Vis.); per alcune sono stati ritrovati esemplari vivi, non noti, conservati presso orti botanici e banche del germoplasma europei (Armeria arcuata Welw. ex Boiss. & Reut., Hieracium hethlandie (F.Hanb.) Pugsley); altre ancora sono state riclassificate come specie diverse sulla base di nuovi dati.

La ricerca internazionale è stata coordinata dal prof. Thomas Abeli e dalla dr.ssa Giulia Albani Rocchetti del Dipartimento di Scienze dell'Università degli Studi Roma Tre e ha visto il coinvolgimento di ricercatori di un ampio network, tra istituzioni di ricerca, università, musei e orti botanici: il prof. Zoltán Barina del WWF Ungheria, il dr. Ioannis Bazos della National and Kapodistrian University of Athens, il dr. David Draper del Museo Nacional de Història Natural e da Ciência (Lisbona, Portogallo) e della University of British Columbia (Vancouver, Canada), il dr. Patrick Grillas del Tour du Valat (Arles, France), il prof. José Maria Iriondo di Rey Juan Carlos University (Madrid, Spain), il dr. Emilio Laguna del Wildlife Service – CIEF (Valencia, Spain), il prof. Juan Carlos Moreno-Saiz dell’Autonomous University of Madrid e del Centre for Research on Biodiversity and Global Change (Madrid, Spain), il dr. Fabrizio Bartolucci dell’Università di Camerino (Italia). I partner hanno ulteriormente ottenuto l’importante contributo del network mondiale degli orti botanici Botanic Garden Conservation International.

“La ricerca ha richiesto un minuzioso lavoro da detective – spiega il prof. Thomas Abeli – soprattutto per verificare informazioni, spesso inesatte, riportate tali e quali da una fonte all’altra, senza le opportune verifiche. Tra le 17 specie potremmo avere un caso clamoroso: il ritrovamento di una specie endemica portoghese, Armeria arcuata, ritenuta estinta da decenni e forse conservata inconsapevolmente presso l’Utrecht University Botanic Gardens, su cui si stanno facendo indagini genetiche per confermarne la riscoperta. Sebbene la riabilitazione di queste specie sia senz’altro una buona notizia, non dobbiamo dimenticare che altre 19 specie sono invece perse per sempre, tra cui nove specie italiane. Importante è dunque prevenire le estinzioni; la prevenzione è certamente più fattibile delle cosiddette de-estinzioni, azioni su cui lavoro con il mio team di ricerca, ma che ad oggi rimangono puramente teoriche e con forti limiti etici e tecnologici”.

La ricerca evidenzia che entità ritenute estinte da molti decenni possono essere riscoperte grazie ad un continuo monitoraggio e impegno nella ricerca floristica, sostenuto da università, musei, orti botanici e banche del germoplasma: queste ultime due infrastrutture, su cui sono stati fatti ingenti investimenti negli ultimi decenni in Europa, permettono di evitare perdita definitiva di biodiversità, anche quando non ci sono più le condizioni ambientali favorevoli al mantenimento di popolazioni naturali. Il maggiore contributo alla riabilitazione delle specie è però derivato dal miglioramento delle conoscenze tassonomiche, dimostrando, come mai prima, un enorme potenziale della tassonomia nella conservazione della natura, grazie anche a tecniche sempre più avanzate (analisi morfometriche e molecolari, microscopia ed elaborazione dei dati) per indagare la variabilità delle specie. La ricerca floristica, che prevede lo studio del materiale conservato negli erbari, lo studio critico della bibliografia botanica e soprattutto le ricerche in campo, permette l’elaborazione di “inventari floristici” (checklists o flore) che si configurano come strumento imprescindibile per la conoscenza della distribuzione delle piante e la tutela della biodiversità vegetale.

Lo studio è altamente promettente per la conservazione delle specie riabilitate. Se nulla infatti si può fare in termini di conservazione quando una specie si estingue, aver riabilitato 17 entità della flora europea permetterà di sviluppare dei programmi di conservazione ad hoc. Inoltre, grazie a questo studio, l’Europa  recupera biodiversità facendo un passo importante verso il raggiungimento dei target internazionali dettati dalla Convenzione per la Diversità Biologica (CBD) e dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile.


I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Plants in un articolo dal titolo Seventeen “extinct” plant species back to conservation attention in Europe.

Fonte e immagine:

Università degli Studi Roma Tre, Alessia del Noce | alessia.delnoce@uniroma3.it | 339 5304817