Ci restano 12 anni per salvare il Pianeta dalla catastrofe climatica

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, mantenendo i trend attuali, la temperatura media globale aumenterà di 1,5 °C entro il 2040, toccando la soglia prevista dall’Accordo di Parigi per la fine del secolo. Se si vorrà evitare tale aumento bisognerà agire rapidamente, diminuendo drasticamente le emissioni di gas ad effetto serra, incrementando la quota di rinnovabili nel mix energetico globale, abbandonando il carbone per i consumi energetici e aumentando la superficie forestale globale.


“L’umanità sta giocando a dadi con l’ambiente”, ha affermato nei giorni scorsi il premio Nobel per l’Economia 2018 William D. Nordhaus per sottolineare l’enorme impatto che l’attività antropica ha sul nostro Pianeta. E lo Special Report 15 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l’organismo scientifico delle Nazioni Unite per la ricerca sul cambiamento climatico, conferma il monito lanciato da Nordhaus. Il rapporto, pubblicato lo scorso 8 ottobre, è stato approvato a Incheon, in Corea del Sud, al termine di una lunga serie di riunioni e incontri internazionali, organizzati in vista della prossima Conferenza sul clima che si terrà dal 3 al 14 dicembre a Katowice, in Polonia. Esso rappresenta una dettagliata analisi, ad opera di 91 autori provenienti da 40 paesi diversi, basata sulle ricerche condotte dal 2015, anno in cui è stato firmato l’Accordo di Parigi, sino ad oggi. L’Accordo di Parigi prevede, tra i suoi obiettivi, quello di ridurre drasticamente le emissioni di gas ad effetto serra e di limitare l’aumento di temperatura globale entro i 2 °C (rispetto ai livelli preindustriali del 1850) entro fine secolo, con volontà di contenerlo entro gli 1,5 °C. Tuttavia, per raggiungere questo ambizioso obiettivo, sottolinea il rapporto dell’Ipcc, entro il 2030 si dovrebbero ridurre le emissioni di anidride carbonica di almeno il 45% a livello globale, rispetto ai livelli del 2017, e azzerare l’uso del carbone per usi energetici entro il 2050. Obiettivi che sembrano essere sempre più distanti dal momento che, senza una significativa riduzione delle emissioni a livello globale, il mondo supererà la soglia degli 1,5 °C prima del termine previsto dall’Accordo di Parigi, probabilmente entro il 2040, e toccare i 3 °C in più entro fine secolo (Figura 1).

 

Figura 1. Aumento della temperatura media globale secondo i trend attuali (fonte: Ipcc Special Report on Global Warming of  1.5 °C)

 

La crescita della temperatura globale potrebbe avere conseguenze catastrofiche: dall’aumento degli eventi climatici estremi, come siccità, ondate di calore, alluvioni e uragani, alla perdita di biodiversità sia animale che vegetale, dall’innalzamento del livello degli oceani e dall’acidificazione delle acque alla quasi totale scomparsa delle barriere coralline e dei ghiacciai ai Poli. Le temperature nelle giornate estremamente calde in aree a latitudini medie (ad, esempio, le regioni del Sud Italia), sottolinea l’Ipcc, potrebbero subire un aumento di 3 – 4 °C a seconda che la crescita della temperatura globale sia rispettivamente di 1,5 o 2 °C entro fine secolo. Se la temperatura aumentasse di 2 °C, l’Artico sarebbe caratterizzato da periodi estivi senza ghiaccio una o due volte ogni dieci anni. Ciò avverrebbe con una cadenza di una volta ogni cento anni se l’aumento di temperatura globale si arrestasse invece a +1,5 °C. Le barriere coralline, fondamentali per gli equilibri del nostro Pianeta, scomparirebbero quasi del tutto con un aumento di 2° C, mentre sopravvivrebbero solo per il 10-30% se l’aumento fosse di 1,5 °C. Per invertire la tendenza, o quantomeno limitare i danni, il rapporto dell’Ipcc propone una serie di soluzioni da intraprendere entro i prossimi dodici anni, cioè il tempo stimato dall’organismo delle Nazioni Unite entro cui bisognerà agire se si vorrà evitare la catastrofe climatica. Per prima cosa, secondo l’Ipcc, occorre ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, soprattutto quelle di anidride carbonica, che rappresentano la principale causa del riscaldamento globale (Figura 2). A questo proposito, il rapporto sottolinea che, per contenere l’aumento di temperatura globale entro gli 1,5 °C entro fine secolo, le emissioni nette di anidride carbonica dovranno essere azzerate entro il 2050. Le emissioni degli altri gas ad effetto serra, invece, dovranno essere ridotte del 35% entro il 2050 (rispetto ai livelli del 2010).

 

Figura 2. Il grafico mostra i possibili scenari presi in considerazione nel rapporto dell’Ipcc. In tutti e quattro gli scenari, le emissioni nette di anidride carbonica dovranno essere azzerate entro il 2050 se si vorrà raggiungere l’obiettivo +1,5 °C, rispetto ai livelli preindustriali, di aumento della temperatura globale (fonte: elaborazione dall’Ipcc Special Report on Global Warming of  1.5 °C)

 

Per fare questo, si legge nel rapporto, bisognerà agire simultaneamente su diversi settori, tra i quali l’industria, i trasporti, l’edilizia, la produzione di energia, l’agricoltura, lo sfruttamento delle foreste e del terreno. Non basterà ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, ma occorrerà aumentare il numero di alberi e sviluppare le tecnologie per la cattura, lo stoccaggio e la riconversione dell’anidride carbonica. Tuttavia, sottolinea il rapporto, questo tipo di tecnologie è ancora in fase sperimentale e non sembra sia pronto per essere commercializzato su larga scala. Per quanto riguarda l’aumento della superficie forestale, il rapporto indica di aggiungere altri 10 milioni di chilometri quadrati (pari più o meno alla superficie del Canada) di foreste, creare altri 7 milioni di chilometri quadrati di pascoli e adibirne altri 5 milioni, oggi usati come terreni agricoli, alle coltivazioni per la produzione di biocarburanti. Per quanto riguarda la produzione di energia, fa sapere l’Ipcc, bisognerà aumentare la quota di energia prodotta attraverso fonti rinnovabili del 70-85% entro il 2050, diminuire l’uso del gas per i consumi energetici, utilizzandolo solo per l’8%, e abbandonare totalmente il carbone. Raggiungere obiettivi così ambiziosi in tempi così stretti richiederà cambiamenti radicali nelle politiche energetiche dei paesi più industrializzati ed enormi investimenti economici a livello globale. Per dare un’idea, il rapporto dell’Ipcc stima che gli investimenti necessari per contenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5 °C dovranno essere pari a circa 2 mila miliardi di euro sino al 2035, solo per quanto riguarda la conversione dei sistemi energetici. Più tempo attenderemo per agire, più sarà difficile raggiungere gli obiettivi indicati dal rapporto dell’Ipcc. Purtroppo le prime reazioni alla pubblicazione del rapporto da parte di alcuni paesi, in primis, Stati Uniti, Cina e Australia non lasciano ben sperare sul futuro degli impegni che l’Ipcc raccomanda di adottare nei prossimi anni per contrastare il cambiamento climatico. A questo proposito, lo Stockolm Resilience Centre (SRC), nella sua proposta di “carbon law”, ipotizza di azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050, raddoppiando ogni 5-7 anni la quota di rinnovabili nel mix energetico globale (Figura 3). In questo modo, le emissioni di gas serra verrebbero eliminate entro il 2050 e si realizzerebbero le condizioni necessarie per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C.

 

Figura 3. Stima sulle emissioni di CO2 (fonte: elaborazione dai dati dello Stockolm Resilience Centre) 

 

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“Recovering New Orleans after Katrina” e “Veneto Adapt”. Enti Locali uniti contro gli effetti dei cambiamenti climatici

Presentati a Padova i primi risultati del progetto europeo che mira a rendere il Veneto una regione resiliente 


Mercoledì 10 ottobre al Comune di Padova si è svolto l'incontro dal titolo “Recovering New Orleans after Katrina. Regenerate community. Restore city". Il professore Edward Blakely, l'uomo che ha portato alla rinascita di New Orleans dopo il devastante passaggio dell'uragano Kathrina, ha illustrato gli interventi effettuati applicando strategie di riattivazione delle reti locali e di promozione culturale.  Amministratori, tecnici e studiosi veneti hanno potuto quindi approfondire i temi della gestione del rischio e delle emergenze post disastro direttamente da uno dei più grandi esperti mondiali del settore.

La relazione ha offerto l'occasione per riflettere sul progetto “Veneto Adapt – Central VENETO Cities netWorking for ADAPTation to Climate Change in a multi-level regional perspective”, un progetto che, avviato nel luglio 2017 si concluderà nel 2021. Finanziato dal programma comunitario LIFE per circa 3 milioni di euro,  vede la collaborazione attiva di numerosi e qualificati partner: Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, Università IUAV di Venezia, Sogesca Srl, Città Metropolitana di Venezia, Comune di Treviso, Comune di Vicenza, Unione dei Comuni del Medio Brenta, coordinati dal Settore Ambiente e Territorio del Comune di Padova, ente capofila. 
Obiettivo di questi Enti è  minimizzare il rischio climatico nelle città del Veneto attraverso l'elaborazione di una strategia di adattamento condivisa e unitaria realizzando a livello locale misure concrete di adattamento e sviluppando una metodologia condivisa su scala regionale, sperimentando iniziative e azioni pilota nell'area del Veneto Centrale, un territorio che comprende 3,5 milioni di abitanti, colpiti, negli ultimi anni, dalle conseguenze tangibili del climate change.


Per approfondire leggi il comunicato stampa
e il volantino relativo a "Veneto Adapt" sotto allegati

 

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Il premio Nobel di quest’anno mostra lo stretto legame tra economia e ambiente

Come creare una crescita economica sostenuta e sostenibile a lungo termine? A questa domanda hanno risposto William D. Nordhaus della Yale University e Paul M. Romer della Stern School of Business della New York University, vincitori del premio Nobel per l’Economia 2018 per i loro studi “sull’integrazione dei cambiamenti climatici e delle innovazioni tecnologiche nell’analisi macroeconomica a lungo termine”. 


Una carbon tax a livello globale

William D. Nordhaus, 77 anni, professore alla Yale University, può essere definito un “economista del clima”. Negli anni ’90 fu il primo a creare un modello quantitativo in grado di descrivere l'interazione tra economia e clima, combinando teorie ed esperienze di fisica, chimica ed economia. Consulente economico nell’amministrazione Carter, Nordhaus ha scritto insieme con l’amico e collega Paul Samuelson, anch’egli premio Nobel per l’economia (nel 1970), uno dei manuali economici più diffusi al mondo dal titolo “Economia”. Le ricerche di Nordhaus vertono sull’interazione tra economica e cambiamento climatico e mostrano che il rimedio più efficace per risolvere i problemi causati dalle emissioni di gas ad effetto serra è una carbon tax da applicare uniformemente a tutti i Paesi a livello globale. Con questa misura si condizionerebbe il mercato, spingendo imprese e consumatori ad adottare soluzioni green o meno inquinanti, perché economicamente più convenienti, anche grazie agli incentivi a favore delle energie rinnovabili. In altri termini, con l’aumento del prezzo dell’energia prodotta attraverso il carbone, la domanda verso questo tipo di prodotti diminuirebbe a vantaggio di altre soluzioni con un minor impatto ambientale. “L’umanità sta giocando a dadi con l’ambiente”, ha dichiarato Nordhaus, rifacendosi ad una celebre affermazione fatta da Albert Einstein secondo cui “Dio non gioca a dadi con il mondo”. Einstein aveva risposto in questo modo ad una serie di accuse secondo le quali egli non comprendeva pienamente i traguardi raggiunti nel campo della nascente fisica quantistica. Per l’appunto: alcuni anni più tardi lo stesso Einstein si dovette ricredere e affermò: “Dio non gioca a dadi, ma qualche volta lo fa”.

Ci troviamo tuttavia in anni e in campi delle scienze completamente differenti. Oggi, l’attività antropica contribuisce a immettere nell’atmosfera gas e prodotti chimici che attaccano l’ozono, un gas fondamentale per gli equilibri del nostro pianeta, causa cambiamenti nell’uso del terreno e deforestazioni su larga scala, eliminando l’habitat naturale di molte specie animali e vegetali. Una delle sfide più urgenti del nostro tempo, ha spiegato la Royal Academy of Sciences di Stoccolma, “è combinare la crescita sostenibile a lungo termine dell’economia globale con il benessere della popolazione del pianeta”. Secondo i modelli sviluppati da Nordhaus le attività che dipendono fortemente dalle piogge o dai cambiamenti di temperatura, come l’agricoltura, la selvicoltura,  le attività ricreative all’aperto, saranno le più colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici. 

 
La crescita economica è un processo endogeno

L’altro economista vincitore del premio Nobel per l’Economia, Paul M. Romer, 62 anni, è professore alla Stern School of Business della New York University. Romer, che fino a gennaio di quest’anno ricopriva il ruolo di Chief Economist della Banca Mondiale, è noto, tra gli economisti, per la sua “teoria della crescita endogena”. Secondo questa teoria le forze economiche governano la volontà delle imprese, influenzando la produzione di nuove idee e innovazione. La teoria della crescita endogena parte dal presupposto che la crescita si basa sul processo tecnologico, inteso come processo endogeno in grado di portare nel tempo allo sviluppo produttivo e, di conseguenza, all’aumento della ricchezza e della prosperità a lungo termine. Il primo teorico di questo modello di crescita fu l’economista Robert Solow, premio Nobel per l’Economia nel 1987. Il “modello Romer” rappresenta un superamento del “modello Solow” e mostra come i mercati non regolamentati possano produrre cambiamenti tecnologici, tenendo tuttavia poco conto del settore ricerca e sviluppo (R&S). In questo scenario sono necessari interventi governativi ben programmati, tra i quali il sostegno e gli aiuti a ricerca e sviluppo e la regolamentazione dei brevetti. L’analisi di Romer punta proprio a dimostrare che queste politiche sono di vitale importanza per la crescita a lungo termine, non solo all’interno di un singolo Paese ma a livello globale. I nuovi modelli proposti da Nordhaus e Romer, spiega il comitato dei Nobel, hanno allargato “lo spettro delle possibilità dell’analisi economica mettendo in opera soluzioni che spiegano come l'economia di mercato interagisca con la natura e la scienza”.

L’aver assegnato il premio Nobel a due teorie economiche legate ai cambiamenti climatici dimostra che la dimensione economica e quella ambientale sono ormai strettamente collegate e non possono essere prese in esame l’una scissa dall’altra.