Rischio ob

A rischio il primo obiettivo dell’Agenda 2030

1,3 miliardi di persone nel mondo sono povere. La metà di questi è costituita da persone sotto i 18 anni. A questi si aggiungono altri 879 milioni di persone che potrebbero cadere in condizioni di povertà a causa di conflitti, malattie, siccità, disoccupazione e altri fattori. A dirlo è l’ultimo Multidimensional Poverty Index. 


La metà di tutte le persone che vivono in condizioni di povertà nel mondo ha meno di 18 anni. Questo è uno dei dati più allarmanti presenti nell’ultimo Multidimensional Poverty Index (MPI), una misurazione alternativa rispetto a quella meramente economica, basata esclusivamente sul reddito pro-capite, che prende in considerazione tre fattori determinanti per lo sviluppo della persona: salute, educazione e standard di vita (Figura 1). Ideato dall’Oxford Poverty and Human Development Initiative (OPHI) insieme con lo United Nations Development Programme (UNDP) e giunto quest’anno alla sua ottava edizione, il MPI costituisce oggi uno degli strumenti statistici più attendibili nella misurazione della povertà. L’Indice sulla povertà multidimensionale prende in considerazione le condizioni di povertà di 104 Paesi dove vivono 5,6 miliardi di persone, circa tre quarti della popolazione globale. Dall’Indice emerge che 1,3 miliardi di persone nel mondo vive in condizioni di povertà multidimensionale e la metà di questi è in gravi condizioni. L’83% dei poveri multidimensionali vive nell’Africa subsahariana e nei Paesi dell’Asia meridionale, rispettivamente 560 milioni di persone (58% della popolazione), di cui 342 milioni in condizioni molto gravi, e 546 milioni (31% della popolazione), di cui 200 milioni gravi. I dati inerenti alle altre regioni del mondo sono meno gravi e vanno dal 19% negli Stati arabi al 2% in Europa e in Asia centrale.

L’Indice rileva poi significative disparità all’interno dei singoli Paesi: su 1.101 regioni subnazionali analizzate in 87 Paesi si rilevano forti diseguaglianze, soprattutto fra le regioni urbane e quelle rurali. Queste ultime raccolgono la maggior parte dei poveri multidimensionali, circa 1,1 miliardi di persone, con un tasso di povertà quattro volte superiore a quello rilevato nelle aree urbane. Nonostante la povertà multidimensionale sia molto diffusa, vi sono alcuni segni di miglioramento. In India, ad esempio, tra il 2006 e il 2016, 271milioni di persone sono uscite dalla povertà, mentre tra il 2006 e il 2017 l’aspettativa di vita nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale è aumentata rispettivamente di 7 e di 4 anni. Al contempo, il tasso di istruzione primaria in queste regioni è salito al 100%.

 

Figura 1. Tre fattori determinanti per lo sviluppo della persona: salute, educazione e standard di vita (fonte: Multidimensional Poverty Index, 2018)

 

“L’Indice di povertà multidimensionale è uno strumento efficace per esaminare la povertà a livello globale – ha sottolineato il Direttore dell’OPHI Sabina Alkire. “Le misure tradizionali di povertà, spesso calcolate sul numero di persone che guadagnano meno di un 1,90 dollari al giorno, fanno luce sul reddito pro-capite ma non sono sufficienti a capire come queste persone affrontano la povertà nella loro vita quotidiana. “Il MPI – ha evidenziato la Alkire – fornisce un’immagine complementare della povertà e di come influisce sulla vita delle persone nel mondo”. L’Agenda 2030 tra i suoi obiettivi si pone quello di sconfiggere la povertà in tutte le sue forme in ogni parte del mondo (Goal 1). L’Indice di povertà multidimensionale fornisce uno strumento prezioso per comprendere la povertà nella sua multidimensionalità, considerando coloro che sono poveri, gravemente poveri e molto vicino a diventare poveri. A questo proposito, i dati contenuti nell’Indice mostrano che oltre agli 1,3 miliardi di persone nel mondo classificate come “poveri”, vanno aggiunti altri 879 milioni che sono a rischio di cadere in povertà a causa di conflitti, malattie, siccità, disoccupazione e altri fattori. Questi ultimi fanno salire il numero di poveri multidimensionali nel mondo a quota 2 miliardi.

PROTECTAweb_rapporto-FAO-agricoltura

Gli effetti del cambiamento climatico sui sistemi agricoli globali

I cambiamenti climatici sconvolgeranno l’agricoltura e il mercato dei prodotti alimentari a livello globale. A dirlo è un rapporto della FAO presentato a Roma lo scorso 17 settembre. Tuttavia, le regole del commercio internazionale stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio e i nuovi meccanismi di adattamento ai cambiamenti climatici indicati dall’Accordo di Parigi, sottolinea la FAO, potranno essere di reciproco sostegno per riuscire a trasformare il mercato agricolo-alimentare in un pilastro della sicurezza capace di adattarsi ai mutamenti globali.


Gli effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura

Le temperature sono in costante aumento a livello globale, assistiamo ad eventi climatici estremi come alluvioni, inondazioni e uragani sempre più frequentemente, le calamità naturali minacciano l’economia, il territorio e la popolazione in numerose regioni del mondo. E non è tutto: nei prossimi anni, i cambiamenti climatici sconvolgeranno anche i sistemi agricoli e il mercato dei prodotti alimentari a livello globale. I Paesi che si trovano nella fascia climatica temperata avranno benefici per l’agricoltura dovuti all’innalzamento della temperatura, ma i Paesi che invece si trovano a basse latitudini vedranno un peggioramento delle performance dei loro sistemi agricoli. Questo è quanto emerge dal rapporto della FAO dal titolo The State of agricultural commodity markets 2018 , presentato nella sede romana dell’Organizzazione lo scorso 17 settembre. Le regole del commercio internazionale stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio e i nuovi meccanismi di adattamento ai cambiamenti climatici indicati dall’Accordo di Parigi, sottolinea la FAO, possono essere di reciproco sostegno per riuscire a trasformare il mercato agricolo-alimentare in un pilastro della sicurezza capace di adattarsi ai mutamenti globali. Poiché i cambiamenti climatici saranno destinati ad alterare significativamente la capacità di molte regioni del mondo di produrre cibo (Figura 1), la FAO prevede che il commercio internazionale di prodotti agricoli e alimentari avrà un ruolo sempre più importante nella lotta alla fame, in crescita da tre anni. A questo proposito, l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della sicurezza alimentare e della denutrizione nel mondo evidenzia dati allarmanti: nel 2017, 821 milioni di persone nel mondo (17 milioni in più rispetto al 2016), vale a dire una persona su nove a livello globale, hanno sofferto di denutrizione. Di questi, 151 milioni (nel 2012 erano 169 milioni) sono bambini al di sotto dei cinque anni con forti probabilità di subire ritardi nella crescita, nell’apprendimento e nelle capacità richieste dagli impegni futuri. Tutto ciò avviene, sottolineano le Nazioni Unite, a fronte di un aumento del numero di persone che sono in sovrappeso, 2,6 miliardi di persone a livello globale secondo i dati dell’Accademia Pontificia delle Scienze, e di un enorme spreco alimentare quantificato in 1,3 miliardi di tonnellate di cibo gettate via ogni anno per un valore economico che supera i 1.000 miliardi di dollari.

 

Figura 1. Effetti del Cambiamento climatico sui sistemi agricoli globali al 2050 (fonte: rapporto “The State of agricultural commodity markets 2018", FAO)

 

“Dobbiamo garantire che l’evoluzione e l’espansione del commercio agricolo siano eque e operino nella direzione dell’eliminazione della fame, dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione – ha affermato il direttore generale della FAO José Graziano da Silva nel corso della presentazione del rapporto. “Il commercio internazionale – ha sottolineato da Silva – ha la capacità di stabilizzare i mercati e ridistribuire il cibo dalle regioni in eccedenza verso quelle deficitarie, aiutando i paesi ad adattarsi ai cambiamenti climatici e contribuendo a promuovere la sicurezza alimentare”. Una prospettiva che emerge con forza soprattutto in quelle aree del mondo maggiormente soggette ai cambiamenti climatici. Molti Paesi si affidano già oggi ai mercati internazionali come fonte di cibo, sottolinea la FAO, per far fronte ai propri deficit nelle produzioni agricole dovuti alla limitata disponibilità di terra e acqua per cui devono far fronte ad elevati costi per le produzioni agricole. Ad esempio, il Bangladesh, nel 2017, ha tagliato i dazi doganali sul riso per aumentare le importazioni e stabilizzare il mercato interno a seguito delle gravi inondazioni che avevano colpito il Paese e fatto salire i prezzi di oltre il 30%. Nella stessa direzione si è  mosso il Sudafrica, grande produttore ed esportatore di mais, che ha di recente aumentato le importazioni per limitare i danni causati dai frequenti periodi di siccità.

 

Le conseguenze per l’economia globale

Il rapporto FAO sullo stato dei mercati agricoli globali fornisce anche una panoramica dell’andamento del sistema commerciale dei prodotti agricoli e alimentari negli ultimi anni. Dopo una rapida crescita dei commerci a registrata a livello globale tra il 2000 e il 2008, sottolinea il rapporto, si è invertita la rotta negli anni successivi. Tuttavia, i commerci sono cresciuti significativamente sotto il profilo economico passando da 570 miliardi di dollari nel 2000 a 1.600 miliardi di dollari nel 2016. Questa crescita è stata dovuta, spiega la FAO, alla vertiginosa espansione economica della Cina e di altre economie emergenti come India, Indonesia e Brasile. Ad esempio, tra il 2000 e il 2016, il Brasile ha aumentato le esportazioni di prodotti alimentari dal 3,2% al 5,7%, la Cina ha superato Canada e Australia ed è diventato il quarto più importante esportatore agricolo del mondo, l'Indonesia e l'India hanno aumentato le loro esportazioni agricole posizionandosi tra i primi dieci maggiori esportatori di cibo al mondo, rispettivamente all'ottavo e al decimo posto. Nello stesso periodo, la quota combinata del valore totale delle esportazioni di Stati Uniti, Unione europea, Australia e Canada è diminuita di dieci punti percentuali. Tuttavia, nei prossimi anni, saranno molti i Paesi, situati soprattutto nel Sud del mondo, a pagare il prezzo più elevato dell’impatto del Cambiamento climatico. Le proiezioni della FAO al 2050 tratteggiano una situazione allarmante per l’Africa, dove la produzione agricola potrebbe subire un calo di quasi il 3% rispetto alla baseline, cioè lo scenario ipotetico che considera costanti le condizioni climatiche, per l’India dove si prevede un calo del 2,5% e per il Medio Oriente dove si prevede un calo più o meno analogo.  Al contrario, i Paesi che si trovano nella fascia climatica temperata, come Canada e Russia avranno vantaggi da qualche grado centigrado in più e avranno la possibilità, ad esempio, di avviare colture di cereali e altri prodotti in zone, ad oggi, ancora troppo fredde e inospitali (Figura 2).

 

Figura 2. Effetti del Cambiamento climatico sui prezzi dei prodotti alimentari nel mondo al 2050 (fonte: rapporto “The State of agricultural commodity markets", FAO)

 

A causa del Cambiamento climatico, i prezzi dei prodotti alimentari tenderanno ad aumentare a livello globale, seppure in modo differente da regione a regione. La FAO prevede per i Paesi dell’Africa Occidentale un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari legato al clima del 5,6%, per l’India del 4,6% e per il Sud-Est asiatico dell’1,3%. Il PIL africano e del Sud-Est asiatico potrebbe contrarsi in modo significativo, rispettivamente del 2,5% e del 2% rispetto alla baseline.

Le proiezioni della FAO sugli effetti dei cambiamento climatico sull’agricoltura e sul mercato dei prodotti alimentari evidenziano una situazione molto critica. Continuando di questo passo, avverte l’Organizzazione, le disuguaglianze esistenti continueranno ad aggravarsi e il divario tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo aumenterà ulteriormente. Fenomeni tra i quali povertà, insicurezza alimentare, denutrizione, conflitti e crisi migratorie, già in costante aumento, si intensificheranno nei prossimi anni e, ancora una volta, a pagare il prezzo maggiore, saranno i Paesi più vulnerabili agli effetti del Cambiamento climatico.

UE mercato plastiche

L’Unione europea punta a un mercato delle plastiche riciclate

Dopo la Strategia europea per il riciclo della plastica e il pacchetto europeo sull’economia circolare, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per la creazione di un mercato unico delle plastiche riciclate, la messa al bando entro due anni delle microplastiche nei prodotti cosmetici e per la pulizia e nuove norme sulla biodegradabilità e compostabilità dei rifiuti plastici. Un mare di plastica anche in agricoltura: i rifiuti plastici nel comparto agricolo rappresentano il 3-6% di tutti quelli prodotti a livello globale.


Quanta plastica si ricicla in Europa

I Paesi dell’Unione europea producono ogni anno circa 26 milioni di tonnellate di rifiuti, soprattutto materiali plastici, di cui solamente il 30% viene riciclato, mentre il 39% viene incenerito e il restante 31% smaltito nelle discariche. Nel complesso, la produzione e l’incenerimento della plastica in Europa sono responsabili, a livello globale, dell’emissione di oltre 400 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (dati della Commissione europea). Una parte considerevole di tutti i rifiuti prodotti a livello europeo viene esportato per il trattamento in altri paesi extraeuropei. Sino al 2016, ad esempio, l’85% di tutta la plastica made in Ue veniva inviata in Cina e nella regione amministrativa speciale di Hong Kong per essere trattata.  Per avere un’idea dell’enorme quantità di rifiuti plastici in questione, basti considerare che il mercato dell’import dei rifiuti in Cina nel 2016 ha assorbito il 70% di tutti i rifiuti plastici raccolti e selezionati a livello globale per un valore di 21,6 miliardi di dollari (4,6 dei quali nella sola Hong Kong). Tuttavia, a gennaio di quest’anno la Cina ha annunciato una stretta sull’importazione dei rifiuti dall’Europa. Nel 2017, infatti, il Governo di Pechino aveva notificato all’Organizzazione mondiale del commercio che da gennaio 2018 avrebbe imposto divieti all’importazione di alcune tipologie di materiali raggruppabili in quattro categorie: plastica, carta straccia, rifiuti tessili e scorie minerali. La stretta sull’importazione dei rifiuti da parte della Cina ha preoccupato l’Unione europea, che ha dovuto mettere in campo nuove misure per il riciclo e il riutilizzo dei prodotti, in particolare di quelli plastici. Pertanto, a gennaio di quest’anno la Commissione europea ha approvato la prima Strategia europea per il riciclo della plastica con l’obiettivo di riciclare e rendere riutilizzabili tutti gli imballaggi di plastica presenti sul mercato europeo entro il 2030, ridurre l’utilizzo di sacchetti di plastica monouso e limitare l’uso intenzionale di microplastiche. Alla Strategia si è aggiunto poi il pacchetto europeo sull’economia circolare, approvato in via definitiva dal Parlamento europeo ad aprile di quest’anno e che dovrà essere recepito dai vari Paesi dell’area Ue entro due anni dalla sua approvazione. Il pacchetto stabilisce nuovi target: entro il 2025, almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali dovrà essere avviato a riciclo. L’obiettivo salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Inoltre, il 65% dei materiali da imballaggio in circolazione dovrà essere riciclatoentro il 2025. La quota dovrà salire, secondo le stime della Commissione europea, al 70%  entro il 2030. Vengono poi fissati dei sotto-target distinti per materiali da imballaggio, come plastica, legno, metalli ferrosi, alluminio, vetro, carta e cartone.

Le nuove norme contenute nel pacchetto fissano al 10% la quota dei rifiuti da smaltire in discarica entro il 2035 (Tabella 1). Il pacchetto stabilisce infine l’obbligatorietà della raccolta differenziata per alcuni particolari tipi di rifiuto, indicando specifici target da raggiungere: rifiuti tessili entro il 2025; umido e rifiuti organici (bio-waste) entro il 2023; rifiuti pericolosi domestici (vernici, pesticidi, oli e solventi) entro il 2022.

 

Materiale

Entro il 2025

Entro il 2030

Tutti i tipi di imballaggi

65%

70%

Plastica

50%

55%

Legno

25%

30%

Metalli ferrosi

70%

80%

Alluminio

50%

60%

Vetro

70%

75%

Carta e cartone

75%

85%

 

Tabella 1. Target distinti per materiali da imballaggio specifici secondo il pacchetto europeo sull’economia circolare (fonte: Commissione europea)

 

Un mare di plastica in agricoltura

L’agricoltura protetta nel mondo si estende per oltre 3 milioni di ettari (Ha) tra serre, grandi tunnel e tunnel e circa il 70% delle coltivazioni protette utilizza film plastici flessibili. Nel complesso, l’agricoltura produce una quota compresa tra il 3 e il 6% di tutti i rifiuti plastici prodotti a livello globale, secondo delle stime dell’Associazione europea Materiali Plastici. Il volume dei film plastici utilizzati in agricoltura ammonta a 500 mila tonnellate, costituite soprattutto da polietilene a bassa densità (LDPE), cioè il polimero più commercializzato, Etilvinilacetato (EVA) e Cloruro polivinile (PVC). Particolarmente diffusa è la pacciamatura nell’area mediterranea, dove raggiunge un’estensione di quasi 200 mila ettari, di cui oltre 140 mila in Francia e Spagna, 25 mila in Italia e i restanti 35 mila tra gli altri Paesi europei che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Per quanto riguarda i consumi di plastica nel comparto serre, si stima che in Italia, su un totale di 45 ettari adibiti esclusivamente a colture in serra, si producano 85 mila tonnellate di rifiuti plastici (Figure 1 e 2), di cui oltre 40 mila derivanti dalla pacciamatura. A questi si aggiungono quelli derivanti dall’irrigazione, circa 63 mila tonnellate, e dalla raccolta e la conservazione dei prodotti agricoli, altri 63 mila tonnellate. Alla luce degli enormi consumi di plastica nel settore agricoltura, gli operatori del settore propongono soluzioni più sostenibili che riducano l’impiego della plastica e compensino la riduzione di luce attraverso l’uso di sistemi fotovoltaici (fonte: Progetto MODEM, ENEA, 2010).

 

Figura 1. Serre nella provincia di Ragusa, in Sicilia

 

Figura 2. Rifiuti plastici prodotti nella serricoltura

 

Il Parlamento europeo vota una risoluzione contro le microplastiche

Nel tentativo di proteggere l’ambiente e contrastare ulteriormente l’inquinamento da plastica, il Parlamento europeo ha approvato il 13 settembre una risoluzione non vincolante (approvata dalla Commissione europea lo scorso 10 luglio) relativa alla Strategia europea per il riciclo della plastica, che chiede la creazione di un mercato unico per le plastiche riciclate, la messa al bando delle microplastiche nei cosmetici e nei prodotti per la pulizia entro due anni, incentivi per la raccolta dei rifiuti marini in mare, nuove norme a livello europeo in materia di biodegradabilità e compostabilità e un divieto totale all’impiego di plastiche oxodegradabili (plastiche convenzionali addizionate con speciali additivi che facilitano la rottura delle catene polimeriche) entro il 2020. Per quanto riguarda il riciclo delle materie plastiche, gli eurodeputati promotori della risoluzione chiedono alla Commissione europea di fissare standard qualitativi al fine di rafforzare il mercato della plastica secondaria. Per favorire lo sviluppo di un vero e proprio mercato della plastica secondaria, si propone anche la possibilità di ridurre l’IVA sui prodotti fatti con materiali di seconda generazione. La risoluzione sottolinea inoltre la necessità di avere un sistema di responsabilità estesa del produttore e campagne di sensibilizzazione sul tema dell’inquinamento da plastica rivolte ai cittadini europei. Nel frattempo, la Commissione per l’ambiente del Parlamento europeo sta esaminando una proposta di legge che prevede il divieto di commercializzare prodotti di plastica monouso, come posate, piatti, cannucce e attrezzi da pesca, con l’obbligo da parte dei produttori di contribuire ai costi di gestione e bonifica dei rifiuti di plastica. Il voto è previsto per ottobre.