Parchi d’affaccio fluviali: vere e proprie oasi naturali lungo il fiume Tevere


Di Alessandro Campiotti

Il Comune di Roma ha avviato una serie di interventi di bonifica e ripristino della natura lungo le sponde del fiume Tevere. Tra gli obiettivi della riqualificazione ecologica c’è la riconsegna alla cittadinanza di aree precedentemente degradate e l’erogazione di servizi ecosistemici.

Si chiama parco d’affaccio “Lungotevere delle Navi” il primo di una serie di interventi di riqualificazione ecologica attuati dal Comune di Roma lungo gli argini del fiume Tevere. Il progetto, finanziato con un investimento complessivo di 7,3 milioni di euro di fondi giubilari, prevede la bonifica di circa 20 ettari di terreni lungo le sponde fluviali, e la realizzazione di altri quattro parchi d’affaccio – la cui apertura dovrebbe avvenire entro il giorno di Pasqua – con l’obiettivo di valorizzare il tratto urbano del fiume.

Il primo dei cinque parchi, inaugurato a fine di marzo dal sindaco Gualtieri, sorge su un’area di 1,6 ettari, ed è frutto di un anno di lavori in cui la zona è stata sottoposta ad un rigoroso intervento di pulizia che ha consentito la raccolta di circa 700 camion di rifiuti. Successivamente, sono stati eseguiti interventi di piantumazione di specie erbacee e arboree autoctone ed è stata realizzata una passerella in legno di larice, che attraversa l’area naturale per 570 metri. Lungo il camminamento sono state create delle terrazze d’affaccio, concepite come aule didattiche all’aperto per le scolaresche, ma anche come spazi relax da cui ammirare il paesaggio, fare sport o dove isolarsi per qualche ora dal caos cittadino.

L’intervento, costato 800.000 euro, rappresenta un esempio di ripristino della natura in ambiente urbano, e per questo è stato realizzato secondo criteri di eco-compatibilità che hanno consentito unicamente l’impiego di materiali di origine naturale. Allo stesso tempo, un’area che si trovava in evidenti condizioni di abbandono e degrado è stata bonificata e rinaturalizzata in modo tale da recuperare la propria valenza naturalistica e tornare fruibile alla cittadinanza. La tutela del capitale naturale, infatti, è strettamente legata al benessere umano, e l’erogazione di Servizi Ecosistemici(SE), definiti come i benefici che le persone traggono dalla natura, favorisce la relazione tra società ed elemento naturale, funzionale allo sviluppo ecologico ed economico dei territori. Tra i principali SE figurano la regolazione dei processi ecologici, la fornitura di habitat per la biodiversità, la produzione di cibo e sostanze nutritive e poi ancora i benefici culturali, sociali, emotivi ed estetici, particolarmente rilevanti in ambito urbano.

In attesa dell’apertura dei prossimi parchi d’affaccio, l’Amministrazione dovrà rispondere alla sfida di garantire la giusta manutenzione di queste aree, che comprende tanto la cura del verde quanto la sicurezza del luogo. A questo proposito, sarà necessario stabilire un patto di collaborazione con le associazioni civiche e del terzo settore, per favorire l’organizzazione di iniziative ed attività volte a valorizzare i servizi ecosistemici socio-culturali erogati dalla piccola oasi naturale, ed in questo modo salvaguardarla da elementi di degrado e migliorare la fruizione per cittadini e turisti.


Per approfondire:

https://www.comune.roma.it/web/it/notizia/lungotevere-delle-navi-apre-il-parco-daffaccio-marzo-2025.page

https://www.comune.roma.it/web/it/notizia/tevere-inaugurazione-primo-parco-daffaccio.page


Foto di Alessandro Campiotti

Centro Studi l’Uomo e l’Ambiente Facebook

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Società Benefit: le imprese che promuovono benefici socio-ambientali

Di Alessandro Campiotti

Nate negli USA quindici anni fa, le società benefit si sono presto diffuse nei Paesi dell’Unione Europea (UE), dove l’Italia ha fatto da apripista nel 2016. Oltre a generare profitto, l’equità sociale e la sostenibilità ambientale sono due requisiti necessari ad ottenere l’ambito riconoscimento legale.

Promozione dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 in un edificio di Granada (Spagna)


Più eque ed inclusive, più redditive e sostenibili, sono le società benefit, un modello di business in crescita negli ultimi anni, che si distingue dalle imprese tradizionali in quanto oltre a perseguire il profitto economico, abbraccia una serie di obiettivi che vanno dall’equità sociale alla sostenibilità ambientale. Introdotte nel 2010 negli Stati Uniti come “B Corporation”, le società benefit (SB)sono arrivate in Europa solo alla fine del 2015, quando l’Italia, su spinta di un eterogeneo gruppo di portatori di interesse, è stato il primo Paese a riconoscere e regolamentare questo nuovo modello d’impresa, rendendolo effettivo a partire dal gennaio del 2016. Da allora, dopo alcuni anni di lenta e timida crescita, le SB hanno iniziato a prendere piede in diversi settori – informazione, manifattura, commercio, costruzioni e professioni – e nel 2024 hanno superato la quota di 4500, con 217.000 addetti e un fatturato complessivo di 62 miliardi di euro. In Italia, oltre due terzi delle SB sono diffuse nelle regioni settentrionali e solo un terzo nel resto della Penisola, mentre circa il 70% sono rappresentate da microimprese, con una dimensione aziendale limitata a meno di dieci dipendenti e un fatturato annuo inferiore ai 2 milioni di euro.

Ma cosa distingue una SB da una società tradizionale? E quali ragioni spingono sempre più imprese ad intraprendere un processo di transizione per ottenere tale riconoscimento legale? Le SB sono nate per rispondere al crescente interesse della società nei confronti dei temi legati alla sostenibilità socio-ambientale, ed in questo contesto numerose realtà aziendali hanno preso parte alla transizione in atto, impegnandosi a promuovere un ventaglio di benefici di interesse comune, che abbiano un impatto positivo su persone, territori, ambiente, beni culturali e associazioni. Per tali ragioni, le società di persone o di capitali che decidono di costituirsi come SB, oltre a bilanciare la ricerca del profitto con l’accantonamento di una quota di spesa da destinare annualmente a beneficio della collettività, devono adottare pratiche di produzione sostenibili, trasparenti e con elevati standard etici.

Per verificare il rispetto di questo protocollo, ogni anno le SB hanno l’obbligo di redigere una Relazione di impatto pubblica in cui descrivere e rendicontare dettagliatamente le azioni svolte ed il relativo impatto sulla comunità di persone e sull’ambiente per l’anno in corso e per quello successivo. La stima dell’impatto deve fare riferimento ad uno standard di valutazione sviluppato da un soggetto terzo rispetto all’azienda, che tenga in considerazione cinque aree di intervento – governance, persone, comunità, ambiente e clienti – con un approccio scientifico e multidisciplinare tale da eseguire una stima realistica in termini di riduzione dell’impatto socio-ambientale. Dal 2020 è possibile implementare la valutazione delle performance di sostenibilità anche tramite l’SDG Action Manager, uno strumento operativo sviluppato dalle Nazioni Unite e B Lab che mette in relazione le strategie aziendali con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, per avere una panoramica di informazioni complessiva e intervenire in modo mirato sui punti di debolezza.

Nonostante il processo di valutazione annuale e le numerose incombenze burocratiche comportino un onere in termini di tempo e denaro per le imprese, sempre più soggetti decidono di costituirsi SB per mirare ad una serie di vantaggi a livello di crescita, occupazione, reputazione e competitività sul mercato. Le SB, infatti, risultano più appetibili sia per i giovani professionisti, che hanno l’opportunità di operare in un ambito professionale più in linea con il proprio bagaglio valoriale, sia per clienti ed investitori, sempre più attenti e interessati a sostenere pratiche di produzione ESG (Environmental, Social, Governance), anche a costo di pagare un prezzo maggiore per alcuni servizi. A sostegno di questa tesi, uno studio dell’Università degli Studi di Verona – Scuola di Economia e Management, ha constatato che le società che presentano elevati standard di sostenibilità risultano anche più solide e affidabili nel tempo, e per questo riescono ad ottenere un costo del capitale più basso, risultando più sostenibili anche sotto il profilo economico e finanziario.

Per approfondire:

Acta non verba – Idee di impresa, rete e cultura, Paper tematico Società Benefit, 2024, https://actanonverba.it/wp-content/uploads/2024/10/PAPER-SOCIETA-BENEFIT.pdf.

Corriere della Sera, Giulio Sensi, Imprese, se Benefit rende di più, 2025.

The Good in Town, Società Benefit: cosa sono, vantaggi, come diventarlo, 2023, https://www.thegoodintown.it/societa-benefit-cosa-sono-vantaggi-come-diventarlo/.

Immagine di intestazione di Alessandro Campiotti.

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Green Jobs: opportunità e limiti della nuova frontiera del lavoro

di Alessandro Campiotti


I green jobs (lavori verdi) hanno assunto un ruolo crescente nell’odierno panorama lavorativo che guarda ad uno sviluppo sostenibile, favorendo nuove opportunità di crescita per imprese e professionisti. Tuttavia, resta elevato il divario in termini di opportunità a livello geografico e di parità di genere.

Orto Botanico dell’Università degli Studi di Padova

Energy manager, giurista ambientale, specialista in contabilità verde ed esperto in sostenibilità, sono solo alcune delle nuove professioni che negli ultimi anni sono cresciute nel frastagliato mercato del lavoro moderno, prendendo il nome di green jobs o lavori verdi. Nell’ultimo decennio, infatti, il panorama lavorativo è stato fortemente influenzato dalla diffusione dei principi della green economy, che hanno spinto le filiere produttive tradizionali ad assumere nuove responsabilità nei confronti della tutela del pianeta, delle sue risorse e dei suoi abitanti. Nel bagaglio delle priorità aziendali, pertanto, il perseguimento del profitto risulta essere sempre più accompagnato da una serie di azioni ed investimenti volti ad orientare i classici assetti lavorativi e produttivi verso pratiche di conversione più sostenibili ed innovative, che guardino alla riduzione dell’impatto ambientale e ad un minore sfruttamento delle risorse naturali.

Questa transizione in senso ecologico, energetico ed etico dei settori produttivi è stata fortemente sostenuta da numerose istituzioni nazionali e internazionali, che tramite una serie di riforme, incentivi ed accordi, come l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, hanno determinato un cambiamento di approccio da parte di imprese e consumatori. La crescente attenzione nei confronti della sostenibilità ambientale ha prodotto dei mutamenti tangibili nel mercato del lavoro, rendendo sempre più richieste una serie di professionalità legate al settore della green economy e fornendo nuovi sbocchi lavorativi per studenti e giovani professionisti.

In questo contesto, i green jobs hanno iniziato a prendere piede nei più diversi settori produttivi, chiamando in causa tanto il panorama dell’agricoltura e dell’industria – manifatturiera, farmaceutica, edile, automobilistica – quanto quello dei servizi, impegnato nella riconversione sostenibile di imprese, alloggi turistici, strutture sanitarie e pubbliche amministrazioni. Ad oggi, dei green jobs non esiste una definizione ufficiale ed univoca, tuttavia l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) sostiene che le competenze verdi sono necessarie per il perseguimento di una moltitudine di benefici, che vanno dal risparmio energetico alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti, dalla protezione e ripristino degli ecosistemi degradati all’economia circolare.

L’attuale domanda di green jobs si inserisce in modo trasversale nei diversi ambiti professionali e si rivolge sia alle competenze tecniche che a profili ad elevata specializzazione, trasformando la tradizionale figura del manager in un eco-manager, pronto a gestire le sfide poste dalla transizione ecologica. Tra le figure professionali più in voga figurano l’energy manager per la gestione sostenibile delle risorse energetiche, l’ESG manager che persegue la sostenibilità dell’azienda dal punto di vista ambientale, sociale e di governance, il mobility manager per la riduzione dell’impatto ambientale dei trasporti urbani, lo specialista in contabilità verde, responsabile di orientare le scelte aziendali sulla base di incentivi e finanziamenti, e poi ancora l’ingegnere dei materiali, l’esperto di smart cities, il giurista ambientale, l’architetto paesaggista, l’agronomo, il divulgatore, il ricercatore e l’assicuratore ambientale.

Per far luce sul panorama dei green jobs, nel 2023 l’OCSE ha pubblicato un rapporto per esaminare questa fetta di mercato in 30 Paesi membri, registrando che nel 2021 i lavori verdi occupavano il 18% del mercato del lavoro, in lieve crescita rispetto al decennio precedente. Tuttavia, questa percentuale non riguarda allo stesso modo tutti i paesi oggetto di inchiesta, ma presenta una forte difformità geografica, vedendo ai primi posti Paesi baltici, Francia, Svizzera e Regno Unito e solo in coda Grecia, Italia e Spagna. Inoltre, una sostanziale disomogeneità si evince anche a livello regionale, dal momento che la domanda di impieghi green viene assorbita soprattutto dai grandi centri urbani, a partire dalle capitali, toccando solo marginalmente i centri minori. Due ulteriori elementi di divario in questo ambito professionale si rilevano nella sotto rappresentazione delle donne (28%) e nel fatto che solo le regioni con una ricca composizione di attività industriali e scientifiche e con un’elevata percentuale di popolazione con istruzione terziaria, sono riuscite ad intercettare i vantaggi della transizione ecologica. Per tali ragioni, gli attori istituzionali sono chiamati a potenziare gli investimenti in formazione scolastica e nelle politiche attive del lavoro, con l’obiettivo di colmare i limiti delle realtà locali e favorire la diffusione di quelle competenze che possono contribuire concretamente ad un processo di transizione più giusta.

Per approfondire:

ANPAL – Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro, Le competenze green, 2021, https://www.anpal.gov.it/documents/552016/587158/CompetenzeGreen_2021.pdf/52700220-4c0a-0b25-ddfc-ebcc97349632?t=1650626253686.

LUM – Libera Università Mediterranea “Giuseppe Degennaro”, Green Jobs: cosa sono e quali sono le professioni verdi, 2023, https://www.lum.it/green-jobs-cosa-sono-quali-sono-le-professioni-verdi/.

OECD – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (2023), Job Creation and Local Economic Development 2023: Bridging the Great Green Divide, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/21db61c1-en.

Foto di intestazione di Alessandro Campiotti