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Energie rinnovabili, Italia protagonista in Europa

Secondo il GSE, l'Italia è il terzo paese in Europa per consumi di energia coperti da fonti rinnovabili. La nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN 2017) prevede una riduzione del 30% dei consumi energetici complessivi entro il 2030, il 28% dei quali coperti da fonti rinnovabili. Anche i biocombustibili da biomasse contribuiscono. Sostenibilità e buone pratiche nel mondo, il ruolo delle città tra gli obiettivi dell’Agenda 2030.


L’Italia ha raggiunto in parte gli obiettivi al 2020

La Direttiva europea 2009/28/CE fissa per l’Italia due obiettivi nazionali vincolanti in termini di “quota del consumo finale di energia coperto da fonti rinnovabili” al 2020:

  • Raggiungere una quota dei consumi energetici finali lordi complessivi di energia coperti da fonti rinnovabili almeno pari al 17%;
  • Raggiungere una quota dei consumi energetici finali lordi nel settore dei trasporti coperti da fonti rinnovabili almeno pari al 10%.

In entrambi i casi, la Direttiva si riferisce all’energia totale consumata da tutte le fonti, incluse quelle rinnovabili. La Direttiva contribuisce, inoltre, a creare le norme comuni per l’impiego delle energie rinnovabili nell’UE, con l’obiettivo principale di ridurre le emissioni di gas serra e promuovere l’uso di energia rinnovabile nel settore dei trasporti. In questo modo, la Direttiva attua uno dei tre obiettivi 20-20-20 del Pacchetto Energia e cambiamenti climatici dell’Unione Europea. Gli altri due obiettivi si riferiscono alla riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 e al miglioramento dell’efficienza energetica del 20% entro il 2020.

Il primo obiettivo è stato raggiunto nel 2014 e mantenuto stabile negli ultimi anni. Per quanto riguarda il secondo obiettivo, relativo ai consumi energetici derivanti dal settore dei trasporti, si è giunti al 7,3% dei consumi coperti da fonti rinnovabili. In particolare, l’elettrificazione dei trasporti non ha ancora raggiunto una quota significativa. Rispetto a una media europea (UE 28) del 17,04% di consumi energetici coperti da fonti rinnovabili, l’Italia ha una quota complessiva pari al 17,41%. Nel settore elettrico la quota ammonta al 34%, cioè 5 punti percentuali sopra una media europea del 29,6%, mentre negli altri settori i risultati conseguiti sono sostanzialmente allineati con la media degli altri paesi europei: 18,88% nel settore termico e 7,24% nel settore dei trasporti rispetto ai valori medi europei del 19,06% e del 7,13% (Tabella 1).

 

Dati aggiornati al 2016

ITALIA

EUROPA (UE 28)

Quota FER su consumi energetici totali

17,41%

17,04%

Quota FER nel settore trasporti

7,24%

7,13%

Quota FER nel settore elettrico

34,01%

29,6%

Quota FER nel settore termico

18,88%

19,06%

Tabella 1. Quota, in percentuale, di copertura da FER (Fonti di Energia Rinnovabili) dei consumi energetici totali e dei principali settori (trasporti, elettrico, termico). Fonte: studio del GSE “Fonti Rinnovabili in Italia e in Europa, verso gli obiettivi al 2020” 

 

Sono questi alcuni dei dati che emergono da un recente studio condotto dal GSE (Gestore Servizi Energetici) dal titolo “Fonti Rinnovabili in Italia e in Europa, verso gli obiettivi al 2020”. Lo studio mostra i principali risultati ottenuti dall’Italia, con dati aggiornati al 2016, in termini di quota dei consumi energetici coperti da fonti rinnovabili rispetto agli altri paesi europei, con approfondimenti anche a livello regionale. Scorrendo i dati di questo studio, che vanno dal 2005 al 2016, la Germania risulta essere, in termini assoluti, il Paese europeo che ha aumentato maggiormente la copertura da fonti rinnovabili dei consumi energetici, incrementandoli di 18,1 Mtep. L’Italia, invece, si attesa al secondo posto nella classifica dei paesi europei – a pari merito con la Gran Bretagna – con un incremento pari a 10,4 Mtep. In particolare, dal 2005 al 2016, l’Italia ha raddoppiato i propri consumi energetici alimentati con fonti rinnovabili, portandoli dai 10,7 Mtep del 2005 ai 21,1 Mtep del 2016. Questo significa, in termini percentuali, che, su un consumo complessivo, a livello europeo, di 195 Mtep di energia da fonti rinnovabili, l'Italia rappresenta circa l'11% del totale. Una percentuale che pone il nostro Paese al terzo posto nella classifica dei consumi energetici coperti da fonti rinnovabili dopo Germania e Francia e prima del Regno Unito. Se si guarda invece ai consumi complessivi di energia – anche da fonti fossili – l’Italia risulta essere al quarto posto con una copertura del 10,6% sul totale europeo. Lo studio sottolinea, inoltre, che Germania, Francia, Regno Unito e Italia, da sole, sono in grado di coprire oltre la metà dei consumi complessivi dell’Unione Europea (UE 28). I dati contenuti nello studio del GSE indicano che la transizione energetica è stata avviata, anche se richiede di essere incrementata nei prossimi anni. In questo senso, la nuova SEN (Strategia Energetica Nazionale), approvata a novembre 2017 – a conclusione della COP23 (Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite), tenutasi a Bonn – rappresenta una spinta verso la transizione energetica a fonti di energia alternative, in primis, le rinnovabili, e lascia intravedere che la “decarbonizzazione” del settore energetico nazionale sembra essere più vicina.

 

Cosa prevede la nuova Strategia Energetica Nazionale

La SEN 2017 prevede la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025 – con cinque anni di anticipo rispetto alla precedente Strategia, che prevedeva la chiusura entro il 2030 – e di coprire il 28% dei consumi energetici totali con fonti rinnovabili. In termini di efficienza energetica, la SEN prevede una riduzione del 30% dei consumi energetici entro il 2030. In particolare, con una riduzione dei consumi finali di energia da 118 a 108 Mtep, che porteranno ad un risparmio di circa 10 Mtep al 2030. Si dovrà, inoltre, arrivare al 2030 con il 55% dei consumi elettrici e il 30% di quelli termici alimentati da fonti di energia rinnovabili. Per quanto riguarda il settore dei trasporti, l’obiettivo è di raggiungere quota 21% di copertura da rinnovabili entro il 2030, rispetto al 7,24% del 2016. Questo sarà possibile con un aumento dell’uso dei biocarburanti – come, ad esempio, il GNL (“gas naturale liquefatto”) nei trasporti pesanti e marittimi al posto dei derivati del petrolio – e della mobilità elettrica e condivisa, con la circolazione – prevista – di 5 milioni di auto elettriche in Italia entro il 2030. In questo contesto, è importante sottolineare che la Commissione Europea ha approvato per l’Italia un regime di sostegno pubblico da 4,7 miliardi di euro per la produzione e distribuzione di biocarburanti avanzati, incluso il biometano di seconda e terza generazione per i trasporti. Il regime di sostegno sarà operativo dal 2018 al 2022. In particolare, per biocarburanti e biometano avanzati, la Commissione Europea intende quelli prodotti da biomasse (rifiuti, residui agricoli, alghe) che non richiedono l’uso di terreni coltivabili per la loro produzione. Inoltre, mentre il biometano è un gas, gli altri biocarburanti come bioetanolo e biodiesel (vedi Figura 2) sono energie liquide. Perciò, i rischi da emissioni di CO2, derivanti dall’utilizzo di questo tipo di biocarburanti, risultano fortemente ridotti e rispondenti agli obiettivi dell’UE rispetto al clima e all’energia. Infatti, i biocarburanti insieme con i veicoli elettrici, rappresentano una delle migliori alternative low-carbon (a basse emissioni di CO2) rispetto ai carburanti fossili usati nei trasporti e per di più non hanno controindicazioni operative insuperabili per la loro integrazione nell’industria dei trasporti.

 

Figura 2. Distributore di biodiesel 

 

Tra gli obiettivi previsti dalla SEN compaiono poi il rafforzamento della sicurezza di approvvigionamento e la riduzione dei gap di prezzo dell’energia. In tema di “decarbonizzazione”, gli obiettivi sono: una diminuzione delle emissioni di CO2 del 39% al 2030 e del 63% al 2050 rispetto ai valori di riferimento del 1990. La SEN indica che il raggiungimento di tali obiettivi sarà possibile raddoppiando gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico sulle clean energy, passando dai 222 milioni di euro del 2013 a 444 milioni nel 2021. Inoltre, stima un aumento degli investimenti al 2030 di 175 miliardi, di cui 30 miliardi per reti e infrastrutture per gas ed elettrico, 35 miliardi per le rinnovabili e 110 miliardi per l’efficienza energetica. L’aumento delle rinnovabili e dell’efficienza energetica avvierà una riduzione della dipendenza energetica da paesi esteri dal 76% nel 2015 al 64% nel 2030, con risparmi stimati in 9 miliardi di euro l’anno a livello nazionale.

 

Il ruolo delle città nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

Il 25 settembre 2015 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. L’Agenda riporta una lista di 17 obiettivi riguardanti tutte le dimensioni della vita umana e del pianeta, i Sustainable Devolopment Goals – SDGs, con 169 sotto-obiettivi (169 Target), che tutti i paesi del mondo dovranno raggiungere entro il 2030 (vedi Figura 3). L’obiettivo 11 dell’Agenda riguarda le città. Attualmente il 50% della popolazione mondiale vive in aree urbane e si prevede che possa superare il 70% entro il 2050, soprattutto per la forte spinta dei paesi africani ed asiatici verso le aree urbane. Oggi, le città hanno enormi impatti in termini ambientali: occupano soltanto il 3% della superficie del pianeta, ma sono responsabili del 75% del consumo di risorse e di emissioni di CO2 globali. L’Obiettivo 11 prevede di ridurre gli effetti negativi dell'impatto ambientale delle città, in termini di qualità dell'aria e gestione dei rifiuti; fornire l'accesso ai sistemi di trasporto sostenibili, sicuri e convenienti per tutti; promuovere forme inclusive e sostenibili di urbanizzazione, basate su approcci partecipativi e integrati alla pianificazione urbana; garantire l'accesso universale per gli spazi verdi pubblici, sicuri ed inclusivi.

 

Figura 3. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile contenente i 17 obiettivi (SDGs) stabili dalle Nazioni Unite da raggiungere entro il 2030

 

Insieme con lo studio sulla situazione delle energie rinnovabili in Italia e in Europa e i relativi obiettivi al 2020, il GSE ha pubblicato un secondo studio dal titolo “Città sostenibili: buone pratiche nel mondo", che descrive invece esperienze virtuose e buone pratiche di sostenibilità sviluppate in alcune città del mondo. Tra le città analizzate, il GSE individua esempi virtuosi in città quali Milano, vincitrice dell'Eurocities Award 2015; Zurigo, al primo posto nel 2016 secondo il Sustainable Cities Index; Anversa, grazie all’avviamento del Market Place Mobility; Parigi, che nel 2015 ha ospitato la COP21 (Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite), che ha portato all’approvazione dell’Accordo di Parigi.


Fonti per approfondire:

  • State Aid Weekly e-News, No. 09/16, 3 marzo 2016.
  • "Fonti Rinnovabili in Italia e in Europa, verso gli obiettivi al 2020" (GSE, 2018). 
  • "Città sostenibili: buone pratiche nel mondo" (GSE, 2018). 
  • “L’utopia Sostenibile”. Enrico Giovannini (Laterza 2018).

 

Nota:

L'immgine d'intestazione dell'articolo mostra un impianto solare fotovoltaico nella provincia di Roma. La foto è stata scattata da Andrea Campiotti (autore dell'articolo).

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Progetto “iDEAL – Decision support for Adaptation pLan”

 


Eventi meteorologici estremi, intensificazione degli incendi, siccità, alluvioni, frane sono tra gli effetti più diffusi del cambiamento climatico che colpiscono Italia e Croazia. La prevenzione, o almeno la riduzione, di questi effetti potrebbe essere supportata da un settore pubblico meglio organizzato per quanto riguarda l’acquisizione di dati e informazioni e la loro elaborazione. Su queste premesse si basa il progetto “iDEAL – Decision support for Adaptation pLan”, finanziato dal primo bando – lanciato nel 2017 – del programma europeo Interreg Italia-Croazia 2014-2020.

Il progetto iDEAL aiuterà le amministrazioni pubbliche a prendere decisioni appropriate riguardo le misure di adattamento climatico e a sviluppare piani di adattamento climatico coerenti e adeguati nei territori coinvolti: per l’Italia, la zona costiera di Pesaro, Misano Adriatico e Ostuni, oltre all’area veneziana; per la Croazia, la zona costiera di Dubrovnik e la regione istriana.
Questo obiettivo sarà perseguito attraverso un processo condiviso di costruzione di conoscenza e la realizzazione di un Sistema di Supporto alle Decisioni comune per il cui uso, sviluppo e aggiornamento verrà realizzato un programma formativo transfrontaliero.

iDEAL porterà complessivamente allo sviluppo di 5 piani di adattamento climatico, all’individuazione di indicatori per la valutazione delle aree pilota, all’elaborazione di un sistema di monitoraggio del cambiamento climatico.

L’Università Iuav di Venezia, partner del progetto (referente scientifico il Prof. Francesco Musco) ha ospitato l’1 e 2 marzo il meeting di lancio del progetto, avviato ufficialmente il 1° gennaio scorso per una durata di 18 mesi, con un budget di 799.191,80 euro, finanziati all’85% dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – FESR.

All’incontro hanno partecipato rappresentanti dei sei partner progettuali: oltre a Iuav, IRENA – Istrian Regional Energy Agency (capofila), Comune di Pesaro, Comune di Misano Adriatico, City of Dubrovnik Development Agency DURA e Parco Naturale Regionale "Dune costiere da Torre Canne a Torre S. Leonardo” (Ostuni).
Il progetto è stato presentato al pubblico durante un incontro aperto, a cui ha
partecipato Eugenio Morello, esperto del Politecnico di Milano.
 

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“Agricoltura interconnessa”. La rivoluzione digitale passa per l’agricoltura

Dai sensori nei campi ai droni per la logistica controllata, dallo smart packaging alle etichette intelligenti per la tracciabilità dei prodotti, sono oltre 300 le soluzioni offerte dall’Agricoltura 4.0 diffuse in Italia. Osservatorio Smart AgriFood: “l’Italia leader per know how e idee imprenditoriali, ma in fondo alla classifica mondiale per investimenti fatti nel settore”. La tecnologia Blockchain offre opportunità che vanno oltre il mondo della finanza e toccano l’industria agroalimentare. 


Come si arriva all’Agricoltura 4.0

L’agricoltura ha visto quattro grandi rivoluzioni tecnologiche. Si comincia con l’agricoltura dei primi anni del ‘900 caratterizzata dall’impiego delle prime macchine a vapore (Agricoltura 1.0) e arriviamo agli anni ’60 con la “rivoluzione verde”, che vede aumenti formidabili delle produzioni agricole grazie all’impiego massiccio di fertilizzanti chimici e fitofarmaci. Al contempo, però, assistiamo ad un enorme consumo di suolo e di combustibili fossili per sostenere la forte meccanizzazione agricola, oltre che ad un aumento spropositato dell’impatto di tale settore in termini ambientali (Agricoltura 2.0). Successivamente, negli anni 2000, comincia la stagione della sostenibilità ambientale ed energetica anche nel settore primario (l’agricoltura, appunto) dove iniziano ad essere impiegate le energie rinnovabili per una agricoltura più sostenibile. A questa nuova visione dell’agricoltura contribuisce lo sviluppo tecnologie di geolocalizzazione satellitare (i GPS – Global Positioning System), che danno vita alla cosiddetta ”agricoltura di precisione” (Agricoltura 3.0). In questa terza fase dell’agricoltura, il lavoro delle macchine agricole è coadiuvato da quello delle tecnologie satellitari che permettono interventi più mirati ed efficienti (Figura 1).

 

Figura 1. Agricoltura 3.0: uso delle tecnologie digitali e delle energie rinnovabili in agricoltura

 

Oggi, lo sviluppo congiunto delle tecnologie digitali di nuova generazione e di quelle satellitari, stanno portando l’agricoltura in una nuova fase tecnologica. Internet delle Cose (IoT), Big Data Analytics, droni, robot e altre tecnologie stanno, infatti, trasformando nuovamente il paradigma dell’agricoltura, che, grazie a tali tecnologie, è in grado di fornire e gestire una maggiore quantità di informazioni in modo più accurato e tempestivo, permettendo di automatizzare parte delle attività produttive e integrare le attività di campo con altri processi – logistica in primis – che afferiscono all’azienda agricola e ne migliorano le performance nel suo complesso. È questo il mondo dell’”agricoltura interconnessa” (Internet of Farming) che, sommata all’agricoltura di precisione (Agricoltura 3.0), costituisce il paradigma della nuova Agricoltura 4.0

 

L’Agricoltura 4.0 raccontata dall’Osservatorio Smart AgriFood

Dai sensori nei campi ai droni per la logistica controllata, dallo smart packaging sostenibile alle etichette intelligenti per la tracciabilità dei prodotti. Ormai, sono oltre 300 le soluzioni offerte dall’Agricoltura 4.0 diffuse in Italia. Un mercato – quello dell’Agricoltura 4.0 – che vede il nostro paese leader dal punto di vista del know how e delle idee imprenditoriali, ma in fondo alla classifica mondiale per quanto riguarda gli investimenti fatti nel settore, circa sei volte inferiori alla media mondiale (dati Osservatorio Smart AgriFood). Infatti, nonostante i benefici offerti in termini di riduzione dei costi, qualità e resa del raccolto, il mercato dell’Agricoltura 4.0 vale in Italia appena 100 milioni di euro (a fronte dei 33 miliardi di euro rappresentati complessivamente dal comparto agricolo), cioè il 2,5% di quello globale, che vale circa 4 miliardi di euro. I dati emergono da una recente ricerca condotta dall’Osservatorio Smart AgriFood in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano e il Laboratorio Rise dell’Università degli Studi di Brescia, presentata al convegno “Coltiva dati. Raccogli valore. La trasformazione digitale del settore dell’industria agroalimentare”. Dalla ricerca emerge che sono circa 60 le aziende che attualmente operano in Italia nel settore dell’Agricoltura 4.0, cioè il 12% delle 481 aziende nate dal 2011 ad oggi a livello globale. Tuttavia, le soluzioni offerte dall’Agricoltura 4.0 interessano meno l’1% della superficie coltivata totale. Solamente l’11% delle aziende agricole italiane sfrutta i benefici offerti dall’Internet of Farming, mentre l’89% si ferma all’utilizzo di strumenti per l’agricoltura di precisione. La ricerca sottolinea inoltre che il 51% delle aziende agricole italiane ha utilizzato soluzioni innovative offerte dall’Agricoltura 4.0 per valorizzare la qualità di origine, in particolare nel caso dei prodotti ad alto valore aggiunto come vino, cacao e caffè; il 46% si è servito del digitale per migliorare la sicurezza alimentare; il 25% si è concentrato sui metodi di produzione, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati all’impatto ambientale, al benessere degli animali e alle tradizioni agroalimentari dei diversi territori; il 12% delle aziende ha impiegato le nuove tecnologie per migliorare la qualità del servizio (Figura 2). 

Figura 2. Soluzioni dell’Agricoltura 4.0 per la filiera agroalimentare: produzione, trasformazione, distribuzione, consumo.

 

In termini di attività, il 48% delle soluzioni abilita mappature e monitoraggio di terrenti e coltivazioni (droni), il 42% monitoraggio e controllo del movimento e delle attività di macchine e attrezzature in campo e il 35% irrigazione e fertilizzazione mirata. Le tecnologie digitali possono inoltre intervenire sulla tracciabilità alimentare, riducendo i costi, aumentando i ricavi e rendendo più efficienti i processi. Gli strumenti maggiormente utilizzati per migliorare la tracciabilità dei prodotti sono i codici a barra (39%), gli RFId – Radio Frequency Identification (32%), i sistemi gestionali (32%), i Big Data (30%), i dispositivi mobili (21%).

 

La Blockchain per la tracciabilità dei prodotti alimentari

Come può la Blockchain interessare l’industria agroalimentare? Siamo abituati a sentire parlare sempre più spesso di questa tecnologia in riferimento alle cripto-valute – prima fra tutte, i Bitcoin – o comunque alle transazioni finanziarie. Tuttavia, la Blockchain, come tecnologia, offre opportunità – ad oggi poco conosciute – che vanno oltre il mondo della finanza e che abbracciano tanti altri settori, tra i quali anche l’agricoltura e l’industria agroalimentare. La Blockchain è un sistema crittografico decentralizzato nato nel 2008 consistente in un sistema di registri diffuso. Le informazioni contenute nel registro (libro mastro) sono pubbliche, ma si ricorre alla crittografia per assicurare l'inviolabilità del sistema. Ogni transazione (block) va ad accodarsi a quelli precedenti formando una catena (chain) che non può essere modificata retroattivamente; da qui la certezza di una tracciabilità “assoluta”. Quale  ruolo può giocare la Blockchain nell’industria agroalimentare? Nel caso dei Bitcoin e delle altre cripto-valute, ad essere scambiate sono informazioni sul possesso della moneta virtuale. Nel caso del settore agroalimentare sono invece le informazioni relative a un prodotto agricolo, al trasporto, alla lavorazione, all’impacchettamento e alla distribuzione. Ogni attore della filiera agroalimentare diventa così un nodo della “catena a blocchi”, che inserisce e certifica da sé le informazioni. Ad esempio, quando un agricoltore prepara una cassetta di mele e la consegna al grossista locale, questi due soggetti dovranno registrare la transazione avvenuta nel sistema Blockchain. Alla cassetta di mele verranno poi collegate informazioni sulla serra di provenienza, i trattamenti effettuati, il giorno di raccolta ecc. che saranno rintracciabili attraverso un codice QR affisso sul prodotto (Figura 3).

 

Figura 3. Tracciabilità del prodotto attraverso il codice QR (etichetta intelligente): l’apposita App, scaricata sul proprio smartphone, consente di risalire alla storia del prodotto che si vuole acquistare.


Fonti per approfondire: