Ecologia della parola

“Ecologia della Parola”


Liberare le parole dagli stereotipi in cui le abbiamo racchiuse. Questo lo scopo. Massimo Angelini riporta nel volume, senza pretese strettamente filologiche o letterarie, un certo numero di relazioni o conversazioni tenute in ambienti socialmente e culturalmente più disparati, sull’uso di parole quotidiane incrostate e cristallizzate dall’abitudine.

Stimolati a ripercorrere l’etimologia, a partire proprio dal significato originario di "parola" che procede da "parabola", scopriamo che l’errata scelta di non ripeterci ci porta a usare sinonimi che alterano il significato e imbrigliano il nostro pensiero. La parabola, dice Angelini, racconta in modo obliquo e, attraverso una similitudine, lascia a chi ascolta lo spazio per arrivare da solo alla comprensione vivendo il significato non come punto di arrivo passivo di una spiegazione, ma come il risultato attivo di una conquista. “La parola, intesa come parabola apre all’altro e lascia lo spazio per aggiungere nuove parole…, non mette confini, ma allude a qualcosa che va oltre se stessa. È creativa,….si addice al dialogo e pure alla poesia…”. Ben diverso è TERMINE che chiude, conclude, definisce. La parola lascia lo spazio alla libertà, il termine non tollera fraintendimenti. Bisogna saper distinguere.
La maggior parte delle parole quotidianamente usate hanno subito una involuzione simile, l'abitudine ha incatenato la loro dinamicità. Angelini ce ne fa scoprire il significato primario. Dietro il sapere c’è il sale, dietro la cultura l’aratro, dietro il grazie il dono….
Riflettere sull'ecologia della parola può aiutarci a essere più consapevoli su dove stare noi stessi: nello spazio aperto della parola o nel confine del termine?

Etta Artale

La Via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi

In copertina l’asino stracarico tirato dal somiere affondato nella neve illumina l’immaginazione: Schenèr, schena, schiena, ecco il legame: trasporto a schiena di somaro o di uomo. Ecco il senso del titolo del libro e del nome della via che da Feltre arrivava a Primiero attraverso un passo, solo con i passi di bipedi o quadrupedi da sud a nord e da nord a sud per sentiero impervio, ora abbandonato. Quanti frequentano quest’angolo di montagne tra il Pavione e il Campon d’Avena ha senza dubbio sentito nominare questo antico percorso non più in uso da decenni. La sua ragion d’essere viene individuata dall’autore con ricerche storiche e deduzioni logiche: a nord il Primiero ricco di legname e minerali, a sud Feltre con i suoi manufatti e il vino! Più in basso, nella profonda incisione del torrente Cismon fluitavano i tronchi fino al Brenta e di qui in pianura. Ma il rafting non era di moda ai tempi della Serenissima e gli uomini dovevano utilizzare la “scorciatoia” attraverso il passo Croce d’Aune e la stretta via sui dirupi rocciosi dello Schenèr ben sopra il corso d’acqua!

La via studiata negli archivi, descritta e in parte percorsa, fin dove praticabile serpeggia in un ambiente particolare che potremmo definire Alpi minori, quelle che fanno da corona alla vilipesa pianura. Alpi dense di storia quella dei grandi, la Chiesa con il suo potere temporale e quella dei piccoli che per secoli hanno percorso lo stretto valico che univa il sud e il nord: il feltrino d’influsso veneziano e il Primiero d’influsso austro germanico.
Da qui parte un volo d’angelo dell’autore che sa unire la ricerca storica in archivio,  all’immaginazione, al sogno e alle uscite nel territorio. È così che avvince il lettore arricchendo, pagina dopo pagina in un fluire leggero ma intenso, la storia vera. Aggiunge avventure e personaggi frutto di fantasia fortemente legati agli elementi storici e geomorfologici dei luoghi.

Chiunque legga questo libro fa un tuffo nella storia e nel paesaggio.
L’attenzione al paesaggio, alla sua valorizzazione pur nella sua salvaguardia è forse l’elemento che ha influito principalmente nell’assegnazione a questo libro del premio dedicato a Mario Rigoni Stern narratore di Storia dura e dolorosa e autore di storie che danno al paesaggio un’anima. Rigoni Stern dalle alte vette approva sicuramente.

Questo è anche il messaggio di  Melchiorre alla ricerca della scala storta che dovrebbe arrivare a Pontet, delle tracce di quanti hanno fatto la storia minore in tempi di pace e di guerra, nello scambio delle culture e nel fluire delle merci.

Un libro da leggere per conoscere e per amare un angolo tra Veneto e Trentino, tutto da riscoprire; poco importa se i ruderi del castello di Schenèr sono proprio tali, basta far scorrere lo sguardo verso il Cismon in basso oltre il dirupo dove l’acqua rallenta e fa una pozza smeraldina per essere appagati.

Alberta Vittadello

copertina-2017_Lanzarote

Lanzarote, Jardín de Cactus

Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2017
 


Dal 1999 la Fondazione Benetton Studi e Ricerche promuove e organizza il premio Internazionale Scarpa per il giardino, un premio dedicato alla bellezza ma non solo. La principale finalità del premio, infatti, è diffondere la cultura di governo del paesaggio attraverso la cura dei luoghi. Altro obiettivo è far conoscere al di fuori di ristrette comunità di specialisti, il lavoro intellettuale e manuale per governare le modificazioni dei luoghi al fine di salvaguardarne e valorizzarne l’autenticità dei patrimoni naturali e di memoria.

Per il 2017 Il premio  è stato assegnato al  Jardìn de Cactus di Lanzarote con parere unanime del Comitato Scientifico della Fondazione.

Premio assolutamente meritato. Le foto presenti nella pubblicazione mettono a chiunque il desiderio di andare personalmente a godere di tanta bellezza. L’isola di Lanzarote nell’arcipelago canario è la più vicina al continente africano, deve la sua fama al mantello lavico che la ricopre interamente e dal quale l’uomo ha saputo ricavare vita da un materiale che sembra sterile: la lava.

Molto si deve alla sensibilità e impegno dell’artista Cesar Manrique che si è battuto contro lo sfruttamento turistico dell’isola proponendo un modello alternativo di conservazione e trasformazione del paesaggio. Un diverso modo di vivere nell’isola e di riconosecerne la bellezza. Le Jarden de cactus è iInsediato in una cava abbandonata di picòn, lapilli vulcanici usati ampiamente nell’isola, e divenuta poi discarica. Al suo interno in un sistema concentrico di terrazzamenti è oggi ospitata una spettacolare collezione di piante succulente. Per questi vegetali in grado di adattarsi a condizioni estreme sono stati creati angoli inaspettati e fantasiosi nelle distese di ceneri vulcaniche e creati ripari dal vento e nicchie nelle nude pareti.

La trasmissione del sapere pratico e manuale si estrinseca attraverso una sensibilità estetica che, oltre a riproporre paesaggi tradizionali manifesta il bisogno di lasciare un segno del proprio tempo, del piacere del gioco, dell’estetica delle forme naturali accolte e finalmente custodite come preziose dall’uomo.

A. Vittadello