Katovice 2018_COP24_principale

COP24, la prima settimana di negoziati si è chiusa in un nulla di fatto

La prima settimana di negoziati della COP24 in corso a Katowice, in Polonia, si è chiusa in un nulla di fatto. Nonostante le principali agenzie internazionali abbiano più volte sottolineato la necessità di agire concretamente per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, la volontà politica dei governi dei paesi che partecipano alla Conferenza rimane minima. Nel frattempo, la Banca mondiale annuncia un investimento di 200 miliardi di dollari nel quinquennio 2021 – 2025 per aiutare i paesi più vulnerabili alla minaccia climatica.


La prima settimana di negoziati della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP24) che si tiene a Katowice, in Polonia, si è chiusa in un nulla di fatto. Nel frattempo, le emissioni di anidride carbonica in Occidente sono in crescita. A dirlo è l’Agenzia internazionale dell’energia in un suo recente rapporto, dove sottolinea che le emissioni di CO2 dovute al consumo di energia nel Nord America, in Europa e nelle economie avanzate dell’Asia e del Pacifico hanno registrato un aumento nel corso del 2018. Per la prima volta, da cinque anni a questa parte, le emissioni di CO2 sono aumentate dello 0,5 per cento rispetto all’anno precedente. Secondo l’Agenzia, la crescita delle emissioni di CO2 è dovuta all’aumento dell’uso di combustibili fossili, petrolio, carbone e gas, che le fonti rinnovabili, in grado negli ultimi cinque anni di far diminuire le emissioni del 3 per cento, non sono riuscite a compensare. Il rapporto dell’Agenzia sottolinea che un cambiamento di rotta verso economie a basse emissioni di CO2 è fondamentale se si vuole salvare il pianeta. A questo proposito, lo Special Report 15 dell’Ipcc, l’organismo scientifico delle Nazioni Unite per la ricerca sui cambiamenti climatici, pubblicato lo scorso ottobre, ha evidenziato la necessità di agire entro i prossimi 12 anni per salvare il pianeta – e l’umanità – da una vera e propria catastrofe climatica. Dopo gli allarmi lanciati da numerose agenzie internazionali, lo scorso 28 novembre, la Commissione europea ha proposto un nuovo programma per arrivare ad un'Europa a zero emissioni di CO2 entro il 2050. Tuttavia, gli attuali obiettivi parlano di una riduzione del 40 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2030 e del 60 per cento entro il 2040. Si tratta quindi di target di gran lunga inferiori all’ambizioso programma annunciato nei giorni scorsi che, se non modificati, faranno sì che l’Accordo di Parigi non venga rispettato. Eppure, senza una significativa riduzione delle emissioni di CO2 a livello globale, avvertono le principali agenzie internazionali, il mondo supererà la soglia degli 1,5 °C, cioè la soglia preferibile fissata dall’Accordo di Parigi, probabilmente entro il 2040, toccando quella dei 3 °C entro la fine del secolo.

Agire per limitare la crescita della temperatura globale richiede misure urgenti che i governi, al momento, non intendono attuare in modo concreto. Per esempio, il dialogo di Talanoa, un documento volto a far accelerare il percorso di attuazione degli impegni presi in vista dell’Accordo di Parigi, frutto dei negoziati della COP23 che si è tenuta lo scorso anno a Bonn, in Germania, è stato interpretato differentemente da ciascun paese. Il risultato è che, sinora, gli unici ad essersi impegnati concretamente per modificare le proprie promesse sono stati soprattutto i piccoli paesi che, in termini di emissioni globali di CO2, pesano molto poco.

Comunque, pochi giorni fa, la Banca mondiale ha annunciato di voler stanziare 200 miliardi di dollari nel quinquennio 2021 – 2025 per aiutare i paesi in via di sviluppo nella lotta ai cambiamenti climatici. Secondo il comunicato stampa pubblicato dalla Banca mondiale, questo investimento, da un lato, consentirà ai paesi più vulnerabili di adattarsi agli eventi climatici estremi, che saranno più frequenti man mano che la temperatura globale aumenterà e, dall’altro, realizzerà parzialmente l’obiettivo che i governi dei paesi più ricchi si erano dati a partire dalla COP15 di Copenaghen, ovvero stanziare 100 miliardi di dollari all’anno nel Green Climate Fund, un fondo di sussistenza dedicato ai paesi più poveri e con meno risorse economiche. Al contempo, spiega la Banca mondiale, questo investimento, che per un terzo è costituito da fondi dell’Istituto finanziario e per due terzi da fondi dei privati, contribuirà a contenere il fenomeno delle migrazioni climatiche, in forte espansione a livello globale. Se non si farà tutto il necessario per contrastare il cambiamento climatico entro il 2050, sottolinea la Banca mondiale, ci potrebbero essere oltre 140 milioni di migranti climatici. Insomma, questa prima settimana di negoziati si chiude tra stalli, rallentamenti e poche notizie positive.

Mentre l’attenzione mediatica si concentra quasi unanimemente sulle violente manifestazioni dei “gilet jaune” in corso a Parigi, i cambiamenti climatici procedono più velocemente che mai. Nonostante ciò, la volontà politica di contrastarli, da parte dei governi dei paesi che partecipano alla COP24, rimane minima. Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni.

A Roma prima piattaforma economia circolare_principale

A Roma la prima conferenza annuale della Piattaforma Italiana per l’Economia Circolare

Si è svolta lo scorso 3 dicembre a Roma, presso il Senato della Repubblica, la prima conferenza annuale dell’ICESP, la Piattaforma Italiana per l’Economia Circolare, lanciata a maggio di quest’anno con l’obiettivo di creare un punto di convergenza nazionale su iniziative, esperienze, criticità e prospettive dell’economia circolare in Italia. 


Si è svolta lo scorso 3 dicembre a Roma, presso il Senato della Repubblica, la prima conferenza annuale dell’ICESP (acronimo di Italian Circular Economy Stakeholder Platform), la Piattaforma Italiana per l’Economia Circolare, lanciata a maggio di quest’anno con l’obiettivo di creare un punto di convergenza nazionale su iniziative, esperienze, criticità e prospettive dell’economia circolare in Italia. Alla Piattaforma, gemella di quella europea, l’ECESP, avviata dalla Commissione europea e dal Comitato Economico e Sociale Europeo, partecipano 60 stakeholder di rilievo nazionale provenienti dal mondo delle imprese, delle istituzioni, della ricerca e della società civile, attraverso sei Gruppi di Lavoro (GdL), coordinati a loro volta da una serie di soggetti, tra i quali il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, unico rappresentante italiano nel coordinamento della Piattaforma europea, l’ENEL, la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e delle PMI, Unioncamere, l’Università di Bologna e la Regione Puglia. La conferenza è stata aperta dalla senatrice e membro della Commissione Ambiente Patty L’Abbate, promotrice dell’evento, che ha posto l’accento sulla necessità di recepire le 4 direttive europee in materia di economia circolare, attraverso il pieno coinvolgimento di tutti i soggetti che hanno un ruolo di primo piano nella “transizione”, l’elaborazione di buone pratiche e approcci integrati. “Usciamo da questa giornata facendo piccoli passi in avanti per concretizzare la transizione verso l’economia circolare”, ha dichiarato Federico Testa, presidente dell’ENEA. “La Piattaforma – ha aggiunto Testa – rappresenta una rete di network e l’ENEA si candida come primus inter pares nel ruolo di coordinamento dell’iniziativa”. L’economia circolare è un settore che in Italia vale 88 miliardi di fatturato, 22 miliardi di valore aggiunto, ovvero 1,5 per cento del valore aggiunto a livello nazionale, ed impiega oltre 575 mila lavoratori. Tuttavia, nonostante la forte competitività del settore, persistono profonde differenze tra le varie regioni e città italiane. “Siamo tra i primi paesi in Europa per le performance, sebbene gli strumenti non siano dei migliori”, ha affermato Roberto Morabito, presidente dell’ICESP. “Bisogna adottare al più presto una strategia nazionale sull’economia circolare – ha proseguito Morabito – e dotarsi di un’Agenzia nazionale per l’uso efficiente delle risorse”. A questo proposito, il Sottosegretario al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Salvatore Micillo, che ha preso parte alla conferenza, ha ribadito la volontà da parte del Governo di attuare nelle prossime settimane i decreti “End of Waste”, che stabiliscono che un materiale riciclato non è più rifiuto, bensì una “materia prima seconda” da reinserire nel ciclo produttivo.

Nella seconda parte dell’evento sono stati poi presentati i primi risultati della Piattaforma, attraverso i rappresentanti dei Gruppi di Lavoro che compongono l’ICESP, che hanno esposto gli obiettivi delle attività che stanno portando avanti.


Nota:

La foto che compare come immagine d’intestazione dell’articolo è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell’articolo) durante la conferenza presso l’Aula Koch del Senato della Repubblica, a Roma.

Mercato Ballarò a Palermo

Nuovi modelli di produzione e consumo innovano il mercato agricolo-alimentare

Farmer’s markets, Gruppi di Acquisto Solidale, Community Supported Agriculture e orti urbani sono solamente alcuni tra i nuovi modelli di produzione e consumo di cibo. Secondo la FAO, l’agricoltura urbana è una “via d’uscita alla povertà alimentare” perché consente l’accesso sicuro al cibo, soprattutto verdura e frutta fresche, anche alle persone più povere o con redditi bassi. In Italia le aree verdi destinate alla realizzazione di orti pubblici, nelle città capoluogo, hanno ormai raggiunto un’estensione pari a quasi 2 milioni di metri quadrati. 


Cambia il modo di produrre e consumare il cibo

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di nuovi modelli di produzione e consumo nel mercato agricolo-alimentare, accompagnati da una maggiore sensibilità nei confronti del valore etico e sociale del cibo, che si sono contrapposti (e si contrappongono) alla standardizzazione e omologazione dei prodotti agroalimentari imposti dalla grande distribuzione organizzata (GDO). Associazioni di categoria, associazioni di cittadini o di consumatori e altri soggetti si sono attivati per sostenere nuovi modelli produttivi e commerciali che privilegiano comportamenti fondati su principi di “consumo critico” del cibo. Secondo questi principi, del cibo vanno conosciute con certezza, oltre alla provenienza, alla tipicità e all’origine locale, anche le sue radici nella storia e nelle tradizioni culturali del luogo in cui è stato prodotto (vedi Slow Food). In questo contesto, i cosiddetti farmer’s markets, ovvero i “mercati contadini”, hanno acquisito un ruolo di primo piano. Questi privilegiano la vendita diretta dal produttore al consumatore, in linea con i principi della “filiera corta” e in contrapposizione a quelli della “filiera lunga”. In quest’ultima, a differenza della prima, intervengono uno o più operatori prima che il prodotto possa essere venduto al consumatore, i quali riducono fortemente il guadagno degli agricoltori. I “mercati contadini” consentono inoltre strategie produttive, commerciali e distributive volte a ridurre gli sprechi alimentari e l’impronta ecologica derivante dalle produzioni agricole di tipo industriali. Essi comportano poi vantaggi economici sia per i produttori, che non devono più sottostare alle rigide imposizioni della GDO, sia ai consumatori, che pagano un prezzo inferiore per lo stesso prodotto. A questo proposito, conviene sottolineare le iniziative organizzate dai Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), costituiti da cittadini, che si organizzano per rifornirsi di prodotti agricoli da aziende e produttori locali. Nella stessa direzione si muovono le Community Supported Agriculture (CSA), costituite da consumatori organizzati, che propongono un modello alternativo di approvvigionamento dei prodotti agricoli (Tabella 1). Si stima che a livello europeo siano attivi oltre 2.770 CSA (dati della URCENCI).

 

Reti Alimentari Alternative

Obiettivi

Farmer’s market (Mercati contadini)

Produzioni sostenibili, stagionalità dei prodotti, consumo locale.

Gruppi di Acquisto Solidale (GAS)

Acquisti diretti dai produttori sulla base di accordi tra gruppi di cittadini e  gli stessi produttori. 

Agricoltura urbana

Benefici ambientali ed energetici, integrazione e inclusione sociale.

Community Supported Agriculture (CSA)

Produzioni alimentari basate su progetti comuni tra consumatori e produttori.

Tabella 1. Reti alimentari alternative nel sistema agricolo-alimentare

 

Il ruolo chiave dell’agricoltura urbana

Tra i nuovi modelli di produzione e consumo di cibo, un ruolo di primo piano è ricoperto dall’agricoltura urbana che, secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura), è una “via d’uscita alla povertà alimentare” perché consente l’accesso sicuro al cibo, soprattutto verdura e frutta fresche, anche alle persone più povere o con redditi bassi. La sicurezza alimentare non è un problema che interessa solamente le città del Sud del mondo. Anche nei paesi cosiddetti “occidentali” l’agricoltura urbana ha trovato grande interesse da parte di amministrazioni locali, associazioni e cittadini. A Montreal, ad esempio, l’agricoltura urbana viene praticata permanentemente in alcune aree appositamente adibite nei parchi municipali. Vancouver si è dotata di un’agenzia municipale per l’amministrazione della politica alimentare urbana. Negli Stati Uniti, dove almeno 30 milioni di persone non possono permettersi di acquistare una quantità di cibo sufficiente, l’agricoltura urbana contribuisce ad ampliare la dieta delle classi più povere che, nella generalità dei casi, è iperproteica, povera di vitamine e fibre, basata essenzialmente su junk foods (“cibo spazzatura”). L’agricoltura urbana è in rapida crescita anche in Italia, dove le aree verdi destinate alla realizzazione di orti pubblici, nelle città capoluogo, hanno raggiunto un’estensione pari a quasi 2 milioni di metri quadrati. Si tratta prevalentemente di terreni di proprietà comunale, divisi in piccoli appezzamenti e adibiti alla coltivazione familiare (dati della Coldiretti). A questo proposito, conviene sottolineare che nella Legge di Stabilità 2018 è stato inserito, per la prima volta nel nostro Paese, il cosiddetto “bonus verde” che prevede detrazioni IRPEF del 36% per le spese sostenute per lavori di “sistemazione a verde” di aree scoperte private di edifici esistenti, per la realizzazione di coperture verdi e giardini pensili, fino ad un massimo di 5 mila euro. Tra le possibili applicazioni del bonus verde rientra anche la realizzazione di orti urbani per la produzione di piante alimentari negli spazi condominiali. L’agricoltura urbana rappresenta oggi uno strumento efficace per fronteggiare problematiche legate alla povertà alimentare e, al contempo, una strategia sostenibile per le amministrazioni pubbliche che intendono sviluppare esternalità positive in termini di miglioramento microclimatico delle aree urbane, inclusione sociale, servizi di pianificazione territoriale e nascita di nuove “professioni verdi” (green jobs).

 

Il successo della “filiera corta”

Alla base del successo di questi nuovi modelli di produzione e consumo di cibo, tra i quali l’agricoltura urbana, vi è da parte dei consumatori e delle aziende agricole la preferenza ad avere un sistema agricolo-alimentare fondato, non più sulle caratteristiche immateriali del prodotto e sulle capacità manageriali e commerciali tipiche della GDO, bensì su una dimensione che assegni al prodotto un valore aggiunto, in linea con le peculiarità geografiche e storiche del territorio, delle esperienze e delle tradizioni locali, alle quali si accompagnano l’impiego di sistemi, processi e tecniche che minimizzano l’uso di energia da fonti fossili, le emissioni di CO2 e l’impatto ambientale.


Fonti per approfondire:

I farmers’market: la mano visibile del mercato. Davide Marino, Clara Cicatiello. Franco Angeli ed. 2010.

 

Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra uno scorcio dello storico mercato Ballarò a Palermo. La foto è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell’articolo).