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Il fenomeno dello spreco alimentare nella Food Economy

Per creare le basi per una seria lotta allo spreco alimentare occorre lo sviluppo di azioni comuni tra agricoltori, produttori, distributori e consumatori. Governi, istituzioni, agenzie ed associazioni devono fare la loro parte, individuando i punti critici delle filiere agroalimentari e definendo gli strumenti legislativi, tecnici e comunicativi necessari per riportare il sistema dei beni alimentari ad un livello dignitoso di sostenibilità etica, ambientale ed energetica.


La Commissione Europea riporta per il settore agricoltura e industria agroalimentare in Europa, nel complesso delle sue diverse filiere (dai campi alla tavola), un valore economico di 3.600 miliardi di Euro (ec.europa.eu/competition/sectors/agriculture). La diffusione di sistemi produttivi innovativi, di processi di trasformazione, confezionamento e certificazione, nonché la riscoperta e la valorizzazione di specie vegetali locali, hanno fortemente contribuito all’affermazione dei beni alimentari nei confronti dei consumatori europei. Il packaging, le procedure per garantire sicurezza e tracciabilità, i prodotti di IV e V gamma, alimenti  nutraceutici, biologici e vegani, caratterizzano ormai l’offerta dell’industria agroalimentare per rispondere alle richieste dei consumatori sempre più condizionati dai cambiamenti degli stili di vita e dei tempi di lavoro che hanno fortemente incentivato l’acquisto di “cibo pronto” presso la Grande Distribuzione Organizzata (GDO). Questa situazione, se ha favorito lo sviluppo della Food Economy ha, sebbene indirettamente, spinto le multinazionali del settore agricoltura e industria agroalimentare a sostenere la strategia commerciale di coltivare specie e varietà vegetali in numero sempre più ridotto al fine di massimizzare la specializzazione dei processi produttivi e la qualità commerciale dei prodotti, con gravi conseguenze per la biodiversità vegetale (Tabella 1). 

 

250.000

sono le specie di piante identificate

80.000

sono considerate eduli

150 

sono coltivate

12

forniscono il 90% dell’energia alimentare del mondo

3

forniscono il 60% dell’energia alimentare a livello mondiale (frumento, riso, mais)

Tabella 1. Dati sulle risorse vegetali utilizzate in agricoltura e nell’industria agroalimentare

 

Tra le conseguenze associate a questa “deriva commerciale” dei beni alimentari è certamente significativo sottolineare che mediamente soltanto un decimo di tutta l’energia consumata dal settore agricoltura e industria agroalimentare viene restituita con i prodotti sotto forma di energia alimentare (Tabella 2). A questo riguardo, l’energia consumata in Europa da sistema dei beni alimentari rappresenta il 26% dei consumi totali di energia mentre a livello globale la FAO stima una quota superiore al 30%, basandosi però su dati spesso incerti e provenienti da fonti diverse. In Italia, i consumi di energia del sistema agricolo-alimentare rappresentano circa il 13% dei consumi totali (ENEA, Energia, ambiente e innovazione, 2/2016)

 

Prodotti alimentari (consumi considerati)

Energia consumata   (kcal/kg)

Energia per kg di prodotto (kcal/kg)

Carne fresca (stalla, macellazione)

4.712

1.100,6

Carne surgelata (stalla, macellazione, refrigerazione)

7.007,8

1.100,6

Vegetali freschi in campo (fitosanitari, lavorazione terreno) a)

187

206,3

Vegetali freschi in serra riscaldata (fitosanitari, combustibile) b)

5.245,1

206,3

Ortaggi IV gamma c) (produzione, lavorazione, trasformazione)

4.213,3

189,1

Ortaggi surgelati (produzione, lavorazione, trasformazione, refrigerazione) c)

5.847

189,1

Tabella 2. ENEA su dati ISTAT, 2013.

a) I valori dell’energia consumata sono stati riferiti a 15 kg/m2/anno. Il trasporto non è incluso. 

b) I valori dell’energia consumata sono stati riferiti a 25 kg/m2/anno. Il valore energetico medio è riferito a: lattuga, pomodoro, peperone, cetriolo, fragola. Il trasporto non è incluso. 

c) Valore energetico medio di: lattuga, pomodoro, peperone, cetriolo (trasporto non incluso). I valori energetici sono stati tratti dalle tabelle composizioni alimenti dell’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione).

 

Secondo la Dichiarazione di Roma del 2014, la FAO ha stimato in circa 800.000 milioni le persone (soprattutto nell’Asia meridionale e nell’Africa subsahariana) che non hanno i mezzi per pagarsi una quantità di cibo indispensabile per sopravvivere o per condurre una vita dignitosa e le previsioni ci dicono che entro il 2030 ci saranno ancora 650 milioni di persone denutrite (www.agenda.weforum.org, 2015). Tale situazione è ancora più drammatica se consideriamo gli sprechi di cibo che annualmente caratterizzano la produzione di beni alimentari non soltanto nei Paesi industrializzati ma anche nei Paesi in via di sviluppo. A livello mondiale la produzione annuale di cibo, è stimata in oltre 5 miliardi di tonnellate, di cui non meno di 2,4 miliardi di tonnellate costituiti da frutta e verdura (mediamente l’Unione Europea fornisce oltre il 40% della produzione alimentare nei Paesi dell’OCSE). Tuttavia, la Institution Mechanical Engineers ci dice che nel 2013 almeno 2 miliardi di tonnellate di cibo sono finite nella spazzatura. Valori inferiori, ma sempre molto significativi sono stati riportati dalla FAO che ha stimato in circa 1,3 miliardi di tonnellate il cibo sprecato lungo tutta la filiera agroalimentare (Global food losses and food waste, 2011). A livello europeo, Slow Food Italia riporta 89 milioni di tonnellate di cibo sprecato annualmente dalle famiglie, mentre complessivamente sono 180 kg di cibo pro-capite che annualmente risultano sprecati (Last Minute market, 2015). La tabella 3 mostra lo spreco famigliare registrato in alcuni dei maggiori Paesi europei. 

 

Paese

Kg 

Inghilterra

110

Italia

108

Francia

99

Germania

82

Svezia

72

Tabella 3. Lo spreco di cibo a livello domestico

 

Nel mondo occidentale industrializzato,lo spreco alimentare avviene soprattutto nella fase finale della filiera dell’agroindustria (supermercati, distribuzione e famiglie) mentre nei Paesi in via di sviluppo gli sprechi sono particolarmente rilevanti nelle fasi finali della filiera, cioè nella produzione, raccolta e dopo raccolta (conservazione), soprattutto per la mancanza di mezzi e tecnologie. In Italia, il fenomeno dello spreco alimentare, venuto all’attenzione delle istituzioni e dei media soltanto negli ultimi anni, risulta tra 10 e 20 tonnellate per un valore di circa 37 milioni di Euro, distribuiti tra i diversi comparti dell’agroindustria (Tabella 4), corrispondenti a circa lo 0,5% del PIL (Last Minute market, 2015).

 

Comparto

%

Ortofrutticoli acquistati

17

Pesce

15

Pasta e pane

28

Uova

25

Carne

30

Latticini

32

Tabella 4. Lo spreco di cibo nell'agroindustria

 

Filiera

%

Produzione

2,8

Trasformazione

0,4

Famiglia

43

Altri attori della filiera

57

Tabella 5. Lo spreco di cibo nelle filiere agroalimentari

 

In particolare, la Tabella 5 mostra le percentuali dello spreco di prodotti alimentari in relazione alle diverse fasi della filiera agroalimentare (Politecnico di Milano, 2015). Infine, l’ISTAT riporta che non meno del 3% della produzione totale di prodotti agricoli alimentari rimangono sul campo in quanto non vengono raccolti. Si tratta di oltre 18 milioni di tonnellate di prodotti (Tabella 6) che spesso vengono considerati come scarto semplicemente perché non presentano forme qualitative (colore, dimensioni) apprezzate dal mercato (soprattutto nelle filiere produttive degli ortaggi e dell’uva). Ulteriori 2 milioni di tonnellate di cibo provengono dall’industria di trasformazione e conservazione dei prodotti agroalimentari. Inoltre, sono da aggiungere altre 250.000 tonnellate che si perdono nelle fasi di distribuzione della GDO.  

 

Prodotto

%

Cereali

28

Ortaggi in pieno campo

20

Ortaggi in serra

11

Uva

16

Olive

9

Legumi e patate

6

Frutta

6

Tabella 6. Lo spreco di cibo a livello della produzione dei prodotti agroalimentari

 

Oltre che nelle filiere agroalimentari, gli sprechi caratterizzano anche il settore della pesca, dove l’Environment Programme delle Nazioni Unite riporta che gli scarti totali annuali di pesce a livello mondiale ammontano a 30 milioni di tonnellate e che soltanto metà del pescato viene consumato (Tristram Stuard, 2009). Secondo la FAO al cibo sprecato va associato l’impiego di 1,4 miliardi di ettari di suolo (circa il 30% dell’area utilizzata a livello globale), 250 chilometri cubi di acqua e circa 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra (per l’Italia si stimano 4 milioni di tonnellate di CO2 emesse a carico degli sprechi agroalimentari lungo tutta la filiera). Complessivamente i costi dello spreco alimentare sotto il profilo economico, ambientale e sociale (full-cost accounting), sono stimati in 2.600 miliardi di dollari all’anno (FAO, 2013). In questo contesto, tuttavia, abbiamo il paradosso costituito dal fenomeno sociale dell’obesità, che secondo l’OMS, (Organizzazione Mondiale della Sanità) interessa circa 2 miliardi di persone. I Paesi dove il fenomeno dell’obesità è più evidente sono le isole del Pacifico seguite da Stati Uniti, Germania ed Egitto. L’Italia risulta al 73esimo posto in questa classifica. Si stimano a livello globale 155 milioni di bambini sovrappeso contro i 140 milioni di bambini sottopeso (UNICEF, 2013). Il tema dello spreco alimentare, che nella sua accezione generale possiamo riferire a “perdite alimentari”, “spreco di cibo”, “spreco di alimenti”, “rifiuti alimentari” (Tabella 7) si trova oggi al centro di un forte dibattito in molti paesi dell’ Unione Europea per le sue implicazioni di carattere ambientale, energetico, economico e anche etico.

 

FAO

Food loss

 

(Perdite alimentari)

La diminuzione in quantità o qualità del cibo, costituita da prodotti agricoli o ittici per il consumo umano

FAO

Food waste

 

(Spreco di cibo)

Si riferisce allo scarto o all’uso alternativo (non alimentare) di cibo per il consumo umano

Commissione europea

Food wastage

 

(Spreco di alimenti)

Si intende l’insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare che – per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità alla scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinati al consumo umano – sono destinati ad essere eliminati o smaltiti

Commissione europea

Food waste

 

(Rifiuti alimentari)

Si intende ogni sostanza commestibile, cruda o cotta, che viene scartata

Tabella 7. Definizioni di riferimento per lo spreco di cibo.

Nota: Smil V. (2004) nella definizione di spreco alimentare inserisce anche la sovralimentazione delle persone ossia la differenza tra la quantità di cibo che un individuo consuma e la quantità di cui avrebbe realmente bisogno.

 

Il tema degli sprechi alimentari è ormai affrontato da buona parte degli organismi internazionali e del mondo scientifico che si occupano dei problemi che riguardano la produzione, il consumo e la distribuzione del cibo oltre agli sprechi che hanno ormai raggiunto dei livelli non più accettabili dalla comunità internazionale. L’Unione Europea ha iniziato ad affrontare il problema degli sprechi alimentari a partire dal 2005 con la “Strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti (COM 666/2005) per arrivare alla Comunicazione 571/2011 “Tabella di marcia verso un’ Europa efficiente nell’impiego delle risorse (European Commission 2011a) che proponeva di dimezzare lo smaltimento della frazione edibile dei rifiuti alimentari nella UE entro il 2020. Quindi con la Comunicazione 397/2014 (European Commission 2014a) la Commissione Europea sottolineava la necessità di ridurre i rifiuti alimentari di almeno il 30% nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2017 e il 31 dicembre 2025. Infine, la Comunicazione 398/2014 (European Commission 2014/b) ha proposto un intervento su tutte le filiere alimentari che caratterizzano la produzione e i consumi dei prodotti agroalimentari da parte di tutti gli Stati membri con un target di riduzione del 30% riferito ai differenti comparti della fabbricazione, vendita al dettaglio e distribuzione, servizi di ristorazione e ospitalità e nuclei domestici. Per quanto riguarda l’Italia, il Governo ha emanato la Legge 19 agosto 2016, n.166 “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici ai fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”. Il fenomeno dello spreco alimentare soltanto recentemente è stato preso in seria considerazione dalle agenzie internazionali e dalle istituzioni a livello europeo e internazionale. Molto probabilmente i problemi creati dalla crisi economica e finanziaria, che ha colpito il mondo nell’ultimo decennio insieme con i problemi associati al fenomeno della migrazione da Paesi dell’Africa per motivi legati alla mancanza di cibo e di acqua e dal vicino oriente soprattutto per motivi associati alle guerre e alle religioni che condizionano la vita di milioni di persone, ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi sugli sprechi di cibo e di risorse per ottenerlo.

Lo spreco di cibo presenta anche risvolti importanti sulle risorse impiegate per produrlo, soprattutto acqua, suolo ed energia ma anche in termini di emissioni di CO2 associate all’energia utilizzata per produrlo. Il fenomeno dello spreco alimentare richiede interventi di tipo orizzontale non facilmente attuabili se teniamo conto dei numerosi impatti e delle implicazioni associati all’industria del cibo sotto il profilo sociale, ambientale, politico ed economico. In prima approssimazione il riuso del cibo non consumato sembrerebbe la migliore delle opzioni ma questa soluzione richiede un impegno organizzativo non indifferente da parte dei diversi soggetti sia pubblici sia privati che hanno responsabilità lungo la catena alimentare. Un’altra opzione che potrebbe essere perseguita sul cibo non consumato consiste nel riciclo soprattutto della componente organica in processi di produzione di compostaggio per la produzione di biogas (se teniamo conto che il potere calorifico del biogas è pari a 5.500 kcal/m3 allora, in cogenerazione, da 1 m3 di biogas si possono produrre circa 2 kWh di energia elettrica e circa 3 kWh di energia termica) (C.R.P.A., Energia dal biogas, PSR 2007-2013). A tal proposito, in Italia con il Decreto 29 dicembre 2016 n.266, sono stati definiti i criteri per il compostaggio di comunità di rifiuti organici. Secondo i dati del Food Sustainability Index (FSI) – indice specifico che analizza le scelte alimentari del pianeta e il valore complessivo che il cibo rappresenta – l’Italia occupa il 9° posto in termini di “Cibo perso e sprecato” nella speciale classifica stilata su 25 Paesi. Il nostro Paese, tuttavia, ha ottenuto il massimo punteggio sull’indicatore relativo alle politiche avviate per rispondere allo spreco di cibo (100 punti su 100). Molto invece rimane da fare per quanto riguarda lo spreco famigliare che ha ottenuto soltanto 29 punti su 100 e lo spreco alimentare  associato alla produzione e distribuzione di cibo che ha ottenuto invece 63 punti su 100 (Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, 2017).

L’Unione europea ha recentemente iniziato l’elaborazione di un pacchetto di linee guida per armonizzare le stesse modalità di quantificazione dello spreco alimentare a livello europeo e per definire le misure necessarie per impedire che milioni di tonnellate di cibo finiscano quotidianamente tra i rifiuti. È ormai opinione consolidata che soltanto con lo sviluppo di azioni comuni tra agricoltori, produttori, distributori e consumatori, si potranno creare le basi per una seria lotta allo spreco alimentare. Naturalmente occorre anche l’impegno di governi, istituzioni, agenzie e associazioni per individuare i punti critici della filiere agroalimentari sui quali intervenire, i.e.: la produzione, la trasformazione, la distribuzione e il consumo, con l’obiettivo di definire gli strumenti legislativi, tecnici e comunicativi ormai indispensabili per riportare il sistema dei beni alimentari a un livello dignitoso di sostenibilità etica, ambientale ed energetica.


Fonti per approfondire:

  • Ecoscienza, N. 5 Ottobre 2014.
  • Gustavsson J. et al., Issue Paper, FAO 2011.
  • Waste. Uncovering the Global Food scandal. Tristra Stuart, 2009.
  • Geopolitica del cibo. Giancarlo Elia valori, 2013.
  • Segrè A. e L. Falasconi, 2011. Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo. Edizioni ambiente.

campagna 60 per 60

La campagna “60 progetti per 60 anni”

 “60 progetti per 60 anni”è una campagna di comunicazione realizzata dall’Agenzia per la Coesione Territoriale e la Rappresentanza della Commissione Europea in Italia con la collaborazione di tutte le Autorità di Gestione dei Programmi Operativi Nazionali e Regionali, nell’ambito delle celebrazioni per il 60esimo anniversario della firma dei Trattati di Roma.

 La campagna illustra alcuni dei molti progetti (più di 3500 solo nel Veneto nella programmazione POR CRO FESR 2007-2013) cofinanziati in questi anni dai Fondi Strutturali e di Investimento dell’Unione Europea.
Infrastrutture di trasporto, sostegno alle PMI, sviluppo urbano, ricerca e innovazione, nuovi depuratori dell’acqua, ristrutturazioni di edifici scolastici, progetti di cooperazione interregionale… Tanti progetti diversi ma con un’unica finalità: migliorare la vita dei cittadini che, in maniera diretta o indiretta, ne sono i beneficiari. Questo è ciò che è evidenziato anche da ciascun volto presentato in questa galleria fotografica.

Per l’occasione è stato lanciatol’hastag #lacoesionepercontinuareinsieme


Per maggiori informazioni:

60 anni di Europa, 60 progetti per te

Programmi Operativi Regionali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

superalberi_tour_italia-82

L’albero più alto d’Italia: misurato e identificato in Toscana

È alto 62,45 metri per una circonferenza del tronco di 3,31 metri e si trova in Toscana nella riserva naturale di Vallombrosa, località del comune di Reggello (FI).

È stato scalato e misurato da SuperAlberi, il team di esperti arboricoltori, agronomi e tree-climbers friulani che da quasi 30 anni lavorano in Italia, in Europa e nel mondo per studiare, tutelare e curare gli alberi monumentali in modo totalmente eco-sostenibile.

L’albero più alto d’Italia è un abete dell’Oregon o abete di Douglas (per gli addetti ai lavori Pseudotsuga menziesii): è una conifera sempreverde originaria del Canada e del nord America ormai ampiamente diffusa anche in Europa e in Italia.

Il metodo più qualificato, riconosciuto scientificamente a livello mondiale per determinare l’altezza dei grandi alberi, è la misurazione diretta sul campo, scalando la pianta, il direct tape drop. Tale metodo fa parte del dna di SuperAlberi che, con interventi in Italia, in Europa e nel resto del mondo, è l’unica azienda italiana a misurare gli alberi con questo sistema e a coniugare i sistemi di potatura sostenibili con interventi in "tree climbing" mettendo l’uomo al completo servizio della natura.

La ricerca di SuperAlberi è stata un’impresa unica nella storia del nostro patrimonio naturale, una vera e propria spedizione di 8 persone durata 20 giorni per 25 alberi e raccontata in nell’e-book “L’albero più alto d’Italia” e in docu-film.

Andrea Maroè, fondatore di SuperAlberi e attuale responsabile degli alberi monumentali per la regione FVG  racconta: “Siamo partiti da una lunga ricerca bibliografica negli archivi del patrimonio forestale nazionale per individuare le 50 piante più alte del paese. Dopo una prima analisi, ne abbiamo scalate 25 tra Toscana, Trentino Alto Adige, Lombardia,  Liguria, Emilia Romagna e Lazio fino ad arrivare a Vallombrosa"

Il “Tree King” d’Italia supera di quasi 3 metri il secondo albero sul podio, un altro abete della medesima riserva che prende il nome dall’Abbazia benedettina di Vallombrosa: la foresta fu creata e curata nei secoli dai monaci fino ad essere dichiarata nel 1973 Riserva Biogenetica Naturale. Al terzo posto, con “soli” 52,15 metri, c’è l’Avez del Prinzep di Lavarone, un abete bianco di circa 240 anni che 20 anni fa era stato misurato dal gruppo di Superalberi: a quel tempo era il più alto prima di essere sorpassato dagli abeti di Vallombrosa.

Fonte: superalberi.it