COP24_principale

Al via la ventiquattresima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

Dal 3 al 14 dicembre si terrà a Katowice, in Polonia, la ventiquattresima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La COP24 si apre dopo numerosi rapporti e studi pubblicati nei mesi scorsi, primo fra tutti lo Special Report 15 dell’Ipcc che ha posto l’accento sulla necessità di agire entro i prossimi 12 anni per evitare una vera e propria catastrofe climatica. Nei giorni scorsi l’UNEP ha sottolineato che con gli attuali impegni in termini di lotta al cambiamento climatico, la temperatura globale aumenterà di 2,7 – 3,5 °C entro la fine del secolo. 


La COP24 si apre a Katowice, nel cuore carbonifero della Polonia

Si è ufficialmente aperta a Katowice, in Polonia, la ventiquattresima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP24) l’appuntamento annuale più rilevante nella discussione sulle misure da adottare per mitigare gli effetti del cambiamento climatico a livello globale. La conferenza che si è appena aperta rappresenta un evento cruciale nella lotta ai cambiamenti climatici. A Katowice si dovranno rivedere gli attuali Ndcs (Nationally determined contributions), ovvero le promesse avanzate dai vari paesi che hanno aderito tre anni fa all’Accordo di Parigi che mirano a ridurre le emissioni di gas serra. Nel corso della conferenza si dovrà inoltre stabilire un pacchetto di regole condivise per rendere operativo, a partire dal 2020, l’Accordo di Parigi (Rulebook) e definire la delicata questione degli investimenti necessari per la decarbonizzazione, l’adattamento e il trasferimento di tecnologie green. La parola d’ordine della COP24 sarà “de-carbonizzare”, non solo per contrastare gli ormai evidenti effetti dei cambiamenti climatici, ma anche per produrre benefici in termini economici, sociali nonché, ovviamente, ambientali. In questo contesto, la scelta di Katowice come sede per ospitare la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sembra alquanto irragionevole. Katowice si trova nella regione polacca della Slesia, considerata il cuore carbonifero dell’Europa. Secondo un rapporto del Climate Action Network pubblicato lo scorso ottobre, la Polonia risultava essere l’ultimo paese europeo in termini di provvedimenti adottati per rispettare gli obiettivi climatici globali. Nonostante ciò, il Paese conferma, anno dopo anno, la propria linea in direzione radicalmente opposta rispetto agli obiettivi indicati dall’Accordo di Parigi. Ancora oggi, il 90% dell’energia consumata dai polacchi viene prodotta attraverso fonti di energia fossili, soprattutto carbone. Il settore carboniero impiega circa 100 mila lavoratori e contribuisce alla produzione di oltre 65 milioni di tonnellate di carbone ogni anno (dati aggiornati al 2017). Inoltre, fanno sapere le organizzazioni non governative locali, in Polonia si registrano 40 mila decessi prematuri a causa dell’inquinamento atmosferico. Come se ciò non bastasse, in Polonia è stata recentemente approvata la costruzione di una nuova centrale a carbone nella città di Ostroleka, nel nord del Paese che, stando alle previsioni, avrà una potenza di 1000 megawatt e sarà capace di bruciare tre milioni di tonnellate di carbone all’anno. Il costo totale del progetto è stimato in 1,4 miliardi di euro (ANSA riporta).

 

Il rapporto dell’UNEP

La COP24 si apre dopo numerosi rapporti e studi pubblicati nei mesi scorsi, primo fra tutti lo Special Report 15 dell’Ipcc, l’organismo scientifico delle Nazioni Unite per la ricerca sui cambiamenti climatici, che ha posto l’accento sulla necessità di agire entro i prossimi 12 anni per evitare una vera e propria catastrofe climatica. A questo si è aggiunto nelle ultime ore un rapporto dell’UNEP, il programma ambientale delle Nazioni Unite, che dice che dobbiamo triplicare o persino quintuplicare gli attuali sforzi per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 – 2 °C entro la fine del secolo, evitando gli effetti più devastanti del cambiamento climatico. Il rapporto dell’UNEP evidenzia come stia aumentando il divario tra il livello di emissioni di gas climalteranti previste al 2030 e il livello di emissioni compatibili con gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi. La situazione che ne emerge è alquanto critica. Anche considerando che i paesi realizzino al 100 per cento i propri programmi nazionali su energia e clima, nel 2030 ci saranno comunque circa 13 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2 equivalente di troppo. Per limitare l’aumento della temperatura globale sotto i 2 °C, sottolinea l’UNEP, nel 2030 le emissioni totali di CO2 dovranno scendere intorno alle 40 Gt, mentre con gli impegni attuali, definiti negli NDCs, supereremo le 50 Gt. Nelle proiezioni che mostrano le misure necessarie per contenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5 °C, il gap tra i due livelli di emissioni si allarga, raggiungendo le 29 Gt di troppo. In altri termini, nel 2030 il mondo sarà responsabile di oltre il doppio delle emissioni di gas serra tollerabili secondo gli obiettivi fissati dai principali accordi climatici a livello globale. Tuttavia, nel 2017, dopo circa tre anni di arresto, le emissioni di CO2 sono tornare ad aumentare, toccando il livello record di 53,5 Gt (+ 0,7 Gt rispetto al 2016). Pertanto, se il gap tra i due livelli di emissioni, quello che indica le emissioni previste stando agli impegni attuali e quello che indica le emissioni tollerabili, non sarà chiuso entro il 2030, è plausibile che anche l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 °C non potrà essere raggiunto. Infatti, con gli attuali impegni in termini di riduzione delle emissioni di CO2, avverte l’UNEP, si registrerà un aumento della temperatura globale di gran lunga superiore ai limiti indicati dall’Accordo di Parigi, compreso tra i 2,7 e i 3,5 °C entro la fine del secolo.

 

Una conferenza di transizione

Alla COP24 è prevista la presenza di una trentina di persone tra capi di Stato e di governo, un numero significativamente inferiore rispetto a quello registrato alla COP21 che si è tenuta a Parigi nel 2015 e che aveva raccolto praticamente tutti i leader del mondo. Questa conferenza, al contrario, è vista da molti paesi come un passaggio tecnico per rifinire le azioni per rendere operativo l’Accordo di Parigi e pertanto priva di una portata storica e simbolica. Tuttavia, dopo l'uscita degli Stati Uniti dall’Accordo, annunciata dall’amministrazione Trump nel 2017, e la scarsa volontà politica di agire da parte di molti altri paesi, il raggiungimento degli impegni previsti si fa più difficile. Gli obiettivi in termini di lotta al cambiamento climatico sono estremamente ambiziosi e richiedono tempi stretti per essere raggiunti, senza contare gli enormi investimenti necessari per realizzarli. Queste valutazioni saranno al centro dei lavori che proseguiranno fino al 14 dicembre e che forse potranno portare ad alcuni risultati concreti. Come è emerso dalle ultime conferenze mondiali sul clima, le ambiziose premesse iniziali non sempre hanno portato ai risultati sperati.

Una istallazione sul ghiacciaio dell’Aletsch, in Svizzera, con 125 mila messaggi e disegni elaborati dai bambini di 35 paesi del mondo

Occorre agire in modo deciso e rapido per fermare la crisi climatica globale

Secondo le ultime rilevazioni dell’Organizzazione meteorologica mondiale, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera ha superato le 408 ppm. Uno studio pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista scientifica Nature Climate Change certifica 467 differenti modi attraverso i quali l’umanità sta pagando il prezzo dell’aumento della temperatura globale, dovuto alla sempre più elevata concentrazione di gas serra nell’atmosfera terrestre. In vista della COP24, i capi di Stato e di Governo di 16 paesi europei, tra i quali l’Italia, hanno firmato una dichiarazione nella quale invitano la comunità internazionale ad agire in modo deciso e rapido per fermare la crisi climatica globale. 


Nuovi allarmi in vista della Cop24

La presenza di anidride carbonica, uno dei principali gas ad effetto serra, nell’atmosfera terrestre ha raggiunto un nuovo record, attestandosi nel 2017 a 405,5 parti per milione (ppm), a fronte delle 403,3 del 2016 e delle 400,1 del 2015. L’ultima rilevazione, fatta il 26 novembre 2018, ha registrato una concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera pari a 408,52 ppm (Figura 1). Rispetto al 1990, la concentrazione è cresciuta del 41 per centro. Se invece prendiamo come riferimento temporale l’epoca preindustriale (metà Ottocento), è cresciuta del 146 per cento. A lanciare l’allarme è l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) nel suo ultimo rapporto sullo stato dei gas serra nell’atmosfera.

 

Figura 1. Concentrazione di anidride carbonica espressa in parti per milione (ppm) secondo una rilevazione del 26 novembre (fonte: https://www.co2.earth/)

 

Il rapporto sottolinea che anche altri due gas climalteranti hanno toccato livelli record di concentrazione nell’atmosfera. Questi sono il metano, che rappresenta la principale fonte di riscaldamento globale dopo l’anidride carbonica, la cui concentrazione nell’atmosfera è del 257 per cento più elevata rispetto all’epoca preindustriale, e il CFC-11, o triclorofluorometano, un gas serra particolarmente pericoloso per lo strato di ozono che protegge la vita sul nostro pianeta. A pochi giorni dall’apertura della COP24, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Katowice, in Polonia, dal 3 al 14 dicembre, l’Organizzazione meteorologica mondiale non è l’unica ad evidenziare gli effetti deleteri dei cambiamenti climatici. Lo scorso 19 novembre, la rivista scientifica Nature Climate Change ha pubblicato uno studio che spiega come i cambiamenti climatici stiano cambiando la nostra quotidianità, influenzando radicalmente gli aspetti essenziali della vita umana. Dalla salute al cibo, dall’acqua all’economia, dalle infrastrutture alla sicurezza, i cambiamenti climatici stanno modificando progressivamente le nostre abitudini. In particolare, lo studio certifica 467 differenti modi attraverso i quali l’umanità sta pagando il prezzo dell’aumento della temperatura globale, dovuto alla sempre più elevata concentrazione di gas serra nell’atmosfera terrestre (Figura 2). Nello studio vengono citate le morti legate a ipertermia dovute alle ondate di calore in zone del globo non abituate ad avere temperature così elevate e i decessi causati da annegamento dovuti alle frequenti inondazioni e quelli provocati dai periodi di siccità estrema. In Etiopia, ad esempio, la scarsità di piogge ha provocato, dal 1980 ad oggi, oltre 800 mila morti per fame. A tutto ciò si aggiungono coloro che non muoiono a causa di eventi climatici estremi, ma la cui salute rimane compromessa per il resto della vita. A questo proposito, lo studio ricorda l’aumento, a livello globale, dei casi di suicidio dovuti a forti depressioni post-traumatiche registrate dopo uragani, inondazioni o lunghi periodi di siccità, come, ad esempio, quello che sta affliggendo attualmente l’Australia.

Ad essere colpite dai cambiamenti climatici sono poi le produzioni agroalimentari. Nel 2010 un terzo della produzione cerealicola russa, sottolinea lo studio, è andata perduta a causa di incendi e periodi di siccità dovuti all’aumento delle temperature medie stagionali, mentre in Kenya, nel 2000, la scarsità di piogge ha causato la morte di tre quarti di tutto il bestiame presente nel Paese. Negli Stati Uniti, invece, ogni qualvolta la temperatura supera i 38 °C, i rendimenti annuali derivanti dal settore agricolo calano mediamente del 5 per cento.

 

Figura 2. 467 modi attraverso i quali l’umanità sta pagando il prezzo dell’aumento della temperatura globale, dovuto al cambiamento climatico (fonte: Nature Climate Change)

 

Lo studio ricorda inoltre i problemi legati all’acidificazione degli oceani e allo sbiancamento dei coralli che mettono a rischio la fauna acquatica. Ci sono poi tutte le ricadute economiche dei cambiamenti climatici in termini di redditi, ricchezza pro capite e posti di lavoro perduti nei paesi colpiti. Nel 2017 il costo economico delle catastrofi naturali, tra le quali quelle causate direttamente dai cambiamenti climatici, è stato pari a 306 miliardi di dollari. Tutto ciò, ricorda lo studio, crea situazioni di instabilità e tensioni tra i popoli e comporta un aumento del numero di persone costrette ad abbandonare il proprio paese a causa delle condizioni climatiche sfavorevoli. Secondo un rapporto dell’Asian Development Bank, se l’aumento della temperatura globale superasse i 2 °C (rispetto ai livelli preindustriali) entro il 2100, il numero di migranti climatici nel mondo potrebbe raggiungere la cifra impressionante di un miliardo entro la fine del secolo.

 

16 capi di Stato e di governo europei lanciano un appello

Lo scorso 23 novembre, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato una dichiarazione che pone l’accento sull’importanza degli accordi sul clima sinora raggiunti a livello globale e sulla necessità di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 °C (rispetto ai livelli preindustriali) entro la fine del secolo. La dichiarazione, oltre che dal presidente della Repubblica italiana, è stata firmata dai capi di Stato e di governo di Germania, Paesi Bassi, Austria, Svizzera, Portogallo, Grecia, Cipro, Islanda, Finlandia, Svezia, Irlanda, Ungheria, Slovenia, Lituania e Lettonia. Per mezzo della dichiarazione, i capi di Stato e di governo firmatari invitano i paesi che hanno aderito all’Accordo di Parigi a rivedere i propri contributi nazionali alla luce dei risultati emersi dall’ultimo rapporto dell’Ipcc, l’organismo scientifico delle Nazioni Unite per la ricerca sui cambiamenti climatici. In questo contesto, la COP24 offre alla comunità internazionale la possibilità di agire immediatamente, formulando una strategia di lotta al cambiamento climatico su scala globale. “Sulla COP24 in Polonia grava una particolare responsabilità, si legge nella dichiarazione. “Sulla base delle competenze scientifiche e tecniche e dei mezzi finanziari che il mondo oggi possiede – scrivono i capi di Stato e di governo firmatari – abbiamo l’obbligo collettivo nei confronti delle generazioni future di fare tutto ciò che è umanamente possibile per fermare i cambiamenti climatici e per rispondere ai loro perniciosi effetti. Facciamo appello alla comunità internazionale e a tutte le parti dell’Accordo di Parigi: agiamo insieme, in modo deciso e rapido per fermare la crisi climatica globale”. Un messaggio che dovrebbe far riflettere tutti i paesi che parteciperanno nei prossimi giorni alla Conferenza mondiale sul clima.


Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra un’istallazione che si estende per circa 2.500 metri quadrati e che contiene 125 mila messaggi e disegni elaborati dai bambini di 35 paesi del mondo. L’istallazione, realizzata dalla Direzione per lo sviluppo e la cooperazione svizzera e dalla Fondazione WAVE, si trova sul ghiacciaio dell’Aletsch, in Svizzera, ad oltre 3.400 metri di quota ed ha l’obiettivo di porre l’accento sulla necessità di agire per limitare le conseguenze devastanti del cambiamento climatico. La foto è stata scattata da Valentin Flauraud. 

Italia seconda in Europa_principale

L’Italia è seconda in Europa per tasso di circolarità dei rifiuti

L’Italia è al secondo posto in Europa, dopo i Paesi Bassi, per tasso di circolarità dei rifiuti. Nel nostro Paese sono attive 25 mila imprese nel riutilizzo e nella riparazione dei prodotti e, con lo sviluppo dell’economia circolare, così come delineato dalle recenti normative europee, si potrebbero creare fino a 50 mila nuovi posti di lavoro. Tuttavia, manca ancora una strategia nazionale dedicata al settore dell’economia circolare. 


Il rapporto del Circular Economy Network

L’Italia è al secondo posto in Europa, dopo i Paesi Bassi, per tasso di circolarità dei rifiuti (il 18,5% contro il 27% dei Paesi Bassi). Nel nostro Paese sono attive 25 mila imprese nel riutilizzo e nella riparazione dei prodotti e, con lo sviluppo dell’economia circolare, così come delineato dalle recenti normative europee, si potrebbero creare fino a 50 mila nuovi posti di lavoro. Di questi, 23 mila nell’ambito della gestione dei rifiuti, 16 mila nelle imprese che operano nel campo della riparazione e 11 mila nel settore della bioeconomia. Questo è quanto emerge dal rapporto “Potenzialità e ostacoli per l’economia circolare in Italia”, presentato lo scorso 22 novembre a Roma, presso il Senato della Repubblica (Figura 1). Il rapporto è stato pubblicato dal Circular Economy Network, think tank promosso dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile insieme con una rete di 13 imprese che operano nel settore dell’economia circolare.

 

Figura 1. Presentazione del rapporto “Potenzialità e ostacoli per l’economia circolare in Italia” presso l’Aula Capitolare del Senato della Repubblica, Roma (foto: Andrea Campiotti)

 

Il rapporto offre una visione congiunta sulle potenzialità dell’economia circolare per i diversi settori economici del nostro Paese e sulla necessità di adeguarsi a nuovi target fissati dall’Unione europea. Secondo alcuni studi del Parlamento europeo, indicati nel rapporto, politiche mirate al prolungamento della durata dei beni potrebbero garantire maggiore occupazione e un fatturato più elevato nei settori della conservazione, riparazione e affitto e compravendita dei prodotti. Un incremento dell’1% di queste attività, si legge nel rapporto, potrebbe generare un mercato aggiuntivo di 7,9 miliardi di euro all’anno a livello europeo, di cui quasi 1,2 miliardi in Italia. Anche il settore della bioeconomia potrebbe avere un forte sviluppo. Da qui al 2020, si prevede una crescita di 40 miliardi di euro all’anno e un’occupazione aggiuntiva di 90 mila nuovi posti di lavoro a livello europeo. “La strategia europea sull’economia circolare pone l’accento sulla necessità di sviluppare il settore della bioeconomia rigenerativa”, ha dichiarato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. “Occorre una strategia integrata e coordinata per lo sviluppo delle varie filiere della bioeconomia. Sarebbe utile istituire un’Autorità dedicata al monitoraggio e ai controlli nel settore dell’economia circolare”, ha aggiunto Ronchi.

Nel corso della presentazione del rapporto sono stati enunciati i cosiddetti “nodi” del pacchetto sull’economia circolare, approvato dal Parlamento europeo lo scorso aprile, tra i quali: la necessità di rendere concrete ed efficaci le misure contenute nel pacchetto per ridurre la produzione dei rifiuti; adottare misure per raggiungere i target europei previsti per il riciclo dei rifiuti; adeguare con urgenza la normativa sulla cessazione della qualifica di rifiuto, approvando i decreti End of Waste; migliorare la riciclabilità dei prodotti e sviluppare il mercato delle materie prime seconde e dei beni riciclati; difendere e rafforzare i consorzi italiani dei rifiuti; cominciare ad adottare le misure contenute nella recente Strategia europea per la plastica, varata dalla Commissione europea lo scorso gennaio. Secondo la Ellen MacArthur Foundation, la transizione ad un’economia circolare potrebbe comportare un risparmio netto annuo di 640 milioni di euro sul costo di approvvigionamento di materiali per il sistema manifatturiero europeo. “L’Italia ha in questo campo la possibilità di conquistare un ruolo centrale in una partita strategica per tutta l’Unione europea”, ha dichiarato Luca dal Fabbro, vicepresidente del Circular Economy Network. “Dobbiamo far fare un salto di qualità al nostro sistema produttivo”, ha aggiunto Simona Bonafè, eurodeputata relatrice del pacchetto europeo sull’economia circolare.

 

Le migliori startup italiane dell’economia circolare

Nel corso del convegno sono state presentate le tre aziende vincitrici del Premio nazionale “Startup dell’economia circolare 2018”, organizzato dal Circular Economy Network. Le tre aziende che sono salite sul podio dei vincitori sono: Rubber Conversion, che ha ideato un processo chimico e un impianto  che permettono il riciclo di qualsiasi mescola di gomma usata nell’industria degli pneumatici e dei prodotti tecnici; Agrobiom che ha prodotto un biospray pacciamante da scarti agroindustriali alternativo all’uso delle plastiche; Specialised Polymers Industry che ha messo a punto un metodo per il recupero dei fanghi di cartiera generalmente destinati allo smaltimento in discarica.