Cimice asiatica, Halyomorpha halys

Identificati in Trentino due insetti antagonisti della cimice asiatica

Si tratta di una scoperta del gruppo di lavoro coordinato da Fondazione Edmund Mach (FEM) e dal Centro Agricoltura Alimenti Ambiente. Attraverso un assiduo lavoro di monitoraggio sono stati rinvenuti sul territorio provinciale trentino due insetti antagonisti naturali, anch'essi di origine asiatica, che potrebbero limitare e controllare la diffusione della cimice. Per concretizzare questa scoperta bisogna attendere l’applicazione della nuova legge per la lotta biologica, recentemente approvata e di cui si aspetta il regolamento attuativo che prevede proprio il rilascio di organismi utili esotici.


Grazie al lavoro di monitoraggio condotto dal gruppo di lavoro FEM e dal Centro Agricoltura Alimenti Ambiente, è stato possibile rilevare per la prima volta la presenza sul territorio trentino delle due specie esotiche Trissolcus japonicus e Trissolcus mitsukurii. Sono questi i due principali agenti di biocontrollo della cimice in Asia la cui presenza in equilibrio con il fitofago impedisce pullulazioni devastanti della cimice nelle aree di origine. Sono probabilmente arrivati in Europa in maniera accidentale seguendo le stesse rotte di invasione del loro ospite. In Italia T. japonicus era stato rinvenuto finora solo in alcuni siti in Lombardia e Piemonte, mentre T. mitsukurii in aree ristrette del Friuli, Lombardia ed Alto Adige.
 

Le novità normative a livello nazionale aprono al rilascio di organismi utili esotici per la lotta biologica

La nuova normativa nazionale, recentemente promulgata, di cui si diceva sopra (pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale 05/09/19, del D.P.R. 5 luglio 2019 n. 102) riguarda le norme necessarie all'immissione sul territorio di specie e popolazioni non autoctone). In attesa delle linee guida tecniche della nuova legge e/o di una rapida autorizzazione in fase di emergenza, FEM prevede che in un prossimo futuro saranno possibili rilasci in deroga di esotici utili per la lotta biologica dopo gli opportuni studi di efficacia e valutazione del rischio da condurre in impianti da quarantena.

All’inizio del 2019 è stato creato un tavolo di lavoro FEM, diretto da Gianfranco Anfora, che coinvolge ricercatori e tecnici del Centro Ricerca e Innovazione, Centro Trasferimento Tecnologico e Centro Agricoltura Alimenti Ambiente (UniTrento- FEM), per il coordinamento di tutte le attività di ricerca e sperimentazione in corso su questo tema. Una delle attività principali del gruppo di lavoro, coordinato da Livia Zapponi del Centro Ricerca e Innovazione, è lo studio della possibile applicazione della lotta biologica. In particolare FEM è partner di un consorzio nazionale per il monitoraggio e la valutazione dell’impatto dei parassitoidi locali ed esotici della cimice, soprattutto quelli di origine asiatica del genere Trissolcus. Livia Zapponi e Serena Chiesa del Centro Trasferimento Tecnologico, grazie a questa iniziativa, hanno partecipato ad un corso di alta formazione a Montpellier presso il Centre for Population Biology and Management dell’INRA per il riconoscimento tassonomico dei parassitoidi della cimice appartenenti al genere Trissolcus.

Il controllo biologico classico prevede l'importazione dalle zone di origine del fitofago dei suoi antagonisti, con l'obiettivo di acclimatarli e riprodurre le condizioni che ne consentono la naturale regolazione della popolazione. Nel caso di  Halyomorpha halys però, la scelta di tale approccio è stata limitata finora dai vincoli legislativi, nazionali, che hanno reso inattuabile finora la procedura per l'introduzione di nuove specie, anche se utili al controllo biologico. A questo proposito FEM ha da poco allestito una nuova struttura costruita seguendo i criteri degli impianti di quarantena internazionali per gli insetti e che sarà utilizzata dopo le opportune certificazioni ministeriali per tali studi.

 

Origine e diffusione della cimice asiatica 

La cimice asiatica, Halyomorpha halys, è una specie invasiva originaria dell’Asia orientale. Fuori dal suo areale originario, soprattutto negli Stati Uniti, è divenuto il fitofago chiave in numerosi agroecosistemi causando ingenti danni economici su colture arboree come melo, pero e pesco, nonché su molte orticole. Può inoltre essere fonte di fastidio per le persone, vista la sua abitudine di trascorrere l’inverno al riparo negli edifici e di emettere sostanze maleodoranti. Durante il 2016 sono stati ritrovati i primi individui di cimice anche in provincia di Trento, con i focolai più importanti nell’area della città di Trento e del Garda. Nel triennio 2017-2019 la specie ha continuato la sua espansione sul territorio insediandosi anche in Val di Non e in Valsugana, con popolazioni in grado di provocare danni sulle principali colture locali. 

 

Fonte: Ufficio Stampa FEM


Leggi gli articoli sulla cimice asiatica pubblicato sul nostro sito.

Serre-Fotovoltaiche

Il sistema agricolo-alimentare snodo cruciale dell’economia nazionale

Il contributo del sistema agricolo-alimentare fondamentale per centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e del Pacchetto Clima ed Energia 20-20-20, che hanno ufficializzato il ruolo dell’efficienza energetica per la decarbonizzazione e lo sviluppo sostenibile. 


L’agricoltura italiana si sviluppa su una SAU (Superficie Agricola Utilizzata) che si estende per circa 13 milioni di ettari, che fanno dell’Italia il terzo paese in Europa per superficie agricola dopo Romania e Polonia. All’interno di tale territorio si conta oltre 1 milione di aziende agricole, cioè il 10 per cento del totale delle imprese che operano in Italia (dati della PAC 2014-2020). Nel complesso le diverse filiere agroalimentari legate alla produzione agricola dei beni alimentari e delle bevande, alla silvicoltura, alla pesca e alle attività di trasformazione agroindustriale, generano ogni anno un valore economico che, incluse le imposte dirette e indirette, sfiora i 270 miliardi di euro (Vieri S. Agricoltura.Settore multifunzionale allo sviluppo, 2012; Forum PA, 2017). È opportuno sottolineare che nella cifra non rientrano le perdite economiche derivanti dal giro d’affari dell’Italian Sounding e del Look Alike, che arrecano danno al Made in Italy alimentare sui mercati esteri, attestato intorno ai 90 miliardi di euro all’anno (Confindustria, 2019). Tuttavia, stando al fatturato che riesce ad esprimere, il sistema agricolo-alimentare italiano rappresenta uno snodo cruciale di interessi per l’economia nazionale e per l’occupazione. Nel nostro Paese ci sono 800 mila posti di lavoro nel settore agricolo e altri 480 mila in quello dell’agroindustria alimentare (Istat, 2017; ISMEA, 2018. Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano). Ciò è favorito dalla multifunzionalità del sistema agricolo-alimentare e allo stretto legame che esso mantiene con la GDO (Grande Distribuzione Organizzata). Tuttavia, quest’ultima, se da un lato ha aumentato le potenzialità produttive, commerciali e occupazionali, dall’altro ha inserito il settore agricolo-alimentare tra quelli più energivori del nostro Paese. Esso, infatti, con i suoi 12.170 GWh consumati dall’agroindustria e altri 5.567 GWh a carico dell’agricoltura, si pone, quanto a consumi, immediatamente dopo i settori meccani (23.739 GWh), siderurgico (18.262 GWh) e chimico (18.249 GWh), come evidenziato dalla Tabella 1.

 

Settore produttivo

Energia elettrica(a) (GWh)

Carbone di legna (t)

G.P.L. (t)

Gasolio(b) (t)

Agricoltura e pesca

5.567

19.000

2.106.000

Agroindustria

12.170

10.000

25.000

26.000

Totale

17.737

10.000

44.000

2.132.000

Tabella 1.  Consumi finali di energia del sistema agricolo-alimentare (fonte: Elaborazioni ENEA su dati MISE 2017 riferiti al 2016).

(a) Energia elettrica consumata che è stata prodotta con metano o derivati del petrolio nelle centrali elettriche

(b) Comprende il gasolio agevolato e il carburante per i mezzi meccanici.

 

L’evoluzione delle tecnologie e del mercato impongono ormai di guardare non soltanto al contenimento dei costi produttivi, ma soprattutto all’aumento del valore aggiunto che l’innovazione e l’efficienza energetica sono in grado di assicurare alla competitività delle imprese in termini di riduzione dei costi energetici, qualità eco-ambientale dei prodotti e dei processi produttivi. In accordo con il D.Lgs. 102/14, emanato in attuazione della Direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, in Italia è stato introdotto l’obbligo della Diagnosi Energetica per le “grandi imprese” e le aziende a “forte consumo di energia”. I risultati finora ottenuti evidenziano che le PMI (Piccole e Medie Imprese), che costituiscono il 99% del settore agricolo e dell’industria alimentare, sebbene non siano direttamente investite dagli obblighi della Direttiva 212/27/UE, rappresentano comunque un consumo energetico significativo, sul quale è opportuno intervenire con i sistemi di gestione conformi alla UNI 50001 e/o secondo la UNI EN 14001. Un sistema agricolo-alimentare più innovativo, infatti, favorisce un notevole risparmio di energia e contribuisce ad aumentare il senso di responsabilità dei cittadini nei confronti di abitudini negative riferite alla scarsa considerazione nei confronti del concetto di efficienza energetica associato alla vita quotidiana e alle abitudini dei produttori e dei consumatori. Considerando che nel 2050 vivranno oltre 9 miliardi di persone sul nostro pianeta (secondo stime delle Nazioni Unite), la produzione di cibo rischia di causare ulteriori pressioni sull’ecosistema terrestre in termini di consumo di suolo, acqua ed energia (AsVIs). A questo proposito, l’affermazione di un sistema agricolo-alimentare innovativo e in sintonia con l’ambiente e l’energia rinnovabile appare fondamentale per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e del Pacchetto Clima ed Energia 20-20-20, che hanno ufficializzato il ruolo dell’efficienza energetica per la decarbonizzazione e lo sviluppo sostenibile.


Foto d'intestazione: Carlo Alberto Campiotti

agricoltura urbana

L’agricoltura urbana valida “via d’uscita dalla povertà alimentare”

Le città occupano solo il 3 per cento della superficie terrestre, ma producono il 70 per cento delle emissioni di anidride carbonica e impiegano oltre l’80 per cento dell’energia prodotta a livello globale. Secondo le Nazioni Unite l’agricoltura urbana può essere la “via d’uscita dalla povertà alimentare”, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo in Asia e Africa


Le aree urbane occupano circa il 3 per cento della superficie globale. Tuttavia esse producono il 70 per cento delle emissioni di anidride carbonica, impiegano oltre l’80 per cento dell’energia prodotta nel mondo e sono il luogo per eccellenza dei consumi alimentari e degli sprechi che ne derivano. Prima dell’avvento dell’età industriale, l’unica vera e propria “città-metropoli” era Roma, che aveva una popolazione di oltre un milione di abitanti (in età augustea). Oggi, nel mondo si contano almeno 15 centri urbani con una popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti e, nel 2030, secondo le stime delle Nazioni Unite (World Urbanization Prospects 2018), saranno oltre 40. E la maggior parte di esse si troverà in Paesi in via di sviluppo in Asia, Africa e Medio Oriente. Il “dilagare del tessuto urbano” non si arresterà e, nei prossimi anni, porterà la popolazione urbana a salire dagli attuali 4 miliardi (vale a dire, più del 50 per cento della popolazione complessiva) agli 8,5 miliardi di persone nel 2030, fino ad arrivare a 9,8 miliardi nel 2050, quando la popolazione mondiale avrà superato 10 miliardi di persone. (dati FAO e ASviS). All’interno dei grandi centri urbani, come Tokyo (37,2 milioni), Delhi (36,1 milioni), Shanghai (30,8 milioni), Mumbai (27,8 milioni), Pechino (27,7 milioni), Dacca (27,4 milioni), Karachi (24,8 milioni), Il Cairo (24,5 milioni), Lagos (24,2 milioni) e Città del Messico (23,9 milioni), si produrrà il 65 per cento del PIL mondiale (McKinsey 2018 – Global cities of the future). Le città non saranno solamente i centri della produzione della ricchezza mondiale, ma anche i luoghi dove si verificheranno i maggiori problemi dal punto di vista sociale, ambientale e alimentare e dove si concentreranno moltitudini di poveri. Avendo presente il panorama, la FAO ha eletto l’agricoltura urbana come una valida “via d’uscita dalla povertà”, considerandola una pratica agricola strategica e a basso costo, utile ad assicurare la sicurezza alimentare, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, e a rafforzare l’azione di prevenzione a favore dell’ambiente urbano e della qualità di vita dei cittadini. L’agricoltura urbana (AU), nelle sue diverse forme di sviluppo (orti sugli edifici, coltivazioni idroponiche in aree urbane o in spazi condominiali) è ormai diventata pratica diffusa in diverse realtà del mondo e risponde alle richieste fatte dalle città per una maggiore sostenibilità ambientale, più spazi verdi, riqualificazione di ex aree industriali e inclusione sociale. Nel nostro Paese, dove si stima ci siano già oltre due milioni di metri quadri coltivati, l’agricoltura urbana può essere una soluzione efficace per migliorare il paesaggio e il territorio periurbano (i nuovi insediamenti urbani nati vicino alle grandi città) e favorire l’integrazione tra centro e periferia. Per le pubbliche amministrazioni la realizzazione di parchi agricoli, fattorie urbane, orti per gli anziani, fattori per i bambini, orti terapeutici e didattici, può essere sia uno strumento utile a fronteggiare particolari situazioni di povertà urbana, sia una strategia sostenibile per sviluppare esternalità positive in termini di miglioramento ambientale, dei servizi, di maggior inclusione sociale, di pianificazione territoriale e di creazione di nuove figure professionali legate all’AU (Tabella 1).

 

Regioni

Superficie (m2)

Città con le superfici maggiori*

m2

Piemonte

149.106

Torino

60.000

Valle d’Aosta

12.000

Aosta

12.000

Liguria

18.578

La Spezia

12.928

Lombardia

205.387

Milano

77.585

Trentino Alto Adige

49.796

Trento

41.346

Veneto

175.328

 

Verona

Padova

66.841

53.118

Friuli Venezia Giulia

30.040

Pordenone

21.830

Emilia Romagna

705.736

 

Bologna

Parma

Ravenna

165.000

140.000

110.717

Toscana

170.275

 

Firenze

Arezzo

76.138

44.450

Umbria

73.304

Perugia

73.304

Marche

112.224

 

Pesaro

Fermo

40.000

34.224

Lazio

46.495

Roma

35.000

Abruzzo

10.140

L’Aquila

8.640

Molise

Campania

116.727

Napoli

116.727

Puglia

8.088

Bari

4.138

Basilicata

3.900

Potenza

3.900

Calabria

18.000

Cosenza

15.000

Sicilia

56.686

Palermo

30.000

Sardegna

12.700

Nuoro

5.700

Tabella 1. Superficie pubblica investita ad orti urbani nelle Regioni Italiane. Sono state riportate le città con la maggiore superficie utilizzata per orti urbani. Fonte: (dati ISTAT, 2017).

 

Lo sviluppo di un sistema agricolo urbano consente poi di diminuire i costi energetici e ambientali legati alla logistica del trasporto e alla distribuzione dei prodotti alimentari.

 

Mezzi di trasporto

Trasporto totale (% di t km)

Trasporto locale (% di t km)

Intensità energetica (MJ/t km)

Treno

29

16

8-10

Mare

29

n.a.

10-20

Fiumi

13

19

20-30

Gomma – camion

28

62

70-80

Gomma – varie

n.a.

3

Variabile

Aereo

1

0

100-200

Tabella 2. Input di energia in relazione ai modi di trasporto delle merci. Fonte: FAO (2011) “Energy-smart” food for people and climate.

 

Le forme in cui si realizza l’AU sono molteplici. Alcune di queste non richiedono occupazione di suolo perché sfruttano al meglio tetti degli edifici, cortili, parchi e altri spazi cittadini inutilizzati o inseriti all’interno di complessi industriali abbandonati. Il rooftop farming, cioè la coltivazioni di frutta e ortaggi su lastrici solari, balconi e terrazzi prospetta, ad esempio, lo sviluppo di una filiera del compost organico prodotta attraverso il riciclo degli scarti alimentari domestici e delle biomasse dei parchi urbani, che può essere utilizzato per substrati e come fertilizzante per l’agricoltura. Cresce l’interesse per l’agricoltura urbana da parte delle amministrazioni. Città come Londra, Parigi, New York, Toronto, Detroit e, in Italia, Milano, Bologna, Parma e Napoli, hanno cominciato ad investire nell’agricoltura urbana. E i vantaggi non sono solo di tipo ambientale e sociale, ma anche di tipo economico. Gli orti realizzati sui lastrici solari degli edifici, se opportunamente integrati con una solida base di sostegno caratterizzata da soglie di trasmittanza termica in linea con le principali normative sull’efficienza energetica e sugli Ecobonus (UNI EN ISO 6946: 2018; UNI EN 13370: 2018), possono infatti beneficiare di un contributo economico che oscilla tra il 50 e il 65 per cento del costo totale del lavoro. La presenza di vegetazione, date le sue caratteristiche di “materiale freddo”, contribuisce ad aumentare l’isolamento termico del tetto e delle pareti dell’edificio. I valori di temperatura delle piante, infatti, risultano non dissimili da quelli dell’aria esterna, al contrario dei “materiali caldi” (cemento, asfalto, e così via) che, soprattutto nei mesi estivi, posso raggiungere temperatura anche di 60 – 70 gradi centigradi. Ciò avviene grazie a due fenomeni che interessano il mondo delle piante: la fotosintesi clorofilliana e l’evapotraspirazione. Le piante trattengono parte dell’energia solare incidente per la crescita e lo sviluppo ed emettono meno radiazione infrarossa (termica) e quindi consentono di non riscaldare eccessivamente l’aria esterna. In questo modo l’impiego del verde contribuisce a contrastare il fenomeno delle heat islands (“isole di calore”) nelle grandi città a causa della forte urbanizzazione e del traffico intenso. L’agricoltura urbana contribuisce al recupero di suolo agricolo, alla riduzione dei costi energetici di trasporto (prodotti a km 0), all’aumento della resilienza urbana, al contrasto del cambiamento climatico, alla mitigazione dell’aria e, non ultimo, traghetta le città verso modelli sostenibili di produzione alimentare.