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Cooperazione tra Italia e Cina: costruire una nuova “via della seta” in chiave digitale

“Andando da soli si va veloci, ma insieme si va lontano”. L’Italia e la Cina devono cooperare tra loro e costruire una nuova “via della seta” in chiave digitale che rafforzi i rapporti tra i due Paesi. Questo è il messaggio chiave lanciato dalla conferenza “Digital Cooperation between Italy and China”, organizzata lo scorso 25 ottobre presso l’Ambasciata cinese a Roma. 


“Andando da soli si va veloci, ma insieme si va lontano”. Questo è il messaggio chiave lanciato dalla conferenza “Digital Cooperation between Italy and China”, organizzata lo scorso 25 ottobre presso l’ambasciata cinese a Roma (foto in alto). All’evento presieduto da Luigi Gambardella, Presidente di China EU, associazione internazionale che promuove la cooperazione, il commercio e gli investimenti in prodotti e servizi digitali tra Europa e Cina, sono intervenuti l’ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia Li Ruiyn e il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, responsabile di una speciale task force per la cooperazione tra Italia e Cina. “L’economia digitale cinese è in forte sviluppo: nel 2017 il settore ha raggiunto un valore di 27 miliardi, con una crescita del 20,3% rispetto al 2016”, ha affermato l’ambasciatore Ruiyn. “I consumatori di prodotti digitali in Cina sono 800 milioni, cioè più di quanti ce ne siano negli Stati Uniti e in Europa e tra le 10 startup digitali più innovative al mondo, 5 sono cinesi”, ha sottolineato Ruiyn. 

Nel corso della conferenza si sono tenuti due panel tematici: il primo dal titolo “Il punto di vista degli addetti ai lavori sulle opportunità di cooperazione”, moderato da Rita Fatiguso, giornalista de Il Sole 24 Ore; il secondo dal titolo “Opportunità per la cooperazione sull’e-commerce”, moderato da Claudia Vernotti, Direttore di China EU. Ai due panel hanno preso parte diversi rappresentanti italiani e cinesi del settore sia privato che pubblico, tra i quali Angelo Coletta, Presidente di Italia Startup, Lin Yi, responsabile dell’Ufficio di rappresentanza per il commercio e gli investimenti in Europa, Thomas Miao, amministratore delegato di Huawei Italia, Andrea Ghizzoni, Direttore di Tencent Europa, Arno Reijm, CMO (Chief Marketing Officer) di WeGoEu ed Eduardo Barbaro, direttore mondiale di Bulgari. Nel corso dei due panel sono stati affrontati quelli che vengono considerati i settori chiave della cooperazione sino-italiana, tra i quali l’innovazione tecnologica, il settore dell’import export agroalimentare, quello del turismo e dei servizi digitali. Per quanto riguarda il settore agroalimentare, negli ultimi anni, la Cina ha registrato una forte crescita dei prodotti made in Italy, soprattutto vino e olio. Anche il turismo cinese in Italia è in forte crescita: tuttavia, durante la conferenza è stato posto l’accento sulla necessità di sviluppare nuovi format innovativi che rafforzino la cooperazione tra Italia e Cina in questo settore. L’Italia rappresenta, secondo i dati dell’Ufficio turistico cinese, la meta europea più amata dai cinesi, sebbene occorrano maggiori investimenti nei servizi digitali legati al turismo. A conclusione dei due panel, ha preso la parola il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, il quale ha sottolineato l’importanza di aver istituito una task force dedicata alla cooperazione tra Italia e Cina. Il sottosegretario ha poi evidenziato la necessità di aumentare gli investimenti nella digitalizzazione delle piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto economico del nostro Paese, e nello sviluppo di servizi digitali più efficienti che possano rilanciare il mercato del e-commerce che, stando ai dati, in Italia rimane un settore trascurato. Insomma, bisogna puntare sulla cooperazione internazionale e costruire una nuova “via della seta” in chiave digitale che rafforzi i rapporti tra i due Paesi.

Il prossimo mese si terrà il China International Import Expo  a Shanghai, città simbolo dello sviluppo economico cinese, al quale parteciperanno i rappresentanti di oltre 100 paesi del mondo, compresa l’Italia. “L’Expo rappresenterà un’importante iniziativa per mostrare l’apertura della Cina verso l’esterno e un’opportunità per rafforzare la cooperazione internazionale nell’economia digitale”, ha sottolineato l’ambasciatore Ruiyn.


Nota:

La foto che compare come immagine d'intestazione dell'articolo è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell'articolo) durante la conferenza presso l'Ambasciata cinese a Roma.

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Il Parlamento europeo dichiara guerra alle plastiche monouso

Il Parlamento europeo approva una nuova normativa sul consumo di plastica monouso che punta a vietare, a partire dal 2021, la vendita di posate, bastoncini cotonati, piatti, cannucce, miscelatori per bevande e bastoncini per palloncini. Al bando anche scatole usa e getta per panini, contenitori alimentari per frutta, verdura, dessert, gelati e articoli di plastica oxodegradabili. Il 6 novembre cominceranno i negoziati con i Paesi dell’Ue e, se tutto dovesse procedere nei tempi stabiliti, la normativa potrebbe essere approvata definitivamente entro marzo 2019. 


Dal 2021 sarà vietato vendere una serie di articoli di plastica monouso, come posate, bastoncini cotonati, piatti, cannucce, miscelatori per bevande e bastoncini per palloncini. Ieri, il Parlamento europeo ha approvato una nuova normativa che aggiunge all’elenco della materie plastiche vietate, proposto dalla Commissione europea a fine maggio con la COM(2018) 340 final , anche i sacchetti di plastica, gli articoli di plastica oxodegradabili (plastiche con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione in parti minuscole per effetto della radiazione solare), i contenitori in polistirolo espanso. Tra gli altri articoli di plastica che dovranno essere vietati a partire dal 2021 compaiono anche le scatole usa e getta per panini e i contenitori alimentari per frutta, verdura, dessert e gelati. I Paesi membri dell’Unione europea dovranno ridurre il consumo di questo tipo di prodotti del 25% dentro il 2025. Altri prodotti di plastica, come, ad esempio, le bottiglie per bevande, dovranno essere raccolte separatamente e riciclate al 90% sempre entro il 2025. Inoltre, la nuova normativa invita i vari Paesi membri ad elaborare piani nazionali per incoraggiare il consumo di prodotti adatti ad uso multiplo, nonché il loro riciclo e riutilizzo. Il Parlamento europeo dichiara poi guerra ai mozziconi di sigarette che contengono plastica, la cui quantità di rifiuti dovrà essere ridotta del 50% entro il 2025 e dell’80% entro il 2030. Saranno gli stessi produttori di tabacco a farsi carico dei costi di trattamento e di raccolta, compreso il trasporto. Un mozzicone di sigaretta, sottolinea il Parlamento europeo, può inquinare tra i 500 e 1.000 litri d’acqua e, se gettato in strada, può richiedere fino a 12 anni per disintegrarsi. Si tratta del secondo articolo di plastica monouso più presente tra i rifiuti. La nuova normativa impone lo stesso ai produttori di attrezzi da pesca che contengono plastica, i quali dovranno contribuire al riciclo di almeno il 15% dei prodotti entro il 2025. I Paesi dell’Ue, invece, dovranno garantire che almeno la metà di tutti gli attrezzi da pesca contenenti plastica perduti o abbandonati in mare, come reti, fili da pesca e cime, che rappresentano il 27% dei rifiuti che si trovano nelle spiagge europee, venga raccolta ogni anno. I prodotti elencati nella nuova normativa, fa sapere il Parlamento europeo, rappresentano il 70% di tutti i rifiuti marini e tra questi ci sono i 10 prodotti che inquinano maggiormente le spiagge europee (Figura 1). 
 

Figura 1. I dieci rifiuti plastici più diffusi nelle spiagge europee (fonte: Parlamento europeo)

 

A causa della sua lenta decomposizione, la plastica si accumula nei mari, negli oceani e nelle spiagge di tutto il mondo. I suoi residui si trovano in numerose specie animali, non solo marine, e finiscono, di conseguenza, nella catena alimentare dell’uomo. L’Unione europea produce 26 milioni di tonnellate di rifiuti plastici ogni anno, di cui solo il 30% è riciclabile, e di questi finiscono nel mare tra le 150 e le 500 mila tonnellate, con significative ricadute sull’ambiente e sulle specie che abitano il mare. A questo proposito, un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite nel  2016  sottolineava che i rifiuti marini, composti prevalentemente da plastica, minacciano la sopravvivenza di oltre 800 specie animali che muoiono ingerendo o restando intrappolare nei rifiuti. Il problema non affligge solo grandi specie animali, come i cetacei e le tartarughe marine, ma riguarda anche altri organismi come ostriche, cozze, coralli e persino plancton, inquinando l’intera reta trofica marina. E non sono solo le specie marine ad essere colpite dalla piaga dell’inquinamento da plastica. Una ricerca pubblicata nel 2015 sulla rivista scientifica Pnas ha rilevato che il 90% di tutti gli uccelli marini del mondo ha residui di plastica nelle proprie viscere, ingeriti perché confusi per cibo. Nel 2050, se i consumi di plastica dovessero continuare  al ritmo attuale, secondo la ricerca, ben il 99% degli uccelli si troverebbe ad avere plastica all’interno del proprio organismo. Per quanto riguarda il mar Mediterraneo, secondo uno studio del WWF, pubblicato lo scorso giugno, la plastica rappresenta circa il 95% di tutti i rifiuti gettati in mare e i suoi residui si trovano in oltre 130 specie marine.

Questi sono dati allarmanti che devono far riflettere le istituzioni europee, l’industria e i cittadini sulla necessità di ridurre i consumi di prodotti di plastica, in particolare di quelli monouso, e pongono l’accento sul dovere che noi tutti abbiamo di salvaguardare l’ambiente in cui viviamo. La nuova normativa, sottolinea la Commissione europea, comporterà un risparmio di 22 miliardi di euro per danni ambientali e di 6 miliardi per i consumatori. Ora, il Parlamento europeo dovrà avviare i negoziati con il Consiglio (l’organo politico dell’Unione) non appena i ministri dei Paesi dell’Ue avranno definito la propria posizione in merito alla normativa. I negoziati con il Consiglio cominceranno il 6 novembre e, se tutto dovesse procedere nei tempi stabiliti, la normativa potrebbe essere approvata definitivamente entro marzo 2019, mentre i divieti veri e propri non entreranno in vigore prima del 2021.

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Tetti verdi contro il cambiamento climatico

Contribuiscono a ridurre i consumi di energia per la climatizzazione degli edifici, aumentando l’isolamento del lastrico solare anche del 42%, e riescono ad assorbire fino al 50% di acqua piovana, attenuando gli effetti delle “bombe d’acqua” e regolando il deflusso nel sistema idrico urbano. 


Non solo pareti, ma anche tetti verdi

Contribuiscono a ridurre i consumi di energia per la climatizzazione degli edifici e riescono ad assorbire fino al 50% di acqua piovana, regolando il deflusso nel sistema idrico urbano. Queste sono solo alcune tra le molteplici funzionalità del “verde orizzontale”. L’adozione dei tetti verdi (green roofs) si sta diffondendo vertiginosamente nel settore residenziale in due direzioni: quella della riqualificazione energetica degli edifici e quella meramente decorativa. Sul tema dei tetti verdi, si è tenuto lo scorso 22 ottobre a Genova, presso l’edificio Matitone (sede del Comune), il convegno “Efficienza Energetica e Sostenibilità ambientale” (Figura 1), organizzato nell’ambito del Progetto ES-PA (“Energia e Sostenibilità per la Pubblica Amministrazione”). Il convegno ha visto la partecipazione di amministratori locali, funzionari del Comune di Genova, esperti e ricercatori dell’ENEA (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), che è partner nel progetto.

 

Figura 1. Locandina del convegno “Efficienza Energetica e Sostenibilità ambientale”

 

La realizzazione di tetti verdi, è stato sottolineato nel corso del convegno, coinvolge differenti ambiti produttivi: edile, residenziale, tecnico, agronomico e vivaistico. Tra le principali caratteristiche che devono avere i tetti verdi, hanno particolare rilievo l’impermeabilizzazione della copertura vegetale, il corretto drenaggio dell’acqua, il controllo delle radici e l’uso di un substrato per la crescita delle piante che si vogliono coltivare sul tetto (Figura 2).

 

Figura 2. Principali caratteristiche del tetto verde

 

Il valore aggiunto di un tetto verde, spiegano gli esperti, si basa sulle proprietà delle piante verdi considerate “materiali freddi” e quindi in grado di mantenere una temperatura superficiale vicina a quella dell’aria esterna. Al contrario, “materiali caldi”, come asfalto e cemento, nei mesi estivi possono raggiungere temperature molto elevate, anche superiori ai 50 °C. Questo vantaggio termico è dovuto all’albedo, cioè alla capacità della piante di riflettere la radiazione solare incidente, e alla loro scarsa emissività. In questo modo, non riscaldano eccessivamente l’aria circostante (emettono meno radiazione infrarossa, ossia meno calore, riducendo il surriscaldamento dell’aria e delle superfici adiacenti alla vegetazione) e contribuiscono al raffrescamento dell’edificio.

 

L’ENEA realizza un tetto verde dimostrativo

Numerose ricerche sul tema dei tetti verdi sono in corso. Al Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA (Roma), i ricercatori del Dipartimento Unità Efficienza Energetica stanno studiando i benefici legati alla realizzazione di coperture verdi orizzontali su case ed edifici urbani. Secondo i ricercatori dell’ENEA, i tetti verdi avrebbero maggiore efficacia nel periodo estivo, grazie alla capacità di abbattere la temperatura del lastrico solare privo di vegetazione anche di 25 °C, contribuendo a migliorare il comfort microclimatico interno all’edificio (Figura 3).
 

Figura 3. Temperatura delle superfici messe a verde e di quella prive di vegetazione sul tetto verde dimostrativo

 

All’ENEA è stato inoltre realizzato, ormai da un anno, un tetto verde dimostrativo presso l’edificio “Scuola delle Energie” del Centro Ricerche Casaccia (Figura 4). Il tetto verde poggia su uno spessore di terreno di appena 20 centimetri e vi si coltivano piante perenni, come Sedum ed Echium (“erba viperina”), due specie ideali adatte al nostro clima mediterraneo. Le prime analisi condotte sulla piattaforma dimostrativa, fanno sapere i ricercatori dell’ENEA, mostrano che il tetto verde aumenta l’isolamento del lastrico solare di oltre il 42%. Questo comporta un aumento della capacità di coibentazione del solaio e, di conseguenza, una riduzione del flusso di calore dall’ambiente esterno a quello interno dell’edificio, in estate, e un minore passaggio di calore dall’ambiente interno a quello esterno, in inverno.

Figura 4. Tetto verde dimostrativo realizzato presso la “Scuola delle Energie” del Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA (Roma)

 

Le coperture vegetali realizzate sui tetti o sui lastrici solari degli edifici contribuiscono inoltre a ridurre la pericolosità di eventi meteorologici estremi, come forti acquazzoni e piogge torrenziali improvvise, le cosiddette “bombe d’acqua”, che si abbattano sempre più spesso sulle città. Infatti, mentre la capacità di trattenere l’acqua, data dal coefficiente di deflusso dell’acqua piovana Ψ (Ψ è pari a 0 se la superficie è permeabile, ad 1 se la superficie è impermeabile), delle coperture tradizionali è pari a 0,80-0,95, quella dei tetti verdi diminuisce verso valori compresi tra 0-0,30. In altri termini, il tetto verde protegge l’edificio dalle piogge torrenziali, attenuando fortemente l’intensità e i volumi del deflusso dell’acqua piovana. Nonostante i molteplici vantaggi offerti dai tetti verdi, gli esperti raccomandano che la messa a verde del lastrico solare o del tetto di un edificio deve avvenire dopo una valutazione generale dei fattori che ne determinano il successo. Infatti, occorre valutare le condizioni statiche dell’edifico, la scelta delle piante, la tipologia e lo spessore del substrato, la facilità di manutenzione, gli impianti di irrigazione, gli eventuali vincoli degli enti pubblici (comuni, Sovrintendenza, ecc.) e condominiali e la normativa vigente. A questo proposito, la norma UNI 11235 divide i tetti verdi in due tipologie: quelli estensivi e quelli intensivi. Le differenze tra le due tipologie di tetto verde sono nello spessore o nel peso della stratigrafia, nelle spese economiche da sostenere e nei consumi di corrente elettrica per gli interventi di irrigazione. Rileva inoltre la contabilizzazione tecnica di tutte le attività agronomiche come apporti idrici, potatura, sfalciatura, raccolta delle foglie caduche, ecc. (Figura 5).

 

Figura 5. Tipologie di tetto verde secondo la norma UNI 11235

 

La legislazione attuale

La Commissione europea incoraggia l’adozione di questo tipo di soluzioni naturali al fine di migliorare le prestazioni energetiche degli edifici, in particolare, di quelli urbani. Per diminuire i consumi energetici dovuti al riscaldamento e al raffrescamento degli edifici, che in Europa rappresentano circa il 40% dei consumi energetici totali, la nuova Direttiva Efficienza Energetica (UE) 2018/844 del 30 maggio 2018, invita i sindaci europei a favorire lo sviluppo di piani d’azione volti alla realizzazione e alla diffusione di tetti e pareti verdi, giardini pensili, coltivazione di siepi e alberi lungo le strade e nelle adiacenze degli edifici. Per quanto riguarda l’Italia, sarà in vigore fino a dicembre il cosiddetto “Bonus verde”, introdotto con la Legge di Bilancio 2018 (l’Italia è stato uno dei primi paesi a livello europeo ad inserire una misura di questo tipo), che consiste in una detrazione IRPEF fino al 36% sulle spese sostenute per interventi di messa a verde di aree scoperte dell’edificio, di unità immobiliari, di pertinenze e recinzioni, per un massimo di 5.000 euro.


Fonti per approfondire:

  • “Coperture a verde e risorsa idrica”. Elena Giacomelli. Franco Agenli, ed.2012;
  • UNI 11235: Istruzioni per la progettazione, l'esecuzione, il controllo e la manutenzione di coperture a verde, 2007(aggiornamenti 2015);

 

Nota:

L'immagine d'intestazione dell'articolo mostra il tetto verde dimostrativo realizzato presso la "Scuola delle Energie" del Centro Ricerche Casaccia dell'ENEA (Roma).