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Rendere le città più verdi e sostenibili sarà la sfida dei prossimi anni

Nonostante rappresentino soltanto il 3% della superficie terrestre, le città sono responsabili, a livello globale, dell’80% del consumo di risorse naturali e producono oltre il 70% di tutte le emissioni di gas serra. “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, come recita l’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030, rappresenta una delle principali sfide da affrontare nei prossimi anni. 


Consumiamo le risorse di 1,7 pianeti

All’inizio del ‘900, le città con una popolazione superiore ad 1 milione di abitanti erano solo 12 in tutto il mondo. Nel 2017 erano 500. Nel 2030 le “mega-città” con una popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti saranno almeno 40. Secondo il rapporto McKinsey “Global cities of the future, il 65% del PIL prodotto nei prossimi 13 anni si concentrerà nei 600 grandi centri urbani del mondo. Da un lato, le città produrranno maggiore ricchezza e benessere per i cittadini, dall’altro, causeranno enormi problemi di ordine energetico ed ambientale. Nonostante rappresentino soltanto il 3% della superficie terrestre, le aree urbane sono responsabili, a livello globale, dell’80% del consumo complessivo di risorse naturali e producono oltre il 70% di tutte le emissioni di gas serra. A questo proposito, dati significativi emergono dal calcolo dell’impronta ecologica delle città sul nostro Pianeta, uno strumento di contabilità ambientale che assegna ad ogni bene di consumo (ad esempio, un chilo di pane o un chilowattora di energia) una porzione di terra sufficiente a rigenerare le risorse consumate e le emissioni causate per la sua produzione. In altri termini, l’impronta ecologica rappresenta la misura della velocità con cui la popolazione mondiale utilizza le risorse naturali offerte dalla Terra. L’unità di misura dell’impronta ecologica viene espressa in ettari globali di terreno utilizzati per produrre e, al contempo, riprodurre le risorse consumate per sostenere gli stili di vita della popolazione mondiale. I dati indicano che attualmente stiamo consumando le risorse naturali ad una velocità tale che non hanno il tempo di rigenerarsi. Il Global Footprint Network, think tank internazionale che misura l’impronta ecologia dell’uomo sulla Terra, ogni due anni comunica l’Overshoot Day (letteralmente, il “Giorno del sorpasso”) cioè il giorno in cui la popolazione mondiale ha consumato tutte le risorse naturali che il Pianeta è stato in grado di produrre per quell’anno e ha emesso una quantità di CO2 superiore a quella che l’ecosistema terrestre è stato in grado di assorbire. Ogni anno, dagli anni ’70 ad oggi, l’Overshoot Day  ha avuto una cadenza annuale sempre più ridotta e, quest’anno, si è registrato il 1° agosto, con un giorno di anticipo rispetto al 2017. Allo stato attuale, fa sapere il Global Foodprint Network, abbiamo bisogno di circa 1,7 pianeti Terra per mantenere i nostri consumi a livello globale (Figura 1).

 

Figura 1. Impronta ecologica nel mondo (fonte: Global Foodprint Network 2017)

 

Quanto consumano le città

Una città con una popolazione di un milione di abitanti consuma ogni giorno 9.500 tonnellate di combustibile, 625.000 tonnellate di acqua potabile e 1.800 tonnellate di cibo (Rifkin J. 1992). Nell’area mediterranea, secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Enrivonmental Science & Policy, nel 2017 le città che hanno fatto registrare i valori più elevati in termini di consumi sono state Venezia, Genova, Roma, Napoli e Palermo. L’impronta ecologica pro capite più alta si è registrata ad Atene, Barcellona, Roma, Marsiglia, Genova e La Valletta. Al contrario, Il Cairo, Tunisi, Alessandria e Tirana sono state le città con i valori più bassi in termini di impronta ecologica. Gli elevati consumi di risorse naturali, le emissioni di gas climalteranti e l’impronta ecologica delle città hanno posto l’accento, negli ultimi anni, sulla necessità di mettere in campo delle iniziative per la salvaguardia dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile delle città. Tra queste, la più rilevante è il Patto Globale dei Sindaci per il Clima e l’Energia, un movimento di autorità locali e regionali di tutto il mondo impegnato a raggiungere e superare gli obiettivi globali in tema di energia e lotta ai cambiamenti climatici. Il movimento era nato con il nome Patto dei Sindaci in Europa, nel 2008, con l’ambizione di aumentare l’efficienza energetica e l’uso di fonti di energia rinnovabili nei vari Paesi europei. Nel 2017 il movimento è diventato globale e, ad oggi, riunisce oltre 7 mila enti locali e regionali in 57 Paesi del mondo. Un’altra iniziativa di livello internazionale è il C40 Cities Climate Leadership Group, una rete formata da oltre 80 grandi città del mondo che rappresentano circa 600 milioni di persone, che ha l’obiettivo di sviluppare progetti volti a contrastare i cambiamenti climatici. Tra i principali impegni assunti dal C40 compaiono la riduzione delle emissioni di CO2 (da una media annuale per cittadini di circa 5 t CO2eq a ad una di 2,9 t di C02eq entro il 2030) e lo sviluppo di Piani d’azione a sostegno di iniziative per la sostenibilità energetica e ambientale delle città (Tabella 1).

 

CITTA’

PROGRAMMA

OBIETTIVO

DIMENSIONI

Basilea

 

Coperture vegetali (23% della superficie totale).

700.000 m2

Sheffield

 

Università e Green Roof Centre

Coperture vegetali per gli edifici pubblici (scuole, uffici ecc).

25.000 m2

Londra (UK)

London Great Outdoors (2009)

Realizzazione di tetti verdi.

 

500.000 m2

Milano

Bosco verticale

Grattacielo composto di due torri di 112 e 80 metri.

800 alberi, 19 essenze vegetali

 

 

 

 

Milano

Progetto Ospedale Policlinico

Realizzazione di un giardino pensile a disposizione dei cittadini.

6.000 m2

Stoccarda

Obbligo di rispetto di quote verdi per gli edifici pubblici (2008)

Corridoi verdi di ventilazione per raffrescamento aria.

Piantumazione e adozione alberi da parte dei cittadini.

60% dell’area urbana verde

Rotterdam

Studio per gli edifici pubblici per diverse utilizzazioni dei tetti

Tetti verdi per i cittadini e la biodiversità, per la raccolta di acqua, per produrre energia.

Realizzati 14 km2 (tetti verdi)

 

Budapest

Angelo Verde

Collegamenti verdi tra le aree della città.

 

Berlino

Biotope Area Factor(BAF 1994))

Introduzione quote verdi per edifici di nuova costruzione.

 

Madrid

Madrid + Natural (2016)

Realizzazione facciate e tetti verdi.

 

Milano

Progetto Ospedale Policlinico

Realizzazione di un giardino pensile a disposizione dei cittadini.

6.000 m2

Bologna

Green Areas Inner-city Agreement (GAIA, 2010)

Incremento numero di alberi.

3000 nuovi alberi per assorbimento di 4000 t CO2

Torino

Progetto Orti Alti

Soluzioni verdi per gli edifici.

Recupero delle coperture delle fonderie dell’ex-fabbrica Ozanam

Faenza

Extra Cubatura (2010)

Realizzazione di due bio-quartieri con tetti/pareti verdi.

 

Mirandola

Un “Bosco in Città”

Completamento forestazione urbana e realizzazione cintura verde cittadina.

130 ha

Los Angeles

Million Tree Program e City Plants (2006)

Piantumazione di un milione di alberi.

 

Chicago

The Green Alley Program (2001-2017)

Realizzazione di oltre 300 “vialetti verdi”.

 

New York

NYC Cool Roofs

Rivestimento dei tetti con vernice bianca isolante per ridurre i consumi di energia.

635.000 m2

Londra

Piano di Sviluppo London Great Outdoors

Azioni di “urban greening”.

Incrementare la superficie a verde pubblico del 5% al 2030 e del 10% al 2050

Tabella 1. Esempi di programmi di resilienza delle città nel mondo.

 

L’importanza del verde urbano

L’impiego e la diffusione del verde urbano giocano un ruolo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici e rappresentano una delle strategie che i sindaci di tutto il mondo hanno deciso di adottare per dare ossigeno alle città e migliorare la vita dei cittadini. Da qui la convinzione, sempre più forte, di considerare l’elemento vegetale un vero e proprio componente nella costruzione degli edifici (Figura 2). Nelle città del 21° secolo, avere un’ambiente urbano ricco di biodiversità, migliorare il comfort microclimatico e fare efficienza energetica rappresentano alcune tra i principali obiettivi che le amministrazioni locali devono portare a termine. In questa realtà, il verde urbano può fare la sua parte: oltre ai benefici in termini di riqualificazione energetica e di rigenerazione urbana, la vegetazione in città contribuisce ad assorbire sostanze contaminanti e a trattenere le particelle sospese nell’aria, limitando il fenomeno del surriscaldamento urbano (Tabella 2).

 

Figura 2. Edificio verde a Largo Febo, nei pressi di Piazza Navona (Roma)

 

INQUINANTE

FORMULA CHIMICA

QUANTITÀ ABBATUTA

Monossido di carbonio

CO

2.500

µg/m2 ora

Cloro

Cl

2.000

µg/m2 ora

Fluoro

F

100

µg/m2 ora

Ossidi di Azoto

NOx

2.000

µg/m2 ora

Ozono

O3

80.000

µg/m2 ora

PAN (Perossiacetilnitrato)

CH3(CO)-O-ONO2

2.000

µg/m2 ora

Anidride Solforosa

SO2

500

µg/m2 ora

Ammoniaca

NH3

400

µg/m2 ora

Tabella 2. Inquinanti presenti nelle aree urbane

 

La necessità di rigenerare le città nella direzione della sostenibilità energetica e ambientale viene riconosciuto inoltre dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, tra i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). L’11° obiettivo dell’Agenda recita: “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” entro il 2030. Si tratta di un obiettivo che va perseguito a livello locale, regionale, nazionale e ovviamente globale, e di una delle principali sfide che l’uomo dovrà affrontare nei prossimi anni.


Fonti:

  • Wackernagel M. e Rees W, 1996;
  • Jeremy Rifkin. 1992;
  • Scudo G., Ochoa de la Torre José M. “Spazi verdi urbani”. SE edizioni. 2003.

 

Nota:

L’immagine d’intestazione dell’articolo mostra uno scorcio della Promenade Plantée, a Parigi. Si tratta di una lunga passeggiata pedonale alberata, che si estende per quasi 5 km, realizzata sul tracciato di una vecchia linea ferroviaria sopraelevata, oggi dismessa. La figura 2 mostra un edificio verde a Largo Febo, nei pressi di Piazza Navona, a Roma (Roma si fa verde”). Entrambe le foto sono state scattate da Andrea Campiotti (autore dell’articolo).

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Cooperazione tra Italia e Cina: costruire una nuova “via della seta” in chiave digitale

“Andando da soli si va veloci, ma insieme si va lontano”. L’Italia e la Cina devono cooperare tra loro e costruire una nuova “via della seta” in chiave digitale che rafforzi i rapporti tra i due Paesi. Questo è il messaggio chiave lanciato dalla conferenza “Digital Cooperation between Italy and China”, organizzata lo scorso 25 ottobre presso l’Ambasciata cinese a Roma. 


“Andando da soli si va veloci, ma insieme si va lontano”. Questo è il messaggio chiave lanciato dalla conferenza “Digital Cooperation between Italy and China”, organizzata lo scorso 25 ottobre presso l’ambasciata cinese a Roma (foto in alto). All’evento presieduto da Luigi Gambardella, Presidente di China EU, associazione internazionale che promuove la cooperazione, il commercio e gli investimenti in prodotti e servizi digitali tra Europa e Cina, sono intervenuti l’ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia Li Ruiyn e il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, responsabile di una speciale task force per la cooperazione tra Italia e Cina. “L’economia digitale cinese è in forte sviluppo: nel 2017 il settore ha raggiunto un valore di 27 miliardi, con una crescita del 20,3% rispetto al 2016”, ha affermato l’ambasciatore Ruiyn. “I consumatori di prodotti digitali in Cina sono 800 milioni, cioè più di quanti ce ne siano negli Stati Uniti e in Europa e tra le 10 startup digitali più innovative al mondo, 5 sono cinesi”, ha sottolineato Ruiyn. 

Nel corso della conferenza si sono tenuti due panel tematici: il primo dal titolo “Il punto di vista degli addetti ai lavori sulle opportunità di cooperazione”, moderato da Rita Fatiguso, giornalista de Il Sole 24 Ore; il secondo dal titolo “Opportunità per la cooperazione sull’e-commerce”, moderato da Claudia Vernotti, Direttore di China EU. Ai due panel hanno preso parte diversi rappresentanti italiani e cinesi del settore sia privato che pubblico, tra i quali Angelo Coletta, Presidente di Italia Startup, Lin Yi, responsabile dell’Ufficio di rappresentanza per il commercio e gli investimenti in Europa, Thomas Miao, amministratore delegato di Huawei Italia, Andrea Ghizzoni, Direttore di Tencent Europa, Arno Reijm, CMO (Chief Marketing Officer) di WeGoEu ed Eduardo Barbaro, direttore mondiale di Bulgari. Nel corso dei due panel sono stati affrontati quelli che vengono considerati i settori chiave della cooperazione sino-italiana, tra i quali l’innovazione tecnologica, il settore dell’import export agroalimentare, quello del turismo e dei servizi digitali. Per quanto riguarda il settore agroalimentare, negli ultimi anni, la Cina ha registrato una forte crescita dei prodotti made in Italy, soprattutto vino e olio. Anche il turismo cinese in Italia è in forte crescita: tuttavia, durante la conferenza è stato posto l’accento sulla necessità di sviluppare nuovi format innovativi che rafforzino la cooperazione tra Italia e Cina in questo settore. L’Italia rappresenta, secondo i dati dell’Ufficio turistico cinese, la meta europea più amata dai cinesi, sebbene occorrano maggiori investimenti nei servizi digitali legati al turismo. A conclusione dei due panel, ha preso la parola il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, il quale ha sottolineato l’importanza di aver istituito una task force dedicata alla cooperazione tra Italia e Cina. Il sottosegretario ha poi evidenziato la necessità di aumentare gli investimenti nella digitalizzazione delle piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore del tessuto economico del nostro Paese, e nello sviluppo di servizi digitali più efficienti che possano rilanciare il mercato del e-commerce che, stando ai dati, in Italia rimane un settore trascurato. Insomma, bisogna puntare sulla cooperazione internazionale e costruire una nuova “via della seta” in chiave digitale che rafforzi i rapporti tra i due Paesi.

Il prossimo mese si terrà il China International Import Expo  a Shanghai, città simbolo dello sviluppo economico cinese, al quale parteciperanno i rappresentanti di oltre 100 paesi del mondo, compresa l’Italia. “L’Expo rappresenterà un’importante iniziativa per mostrare l’apertura della Cina verso l’esterno e un’opportunità per rafforzare la cooperazione internazionale nell’economia digitale”, ha sottolineato l’ambasciatore Ruiyn.


Nota:

La foto che compare come immagine d'intestazione dell'articolo è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell'articolo) durante la conferenza presso l'Ambasciata cinese a Roma.

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Il Parlamento europeo dichiara guerra alle plastiche monouso

Il Parlamento europeo approva una nuova normativa sul consumo di plastica monouso che punta a vietare, a partire dal 2021, la vendita di posate, bastoncini cotonati, piatti, cannucce, miscelatori per bevande e bastoncini per palloncini. Al bando anche scatole usa e getta per panini, contenitori alimentari per frutta, verdura, dessert, gelati e articoli di plastica oxodegradabili. Il 6 novembre cominceranno i negoziati con i Paesi dell’Ue e, se tutto dovesse procedere nei tempi stabiliti, la normativa potrebbe essere approvata definitivamente entro marzo 2019. 


Dal 2021 sarà vietato vendere una serie di articoli di plastica monouso, come posate, bastoncini cotonati, piatti, cannucce, miscelatori per bevande e bastoncini per palloncini. Ieri, il Parlamento europeo ha approvato una nuova normativa che aggiunge all’elenco della materie plastiche vietate, proposto dalla Commissione europea a fine maggio con la COM(2018) 340 final , anche i sacchetti di plastica, gli articoli di plastica oxodegradabili (plastiche con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione in parti minuscole per effetto della radiazione solare), i contenitori in polistirolo espanso. Tra gli altri articoli di plastica che dovranno essere vietati a partire dal 2021 compaiono anche le scatole usa e getta per panini e i contenitori alimentari per frutta, verdura, dessert e gelati. I Paesi membri dell’Unione europea dovranno ridurre il consumo di questo tipo di prodotti del 25% dentro il 2025. Altri prodotti di plastica, come, ad esempio, le bottiglie per bevande, dovranno essere raccolte separatamente e riciclate al 90% sempre entro il 2025. Inoltre, la nuova normativa invita i vari Paesi membri ad elaborare piani nazionali per incoraggiare il consumo di prodotti adatti ad uso multiplo, nonché il loro riciclo e riutilizzo. Il Parlamento europeo dichiara poi guerra ai mozziconi di sigarette che contengono plastica, la cui quantità di rifiuti dovrà essere ridotta del 50% entro il 2025 e dell’80% entro il 2030. Saranno gli stessi produttori di tabacco a farsi carico dei costi di trattamento e di raccolta, compreso il trasporto. Un mozzicone di sigaretta, sottolinea il Parlamento europeo, può inquinare tra i 500 e 1.000 litri d’acqua e, se gettato in strada, può richiedere fino a 12 anni per disintegrarsi. Si tratta del secondo articolo di plastica monouso più presente tra i rifiuti. La nuova normativa impone lo stesso ai produttori di attrezzi da pesca che contengono plastica, i quali dovranno contribuire al riciclo di almeno il 15% dei prodotti entro il 2025. I Paesi dell’Ue, invece, dovranno garantire che almeno la metà di tutti gli attrezzi da pesca contenenti plastica perduti o abbandonati in mare, come reti, fili da pesca e cime, che rappresentano il 27% dei rifiuti che si trovano nelle spiagge europee, venga raccolta ogni anno. I prodotti elencati nella nuova normativa, fa sapere il Parlamento europeo, rappresentano il 70% di tutti i rifiuti marini e tra questi ci sono i 10 prodotti che inquinano maggiormente le spiagge europee (Figura 1). 
 

Figura 1. I dieci rifiuti plastici più diffusi nelle spiagge europee (fonte: Parlamento europeo)

 

A causa della sua lenta decomposizione, la plastica si accumula nei mari, negli oceani e nelle spiagge di tutto il mondo. I suoi residui si trovano in numerose specie animali, non solo marine, e finiscono, di conseguenza, nella catena alimentare dell’uomo. L’Unione europea produce 26 milioni di tonnellate di rifiuti plastici ogni anno, di cui solo il 30% è riciclabile, e di questi finiscono nel mare tra le 150 e le 500 mila tonnellate, con significative ricadute sull’ambiente e sulle specie che abitano il mare. A questo proposito, un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite nel  2016  sottolineava che i rifiuti marini, composti prevalentemente da plastica, minacciano la sopravvivenza di oltre 800 specie animali che muoiono ingerendo o restando intrappolare nei rifiuti. Il problema non affligge solo grandi specie animali, come i cetacei e le tartarughe marine, ma riguarda anche altri organismi come ostriche, cozze, coralli e persino plancton, inquinando l’intera reta trofica marina. E non sono solo le specie marine ad essere colpite dalla piaga dell’inquinamento da plastica. Una ricerca pubblicata nel 2015 sulla rivista scientifica Pnas ha rilevato che il 90% di tutti gli uccelli marini del mondo ha residui di plastica nelle proprie viscere, ingeriti perché confusi per cibo. Nel 2050, se i consumi di plastica dovessero continuare  al ritmo attuale, secondo la ricerca, ben il 99% degli uccelli si troverebbe ad avere plastica all’interno del proprio organismo. Per quanto riguarda il mar Mediterraneo, secondo uno studio del WWF, pubblicato lo scorso giugno, la plastica rappresenta circa il 95% di tutti i rifiuti gettati in mare e i suoi residui si trovano in oltre 130 specie marine.

Questi sono dati allarmanti che devono far riflettere le istituzioni europee, l’industria e i cittadini sulla necessità di ridurre i consumi di prodotti di plastica, in particolare di quelli monouso, e pongono l’accento sul dovere che noi tutti abbiamo di salvaguardare l’ambiente in cui viviamo. La nuova normativa, sottolinea la Commissione europea, comporterà un risparmio di 22 miliardi di euro per danni ambientali e di 6 miliardi per i consumatori. Ora, il Parlamento europeo dovrà avviare i negoziati con il Consiglio (l’organo politico dell’Unione) non appena i ministri dei Paesi dell’Ue avranno definito la propria posizione in merito alla normativa. I negoziati con il Consiglio cominceranno il 6 novembre e, se tutto dovesse procedere nei tempi stabiliti, la normativa potrebbe essere approvata definitivamente entro marzo 2019, mentre i divieti veri e propri non entreranno in vigore prima del 2021.