Cop 23_Bonn

Cosa dobbiamo aspettarci dalla Cop23 in corso a Bonn

I  dati sul cambiamento climatico sono allarmanti. Gli Stati Uniti hanno annunciato di voler abbandonare l’Accordo di Parigi. Secondo l’UNEP gli ultimi tre anni sono stati i più caldi della storia. Queste sono solo alcune delle premesse con le quali si è aperta la Conferenza mondiale sul clima della Nazioni Unite (Cop23). 


Un ponte verso la Cop24

Si è ufficialmente aperta la Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop23), l’appuntamento annuale più importante nella discussione sulle misure da adottare nella lotta al cambiamento climatico. A presiedere la 23esima edizione della Conferenza sono le isole Fiji, che per la loro particolare posizione geografica, nel cuore dell’Oceano Pacifico, sono uno dei Paesi al mondo più vulnerabile di fronte ai cambiamenti climatici. Lo scorso anno le Fiji sono state colpite dal ciclone Winston, che ha causato danni per oltre un miliardo di dollari. Tuttavia, anche se la presidenza della Conferenza è ufficialmente affidata alle Fiji, per ragioni logistiche, il paese ospitante è la Germania. La Conferenza si sta infatti svolgendo a Bonn, città con una lunga storia, che ha dato i natali a Beethoven e che è stata per oltre quarant’anni capitale dell’allora Germania dell’Ovest. Obiettivo chiave della Cop23 sarà quello di tradurre in azioni concrete l’Accordo di Parigi (Paris Agreement) e, allo stesso tempo, fungere da ponte tra il lavoro fatto nel 2016 nella scorsa Cop22 e quanto si farà nella prossima Cop24 che si terrà nel 2018 a Katowice, in Polonia.

 

Cosa prevede l’Accordo di Parigi

L’Accordo di Parigi, approvato a novembre 2015 a conclusione della Cop21 ed entrato ufficialmente in vigore a novembre 2016, è stato firmato da 196 paesi e sarà operativo a partire dal 2020. L’Accordo di Parigi prevede di fermare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C dai livelli preindustriali, cioè prima del 1750 quando le concentrazioni di CO2 erano inferiori a 280 ppm (oggi sono superiori a 400 ppm – vedi Fig. 1) entro il 2030, di rivedere gli impegni dei singoli Stati firmatari ogni cinque anni per migliorare i livelli già raggiunti e di investire 100 miliardi di dollari ogni anno in programmi climatici nei Paesi in via di sviluppo. A tal proposito, nella Cop22, tenutasi lo scorso anno a Marrakech, sono state definite le modalità di monitoraggio dei flussi finanziari che andranno a vantaggio soprattutto dei Paesi del Sud del mondo, ovvero quei Paesi che subiscono maggiormente le conseguenze del cambiamento climatico.

Nonostante le misure auspicate, secondo l’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) le emissioni antropiche porteranno comunque il pianeta verso un aumento della temperatura globale tra i 2,9 e 3,4 °C entro fine secolo, con conseguenze ambientali disastrose: ondate di calore, inondazioni e periodi di siccità più frequenti e intensi, impatti sulle specie animali e vegetali, una maggiore diffusione delle malattie e un notevole aumento dei decessi. Le cause, come riportano le maggiori agenzie e istituti di ricerca, sono dovute all’aumento della CO2 presente nell’atmosfera, che dalle 316 ppm del 1958 è passata a una concentrazione superiore alle 400 ppm di oggi (Figura 1). In particolare, a livello globale, delle 36 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno in atmosfera, Cina e Stati Uniti contribuiscono per il 45% del totale, rispettivamente 30% e 15%.

 

Figura 1. Aumento della CO2 in atmosfera

 

Inoltre, come sottolinea il Laboratorio Modellistica Climatica e Impatti dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), per ogni aumento di 1 °C della temperatura dell’aria aumenta la capacità dell’atmosfera di contenere acqua mediamente del 7%. 

 

Gli effetti del cambiamento climatico sulle risorse alimentari

L’agricoltura contribuisce per il 14% alle emissioni globali di CO2 (6,8 Gt di CO2). I modelli previsionali (FAO, Agriculture and Rural Development, Paper 42) indicano che l’aumento di temperatura di 1-3°C, associato all’aumento della CO2 presente in atmosfera, produce effetti positivi sulla produzione di piante alimentari nelle aree climatiche temperate. Al contrario, nelle aree climatiche tropicali, in particolare nei Paesi africani, l’aumento di 1-2 °C potrebbe causare riduzioni fino al 30% della produzione alimentare totale (Figura 2).

 

Percentuale (%) delle variazioni previste nella produzione di piante entro il 2080 in relazione alle produzioni del 2000 (baseline)

Figura 2. Impatto del cambiamento climatico sulla produzione di piante alimentari (variazioni medie per grano, mais, riso e soia), 20002080. Source: Cline (2007)

 

Gli Stati Uniti si ritirano

Dopo che il Nicaragua ha dichiarato di voler aderire all’Accordo di Parigi, gli unici due Stati al mondo che finora sono rimasti fuori dall’intesa globale sul clima sono gli Stati Uniti – dove l’amministrazione Trump ha deciso di dare un netto cambio di rotta alle politiche ambientali promesse dalla precedente amministrazione – e la Siria che, sebbene recentemente abbia espresso la volontà di aderire, è afflitta da una disastrosa guerra civile che dal 2011 ad oggi ha causato circa 430 mila morti e quasi 12 milioni di sfollati (secondo dati dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani). Tuttavia, una delegazione di funzionari della Casa Bianca parteciperà alla Conferenza di Bonn perché, anche se l’amministrazione Trump ha annunciato di voler al più presto abbandonare l’Accordo di Parigi, legalmente non potrà farlo sino al prossimo anno.

L’Omm (Organizzazione metereologica mondiale) nel suo ultimo rapporto sulla situazione climatica globale, uscito in concomitanza con l’apertura dei lavori della Cop23, sottolinea che il 2017 sarà probabilmente uno dei tre anni più caldi della storia, da quando i dati vengono monitorati con regolarità, cioè dal 1880. In particolare, per il mese di ottobre 2017 sono state evidenziate anomalie della temperatura dell’aria rispetto alla media delle temperature di ottobre registrate nel periodo 1981-2010 (Figura 3). In particolare, a ottobre, la temperatura dell’aria nelle isole Svalbard è risultata di 6 °C sopra la media, mentre nel Sud Europa l’aumento maggiore si è avuto in Spagna con oltre 4 °C sopra la media del periodo 1981-2010. Inoltre, a livello globale, le temperature dell’aria sono state leggermente sotto la media in alcune aree geografiche del Sud Est e dell’Est del continente. 

 

Figura 3. Le temperature dell’aria nel mese di ottobre 2017 rispetto alla media riscontrata per lo stesso mese nel periodo 1981-2010

 

Secondo L’ENEA un pianeta più caldo rende la biosfera e gli oceani meno efficienti nell’assorbire la CO2 presente in atmosfera, dove si concentra oltre la metà della CO2, dal momento che gli oceani riescono ad assorbirne solo il 50%. Secondo il Kyoto Club è urgente avviare politiche severe di riduzione delle emissioni di CO2, altrimenti, in 20 anni, la concentrazione nell’atmosfera raggiungerà le 450 ppm, con un aumento medio della temperatura di 2°C rispetto ai livelli preindustriali (280 ppm).

 

Il fenomeno dei “profughi climatici”

Gli ultimi tre anni, secondo un recente rapporto UNEP, sono stati i più caldi mai registrati e, sul lungo termine, indicano una chiara tendenza verso un considerevole aumento delle temperature a livello globale. I picchi di caldo eccezionali registrati in Asia, con temperature superiori anche a 50 gradi centigradi, uragani di intensità record nell’Atlantico, che sono arrivati fino all’Irlanda, inondazioni devastanti causate da monsoni che hanno colpito milioni di persone nel mondo, nonché una terribile ondata di siccità in Africa orientale, spiega l’Organizzazione, sono certamente dovuti ai cambiamenti climatici provocati dall’aumento della concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera, causati principalmente dalle attività antropiche. Nel 2016, secondo quanto riportato in una dichiarazione ufficiale dell’Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), oltre 23 milioni di persone nel mondo sono state costrette a fuggire dalle loro terre perché colpite da catastrofi di natura climatica. In Somalia, ad esempio, sono stati recensiti 760 mila “profughi climatici” secondo l’Alto commissariato Onu per i Rifugiati. Mentre per quanto riguarda il lato economico del fenomeno, il Fondo Monetario Internazionale ha spiegato che già oggi le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici vengono registrate in aree nelle quali abita il 60% della popolazione mondiale.

 

Quali sono gli obiettivi in Europa

Obiettivi chiave dell’UE per il 2020:

  • Ridurre del 20% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990;
  • Portare al 20% la quota delle energie rinnovabili nel consumo totale di energia;
  • Aumentare almeno del 27% l'efficienza energetica.

Obiettivi chiave dell’UE per il 2030:

  • Ridurre almeno del 40% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990;
  • Portare almeno al 27% la quota delle energie rinnovabili nel consumo totale di energia;
  • Aumentare almeno del 27% l'efficienza energetica.

Obiettivi a lungo termine:

  • Entro il 2050, l’UE intende  ridurre le proprie emissioni in misura sostanziale dell’80-95% rispetto ai livelli del 1990 nell'ambito degli sforzi complessivi richiesti dai paesi sviluppati;
  • Trasformare l'Europa in un’economia ad elevata efficienza energetica e a basse emissioni di carbonio stimolerà anche l’economia, creerà posti di lavoro e rafforzerà la competitività dell’Europa.

Milano. Presentato il primo Electricity Market Report dell’Energy&Strategy Group

La ricerca presentata oggi al Politecnico di Milano fotografa per la prima volta la situazione italiana messa a confronto con quella di altri sette Paesi, e traccia le aspettative degli operatori del settore.

Il mercato elettrico in Italia? Conservatore e con mutamenti attesi molto lenti.  Ma bisogna cambiare passo se non si vuole subire la competizione europea.


Nel corso del 2016 il fabbisogno di energia elettrica in Italia è stato pari a 310 TWh (-2% rispetto al 2015 e ben 8 punti percentuali sotto il picco del 2011), a cui corrisponde una generazione elettrica nazionale di 275 TWh di energia. Oggi questa produzione è soddisfatta per circa il 38% da fonti rinnovabili, ma nel 2017, precisamente alla data ormai famosa del 21 maggio, si è arrivati alla copertura record dell’87%.

Il controvalore complessivo del mercato è equivalso a circa 61 miliardi di euro nel 2016 e a quasi 31 miliardi nel primo semestre del 2017, distribuito tra i vari attori, che sono oltre 12.600 nella fase di generazione (con almeno 100 kW di potenza installata, ma va considerato che i primi sei detengono il 50% della capacità installata totale), 11 in quella di trasmissione e 137 nella distribuzione in media e bassa tensione (con i primi 3 che distribuiscono circa il 93% dell’energia totale) a cui si aggiungono 625 imprese registrate all’anagrafe degli operatori per la vendita di energia elettrica. Il tutto per servire un mercato finale fatto da 36,5 milioni di punti di prelievo sul territorio nazionale, di cui circa l’80% domestici.

È la fotografia del mercato elettrico in Italia scattata dalla prima edizione dell’Electricity Market Report, realizzato dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, che lo analizza nel dettaglio: dal cambiamento del consumatore, che sempre più spesso è prosumer (quindi anche produttore) e soddisfa con l’elettricità in maniera smart una quota sempre maggiore del proprio fabbisogno energetico, alle liberalizzazioni e all’apertura del mercato dei servizi di dispacciamento, con il conseguente possibile ingresso di nuovi operatori.

Sono ben 18 i grandi trend di cambiamento monitorati dalla ricerca. Il mercato elettrico in Italia e in Europa è infatti alle prese oggi con una delle più profonde trasformazioni degli ultimi decenni, stretto com’è tra le grandi evoluzioni della tecnologia e del mercato da un lato e, dall’altro, dalla necessità di adeguare il quadro normativo che da sempre ne irreggimenta il funzionamento.

L’Electricity Market Report è partito da queste premesse per investigare – sia attraverso il benchmark con gli altri grandi Paesi europei, sia raccogliendo direttamente il parere di un campione significativo di operatori del settore in Italia – le aspettative sulla capacità di innovarsi del nostro mercato. Per ciascuno dei grandi temi vengono infatti analizzate le caratteristiche principali e le implicazioni attese sui diversi attori della filiera: generazione, trasmissione, distribuzione e vendita.

Grafici e informazioni nel comunicato Stampa del Politecnico, sotto allegato.

Il report completo è disponibile in elettronico su richiesta, anche se non è ancora nella versione  definitiva presso
School of Management Politecnico di Milano

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“NOI Techpark”, a Bolzano il primo parco tecnologico ispirato alla natura

NOI Techpark, il primo parco tecnologico ispirato alla natura, è stato inaugurato lo scorso venerdì sera,  20 ottobre,  a Bolzano nel cuore delle Dolomiti.

Costato 124 milioni di euro di investimento pubblico, NOI Techpark ospita 60 tra imprese e startup, oltre 20 laboratori e 6 istituti di ricerca.

Progettato da Claudio Lucchin & Architetti Associati e dallo studio italiano del gruppo Chapman Taylor, Nature of Innovation nasce infatti dal recupero del complesso industriale dell’Alumix di Bolzano, storico stabilimento fatto costruire da Mussolini nel 1937.

L’entrata di NOI Techpark è un edificio chiamato Black Monolith, il monolite nero. La copertura dell’edificio è rivestita con pannelli fotovoltaici e lastre in schiuma d’alluminio scura.

Le informazioni nel comunicato stampa allegato

Guarda i video

https://youtu.be/mg02t72pXeI

https://youtu.be/Oi6xd9dt4hU