foto da Georgofili Info

“Benessere animale certificato” di Ermanno Comegna

Pubblichiamo un articolo comparso il 14 dicembre 2022 su “Georgofili Info”, Notiziario di informazione a cura dell’Accademia dei Georgofili


Dal 2023, sarà attivo in Italia un sistema unico ed armonizzato di certificazione volontaria del benessere degli animali, secondo le regole stabilite nel decreto ministeriale del 2 agosto scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2022.
Il Sistema di qualità nazionale per il benessere degli animali (SQNBA) è stato istituito con l’articolo 224 bis del decreto legge 19 maggio 2020 n. 34, successivamente convertito in legge e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 luglio 2020 (“Decreto rilancio” predisposto per introdurre misure urgenti a seguito del Covid).
Gli obiettivi politicamente rilevanti sono molteplici, ma due appaiono quelli principali. Il primo riguarda la necessità di armonizzare a livello nazionale i requisiti e le regole applicabili per la certificazione degli allevamenti che ottengono prestazioni elevate in materia di salute e benessere degli animali. Attualmente sono attivi in Italia diversi modelli privati di certificazione, ognuno con sensibilità e caratteristiche proprie.
C’è inoltre, come motivazione forse strategicamente più rilevante, la volontà di conferire alla filiera zootecnica italiana uno strumento per la valorizzazione delle produzioni, in particolare quando queste derivano da allevamenti nei quali si attuano requisiti di salute e benessere degli animali, superiori rispetto a quelli previsti dalle norme comunitarie e nazionali e comunque conformi a regole tecniche predefinite che contemplano anche la gestione delle emissioni nell’ambiente. Ai fini della valorizzazione commerciale delle produzioni è previsto l’utilizzo di un marchio distintivo, ancora da definire, con il quale identificare i prodotti conformi ai disciplinari che sono stati certificati da un organismo autorizzato.
Il SQNBA diventerà, a partire dal 2023, una delle componenti della PAC, in quanto è alla base di uno specifico eco-schema che premia gli allevatori certificati, i quali, come requisito supplementare, impiegano metodi estensivi di produzione, con il pascolamento degli animali secondo regole predefinite.
L’operazione rientra nell’ambito del livello 2 dell’Eco-schema 1, dedicato alla zootecnia, con una dotazione finanziaria che ammonta a 65 milioni di euro per anno e premi di importo indicativo unitario di 240 euro per UBA nel caso di bovini da latte, da carne ed a duplice attitudine e 300 euro per UBA per i suini certificati ed allevati allo stato brado.
Il funzionamento del sistema di certificazione volontario ad oggi non è ancora operativo, per almeno due ordini di motivi. In primo luogo perché è necessaria una preventiva autorizzazione della Commissione Europea che approvi il progetto di regola tecnica in materia di SQNBA che le competenti autorità nazionali hanno trasmesso nel mese di giugno scorso. Inoltre mancano i requisiti produttivi (disciplinari di produzione) che stabiliranno le regole da rispettare negli allevamenti e nelle altre fasi della filiera zootecnica per poter conseguire la certificazione di conformità in materia di benessere degli animali.

Le norme tecniche saranno distinte per specie, orientamento produttivo e metodo di allevamento e costituiranno il punto di riferimento sul quale gli allevatori e gli altri operatori dovranno basare i loro comportamenti per partecipare al modello gestionale virtuoso ed ottenere, così, il rilascio della conformità.

La regia che permette il funzionamento del SQNBA è affidata ad un organismo tecnico scientifico con il compito di definire il regime e le modalità di gestione del sistema qualità, comprese le regole per il ricorso alla certificazione e all’accreditamento degli organismi abilitati.
Il decreto ministeriale pubblicato di recente definisce l’architettura ed il funzionamento del modello di certificazione e rimanda a successivi provvedimenti, per le decisioni in materia in materia di disciplinari di produzione, definiti nel testo come “requisiti di certificazione relativi all’allevamento delle specie di animali di interesse zootecnico”.
In particolare, il provvedimento ministeriale istituisce il Comitato tecnico scientifico benessere animali (CTSBA), attribuendo ad esso anche il compito di individuare il segno distintivo con il quale identificare i prodotti certificati. Fanno parte del Comitato i rappresentanti dei Ministeri competenti (Agricoltura e Salute) e delle Regioni e delle Province autonome, gli esperti in materia di benessere animale ed un componente di Accredia (organismo nazionale di accreditamento).

Alla base del funzionamento del processo di certificazione, c’è il sistema informativo di categorizzazione degli allevamenti in base al rischio (Classy Farm), istituito dal Ministero della Salute. I dati gestionali degli allevamenti saranno opportunamente raccolti ed elaborati e costituiranno la base per classificare gli allevamenti e verificare la presenza dei requisiti necessari per l’accesso al SQNBA.
La certificazione volontaria può essere richiesta non solo dagli allevatori (operatori della produzione primaria) ma anche dalle imprese del settore alimentare (impianto di macellazione, operatore della trasformazione e del commercio).
La commercializzazione degli animali e dei prodotti derivati conformi al SQNBA può avvenire riportando alcune informazioni nei documenti di vendita e nelle etichette, tali da ottenere così la differenziazione commerciale ed una auspicabile valorizzazione della produzione. In tale contesto è prevista anche la possibilità di utilizzare il logo identificativo che sarà successivamente individuato con un apposito decreto ministeriale.
Il testo del provvedimento contiene alcune disposizioni che riguardano l’organismo di certificazione, con particolare riferimento ai requisiti di iscrizione e di funzionamento, di carattere generale e specifico relativo al personale, alla formazione ed alle procedure di certificazione.
Il nuovo sistema armonizzato di certificazione del benessere degli animali sembra aver considerato tutte le possibili variabili in gioco per sperare in una buona traduzione pratica dell’iniziativa, compresa la decisione di assicurare un finanziamento pubblico che potrebbe suscitare un vivo interesse.

Ci sono però alcune questioni critiche da considerare. Intanto, si segnala la mancata stesura, ad oggi, delle regole da rispettare nella fase produttiva che sono necessarie per ottenere la conformità e rivestono una certa importanza per una compiuta valutazione dello strumento.
Poi ci sarebbe da considerare la reazione degli operatori economici che non è scontato sia positiva. Un’analoga esperienza nel campo delle produzioni vegetali (Sistema qualità nazionale produzione integrata – SNQPI), non è al momento decollata e si trascina avanti senza picchi di entusiasmo.
In tale contesto, non andrebbe dimenticato come la conformità a norme tecniche abbia un costo gestionale che un imprenditore decide di sostenere solo in caso di potenziale favorevole ritorno, almeno nel medio termine.
Infine, c’è il dubbio se iniziative del genere debbano essere governate dalla mano pubblica, oppure sia meglio lasciare al mercato e all’iniziativa privata. L’Italia, ma pure l’Unione europea, che nell’ambito del Farm to Fork pensa a regole comuni in materia di certificazione di sostenibilità e di benessere degli animali, la pensano diversamente, cionondimeno qualche interrogativo resta sulla efficacia di tale soluzione.

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Un nuovo polo sanitario nelle vicinanze del policlinico della città del Santo. L’Università di Padova istituisce il primo insegnamento in Italia dedicato alle cure palliative per i minori

Nascerà a Padova il nuovo hospice pediatrico. tremila metri dedicati a bambini e loro famiglie. Parte il fundraising per finanziare l’opera. 


Dodici stanze, attrezzate con le più moderne tecnologie, per ospitare altrettanti bambini. Spazi dedicati al personale sanitario dove aggiornarsi e stabilire la migliore strategia per le terapie. Appartamenti per ospitare i familiari dei giovani pazienti, in modo da rendere loro più confortevole possibile la permanenza in città. Ed è proprio a Padova, la città italiana dove è nato il primo hospice pediatrico nel 2008, che si realizzerà il progetto "Nuovo Hospice Pediatrico – Centro di Riferimento regionale per le Cure Palliative e terapia del dolore pediatriche della Regione Veneto".
Nascerà così un nuovo polo sanitario dedicato alle cure palliative per bambini. Grazie all’impegno di Regione del Veneto, che metterà a disposizione gli immobili, e Azienda Ospedale – Università di Padova, l’attuale sede dell’hospice, in via Ospedale Civile, verrà sostituita da una struttura più ampia e diffusa. Le nuove 12 stanze, al posto delle attuali 4, saranno ospitate in una struttura in via Falloppio, nel cuore della città e a pochi passi dal policlinico universitario. Un altro immobile adiacente al primo, con entrata da via Sant’Eufemia, sarà punto di riferimento per il personale sanitario. Ma il progetto non si ferma qua: in via San Massimo saranno ristrutturati degli appartamenti a disposizione per le famiglie dei giovani pazienti. Ma per far diventare realtà il progetto del nuovo hospice pediatrico c’è bisogno di risorse economiche. Ed è su questo frangente che, in particolare, si sta muovendo l’associazione  "La miglior vita possibile". Realtà nata nel 2018, a Padova, per promuovere lo studio e la diffusione della cultura si pone come propria finalità quella di migliorare la condizione di salute e di vita della popolazione pediatrica che ricorre alle cure palliative.
"La miglior vita possibile" lancia quindi una raccolta fondi rivolta a tutti: istituzioni, enti pubblici e privati, mondo dell’associazionismo e cittadini, per raccogliere un’ingente somma da destinare alla realizzazione del progetto.

I numeri delle curie palliative pediatriche in Italia

Padova rimane uno dei cuori pulsanti italiani per le cure palliative pediatriche, mostrando grande attenzione per una tipologia di assistenza che ha numeri importanti nel nostro Paese. Sono infatti 35mila i bambini eleggibili alle curie palliative pediatriche, dei quali più di un terzo, 12mila, necessitano di terapie specialistiche. Il Veneto ha già una rete capillare molto ben sviluppata: 250 bambini sono presi in carico ogni giorno, con prevalenza all’assistenza domiciliare, a fronte comunque di una stima di 900 minori che necessiterebbero di cure. Numeri che fanno intuire l’importanza di strutture come quella nata a Padova (al momento una delle sette in Italia) alla quale il progetto del nuovo hospice pediatrico vuole dare ora una nuova veste. «C’è bisogno di un cambio culturale – conclude Zaccaria –. Di cure palliative pediatriche, infatti, si fa ancora troppa fatica a parlare. Siamo invece davanti a giovani pazienti che hanno il diritto di avere cure adeguate in strutture altrettanto adeguate, che hanno il diritto di coltivare i loro sogni e le loro speranze, di condurre un’esistenza piena circondati dai loro affetti più cari, di portare avanti, quindi, per tutto ciò che è possibile, le loro storie di vita. Di vita, sottolineo, parliamo quando raccontiamo degli hospice pediatrici. È fondamentale quindi superare l’approccio prettamente pietistico che si ha quando si tratta questo argomento. È importante invece porci in altri termini: quelli del diritto di vivere una vita piena. Un obiettivo che, va da sé, possiamo perseguire solo grazie a un rapporto stretto e collaborativo con le istituzioni, in particolar modo quelle deputate all’attività assistenziale».

Il primo insegnamento sulle cure palliative pediatriche in Italia

C’è un’altra importante novità che arriva dal territorio patavino. L’Università di Padova, infatti, ha istituito il primo insegnamento in Italia dedicato alle cure palliative pediatriche. Sarà attivo dal 2023 e andrà a completare l’offerta formativa dell’ateneo patavino, che già prevede un master dedicato alle cure palliative pediatriche e una scuola di specializzazione, di altrettanto recente istituzione, sul tema prezioso per pazienti e famiglie, delle cure palliative nel life-span.

Tutte le informazioni sul fundraising si possono trovare sul sito
 costruiamo.lamigliorvitapossibile.it.

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Carlo Petrini: facciamo chiarezza sul concetto di sovranità alimentare

Pubblichiamo un articolo di Carlo Petrini comparso il 25 ottobre 2022 su La Stampa e riportato su slowfood.it 


"Nelle ultime ore si fa un gran parlare di sovranità alimentare, da quando i due termini sono stati affiancati nel nuovo dicastero alla parola “agricoltura”. La cosa non mi può far che piacere perché la sovranità alimentare è alla base del lavoro di Slow Food da ormai trent’anni. Per questo vorrei fare un po’ di chiarezza rispetto alla sua genesi e al significato profondo; si tratta di un concetto importante, essenziale per il futuro dell’umanità e che non deve essere confuso né con sovranismo e neppure con autarchia.

Innanzitutto è un’espressione che nasce ed evolve dall’esperienza e analisi critica di gruppi di contadini alla luce degli effetti provocati dai cambiamenti nelle politiche agricole durante l’ultimo ventennio del secolo scorso. Correva l’anno 1986 e il gotha della politica internazionale riunito a Ginevra decise, durante una seduta plenaria dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, di includere la produzione primaria all’interno dell’Accordo Generale sulle Tariffe Doganali e sul Commercio.

Da quel momento in poi anche le scelte in merito alla produzione e al commercio del cibo, l’ambiente, l’accesso alla terra e la cultura legata alla vita nei campi, sarebbero state assoggettate alle regole neoliberiste del mercato internazionale. Come controrisposta, a livello mondiale iniziarono a costituirsi movimenti di base del mondo contadino con l’obiettivo di difendere il vero valore del cibo non come bene da commerciare, ma come diritto umano da garantire e tutelare. Nato in seno alla società civile, questo concetto entra poi a far parte del vocabolario istituzionale internazionale nel 1996 quando alcune organizzazioni internazionali riunite alla Fao a Roma ne conferiscono una definizione esaustiva.

Il principio di autodeterminazione dei popoli

Il principio cardine è l’autodeterminazione dei popoli nella scelta delle proprie politiche agricole affinché siano in sintonia con il tessuto ecologico, economico e sociale e garantiscano l’accesso a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato. Negli anni il concetto di sovranità alimentare è stato testimoniato da milioni di contadini in tutti i continenti. L’organizzazione Via Campesina ne ha fatto la bandiera della sua lotta. La nostra stessa rete di Terra Madre, che si è riunita a Torino appena un mese fa, ne è espressione vivente: in difesa della biodiversità e della dignità dei popoli. Lo stato dell’Ecuador la sancisce all’interno della costituzione (Art. 281) come un’obbligazione dello Stato, e le Nazioni Unite la identificano come una precondizione necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo strategico “Fame zero” dell’Agenda 2030.

Che cosa vuol dire sostenere la sovranità alimentare?

Sostenere la sovranità alimentare significa schierarsi contro pratiche inique e dannose portate avanti dall’agroindustria (monocoltura, uso pesante della chimica di sintesi, cibi ultraprocessati), così come anche da una buona parte della grande distribuzione organizzata; ponendo invece al centro il diritto al cibo sano e nutriente per tutti, insieme ai diritti umani fondamentali, e la salute del pianeta. Vuol dire riconoscere il ruolo chiave dei piccoli produttori di ogni tipo, contadini e agricoltori a conduzione familiare, con donne (principali custodi della sovranità alimentare delle famiglie nel mondo) e giovani (da cui dipenderà l’alimentazione del futuro), in primo piano. È anche rivendicare l’importanza di pratiche agroecologiche, con una maggiore facilità di accesso a terra, acqua e semi; contro la monocoltura e le pratiche di tipo estrattivista. Così come affermare l’importanza di rafforzare i sistemi alimentari radicati nel territorio rispetto alle catene di approvvigionamento globali che si sono dimostrate in tutta la loro vulnerabilità, prima con il Covid-19 e poi con il conflitto in Ucraina.

Se applicata correttamente la sovranità alimentare crea una tensione positiva tra dimensione locale e globale e permette ai popoli di essere davvero liberi nella scelta di cosa produrre e consumare, mettendo al centro il benessere delle persone e del pianeta.

Aggiungo: è così importante e trasversale che non dovrebbe essere privilegio del ministero delle politiche agricole.

Dovrebbe fare parte, ad esempio del ministero dell’ambiente che gestisce le risorse naturali difendendo biodiversità e ecosistemi. Del ministero per le politiche sociali perché oggi la fame non è sinonimo di indisponibilità di cibo, ma mancanza di risorse per accedervi. Così come da quello della salute perché la cattiva alimentazione è causa crescente di gravi malattie quali diabete, problemi cardio-vascolari, obesità e tumori.

La sovranità alimentare quindi non vuole essere né un concetto nostalgico e passatista (il caffé di cicoria non tornerà a essere l’unico disponibile), e nemmeno una chiusura rispetto al mondo esterno (continueremo a mangiare banane e ananas). In questa fase è fondamentale capire i veri significati delle parole, altrimenti sarà ben difficile prendere in castagna coloro che scientemente potranno farne un uso diverso".

 Carlo Petrini
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Fonte: slowfood.it