Copertina-Varotto

Montagne del Novecento Il volto della modernità nelle Alpi e Prealpi venete

Varotto potrebbe essere definito, senza timore di essere smentiti, un geografo con lo sguardo dello storico e questo saggio ne è un esempio. Gli aspetti geografico-paesaggistici presi in esame sono integrati dall’analisi dei processi demografici, di quelli economici legati allo sfruttamento della risorsa acqua, fino all’uso della montagna come luogo di svago o come memoria storica di eventi bellici. L’area descritta è forse quella che porta l’eredità più evidente di tutti i processi citati messi insieme, avvenuti nel secolo scorso. Cento anni che hanno cambiato tutta la fascia alpina veneta e quella al confine con il Trentino Alto Adige: dal Massiccio del Grappa, di cui tutta la nazione italiana serba memoria per essere stato teatro di alcune tra le più sanguinose battaglie durante la grande guerra, alla Marmolada ghiacciaio conteso tra Veneto e Trentino. La trasformazione, davvero epocale, dovuta senza dubbio ai cambiamenti climatici ma anche dell’uso della montagna, iniziata alla fine dell’800 con i primi alpinisti stranieri, ha raggiunto l’acme proprio nel ‘900.

L’autore analizza dati e cartografie che quantificano il cambiamento paesaggistico di tutte le terre alte venete. A partire dalla percentuale di abitazioni utilizzate come seconde case, dalla percentuale di quelle abbandonate e di quelle di cui restano solo i ruderi. La cartografia ufficiale non sempre rende appieno la realtà e per lo studioso è necessario verificare di persona lo stato effettivo dei luoghi. Il bosco prende il posto dei prati abitati e sfruttati a pascolo fino a qualche decennio fa. Piccoli borghi costituiti da qualche decina di case diventano cittadine turistiche con tipologie abitative molto discutibili. I terrazzamenti della valle del Brenta, elemento agrocolturale di elevato interesse economico dove si coltivava un ottimo tabacco fino alla metà del secolo scorso, lentamente invasi dalla boscaglia.

Lo sguardo storico dell’autore descrive il mondo delle terre alte, non come un universo chiuso e autoreferenziale dal punto di vista socio economico, bensì un mondo aperto: analizza, infatti, il fenomeno della migrazione stagionale attraverso i valichi, della forza lavoro maschile: tagliapietra, scalpellini e muratori che si spingevano fino in Germania e Ungheria. La manodopera maschile per buona parte dell’anno veniva sostituita dalle donne che si occupavano dell’alpeggio, della lavorazione del latte e della conservazione dei prodotti. Questo tipo di migrazione ha permesso la sopravvivenza economica e il successivo sviluppo delle valli più a ovest, versante trentino. Così non è stato per la migrazione stabile, ad esempio, dall’agordino, fin dai primi decenni del ‘900 verso paesi stranieri come le Americhe e il nord Europa. Tale processo ha definitivamente spopolato intere località dell’area.

La montagna veneta occupa il 35% del territorio regionale ma su di esso vive stabilmente solo il 13% della popolazione veneta. L’analisi storico geografica delle terre alte, secondo l’autore, deve portare a un nuovo modo di concepire lo spazio montano: il ritorno alla montagna deve passare attraverso la diversificazione, la multifunzionalità, la gestione condivisa. È quindi un imperativo categorico la sottoscrizione di un patto per la montagna che contempli, da un lato, la riscoperta della tradizione montana e, dall’altro, la sua innovazione; fedeli alla montagna ma con il valore aggiunto dell’ibridazione, come la definisce l’autore stesso, intesa come scambio di opportunità tra i due mondi, quello delle terre alte e la pianura. Un testo che critica pesantemente sia l’uso della montagna come divertimentificio che l’abbandono della stessa, tuttavia offre al lettore ma soprattutto all’amministratore e al pianificatore le soluzioni per invertire la tendenza e mitigare gli effetti di entrambi i processi negativi citati.

A.V.

MANUALE DI COLTIVAZIONE PRATICA E POETICA

MANUALE DI COLTIVAZIONE PRATICA E POETICA: Per la cura dei luoghi storici e archeologici del Mediterraneo

 

Cura dei luoghi, potrebbe essere la sintesi di questo manuale suddiviso in due parti, una teorica con scritti sulla gestione del giardino e una pratica dal giardino al paesaggio. Il lettore comprende già dalle prime pagine che la coltivazione della terra, sia come pratica agricola che come cura di un giardino, diventa arte. Ne è un’importante testimonianza l’approfondimento che Tessa Matteini fa de “il libro dell’agricoltura” di Ibn al-‘Awwâm, agronomo della scuola arabo-andalusa del XII secolo. Un vero e proprio trattato che esplora tutti gli aspetti relativi alla conduzione di un’azienda agricola, offrendo in particolare indicazioni sulla pratica agraria di frutteti-giardini. La dote precipua di Ibn al-‘Awwâmè la straordinaria sensibilità naturalistica. Il suo pensiero aristotelico lo porta a un’osservazione tanto penetrante della natura da precorrere la scienza sperimentale. Esemplari le sue pagine sulle proprietà dei terreni, che presentano autentiche anticipazioni della moderna pedologia, sulle coltivazioni arboree, grande passione musulmana, e, non secondariamente, sulla veterinaria. Il suo trattato costituisce un modello importante non solo nell’ambito islamico-andaluso ma in generale per tutti i trattati dell’arte di coltivare a partire proprio dalle caratteristiche pedologiche fino alle pratiche irrigue appropriate, di particolare importanza nel clima mediterraneo. Quello di Ibn al-‘Awwâmè la prima testimonianza di scritti sulle pratiche del giardino, descritta dalla curatrice Tessa Matteini, cui seguono i lavori di Agostino del Riccio, Giacomo Boni, Pietro Porcinai e altri paesaggisti. Qui ci soffermiamo sull’eclettico Francesco Bettini, nato a Maderno sul lago di Grada, ha soggiornato se pur brevemente a Londra, operante intorno alla metà del 1700 potrebbe essere definito artista a tutto tondo: violinista, decoratore paesaggista autodidatta. Dichiara di sé stesso: è facile amare il paesaggio e aver cura dei giardini per uno che è nato in un “giardino” naturale qual è il paesaggio gardesano. Sottolinea l’aspetto tipico dei giardini mediterranei nei quali si compenetrano il bello e l’utile, ovvero si coltiva il terreno per ricavarne i frutti e deliziare gli occhi.

Nella seconda parte i curatori descrivono esercizi di coltivazioni definibili artistiche che percorrono tutta la nostra penisola, dai vigneti del trevigiano, agli orti dell’isola della Giudecca a Venezia, alla coltivazione delle rovine di Ninfa sui Monti Lepini, fino ai giardini a mandarini della Conca d’oro. La nostra penisola è ricca di siti archeologici e in questo trattato non poteva mancare la “coltivazione” del paesaggio archeologico mediterraneo. Formulare strategie e pianificare azioni volte a alla conservazione vissuta dei luoghi: potrebbe essere questa la sintesi di quanto viene preconizzato per quei siti dai curatori. Citiamo un solo esempio, il Parco archeominerario di San Silvestro nell’entroterra Livornese ovvero il divenire di una rovina: sui gradoni della ripida rupe che costituiva il villaggio minerario la vegetazione lentamente prende i suoi spazi; un osservatore attento può cogliere gli aspetti di trasformazione e di inclusione delle essenze vegetali che crescono tra i detriti della lavorazione mineraria.

Il testo è interessante sotto tutti i punti di vista: estetico per la documentazione fotografica a colori, agrocolturale per gli esempi descritti, storico per la descrizione di pratiche agricole in epoche diverse ed, elemento non secondario, esplicitato già nel titolo, l’aspetto artistico culturale e poetico delle pratiche agricole cui, un lettore attento aggiunge la sostenibilità come filo conduttore di tutto il testo a partire dagli scritti Ibn al-‘Awwâm e finendo con la gestione dei parchi archeologici.

La pubblicazione del volume è stata possibile grazie al contributo dello IUAV – Università di Venezia, della Fondazione Benetton e dell’azienda agricola Studio Giardino di Venezia

Alberta Vittadello

 

 

Trash copertina

Trash: tutto quello che dovreste sapere sui rifiuti

Illustrazioni b/n e a colori. 


Un iceberg in un mare di cobalto, una copertina suggestiva che smorza la negatività del titolo inglese “Trash ” spazzatura nel senso più dispregiativo. Un fisico che si occupa di fusione nucleare, docente universitario a Padova e una giornalista divulgatrice scientifica, sono gli autori di questo libro i cui testi e immagini accompagnano il lettore tra storia, sociologia, fisica, chimica, economia. Possiamo con sicurezza affermare che l’opera si allontana da tutti i libri sui rifiuti, pubblicati in gran numero, che in genere portano normative, dati, grafici, percentuali. Questo è un libro che accompagna il cittadino a riflettere sul grave problema dei rifiuti in modo diverso: sulla IV di copertina gli autori si pongono una domanda. “Re Mida trasformava in oro tutto ciò che toccava, noi più modestamente, trasformiamo tutto in rifiuti: e se fossero preziosi anche quelli?” In nove capitoli gli autori spaziano tra rifiuti di tutti i generi e origini. Un esempio per tutti quello che anche al genio della musica W.A Mozart, notoriamente ironicamente coprofilo piacerebbe: che le deiezioni, d’ora in avanti “cacca” umana e animale, valgano miliardi. Nel terzo capitolo dedicato dagli autori al valore economico dei rifiuti sono descritti molti metodi per valorizzare anche i prodotti di scarto della digestione! Dalla statunitense OpenBiome viene l’idea della banca delle feci. Basta avere un’età tra i 18 e i 50 anni e godere di buona salute e puoi donare le feci ricche di flora batterica benefica; queste trapiantate in pazienti affetti da Clostridium difficile lo debellano senza l’uso di antibiotici. Si tratta di una pratica sperimentale che sta dando risultati molto incoraggianti. Si può citare l’oro del Perù che non è il metallo nobile cui tutti pensiamo ma il guano, ovvero le deiezioni degli uccelli ricco di fosforo e azoto utilizzato dai popoli andini fin dall’antichità come concime naturale.

La storia della civiltà umana è frutto dell’ingegno e della messa in pratica di tecnologie dalle più semplici come l’aratro dei primi agricoltori, alle più complesse come la fusione nucleare per ottenere energia. Nell’ era attuale, che viene definita anche “antropocene” come a voler sottolineare che l’uomo sta lasciando delle tracce indelebili sul pianeta, diventa un imperativo categorico occuparsi dei rifiuti in maniera scientifica: quantificare, classificare, sperimentare metodi di riutilizzo, dare valore economico, ridurre gli impatti. Il lettore viene accompagnato in modo gradevole a scoprire che i rifiuti valgono, producono, raccontano, divertono: come? Scopritelo leggendo Trasch.

Alberta Vittadello